ISSN 2385-1376
Testo massima
Con ordinanza n. 17909 del 23/07/2013, la Corte di Cassazione, ritenendo sussistenti i presupposti per la trattazione con il procedimento ex art. 380 bis cpc, ha condiviso le argomentazioni e le conclusioni della relazione e, accogliendo il ricorso, cassata senza rinvio la sentenza impugnata, ha affermato, in tema di domiciliazione, il principio di diritto secondo cui l’art. 82 del R.D. n. 37 del 1934, là dove impone all’avvocato iscritto nella circoscrizione di un determinato Tribunale di domiciliarsi, allorquando agisce al di fuori della sua circoscrizione di iscrizione, presso l’autorità giudiziaria adita, prevede questo obbligo anche qualora detta autorità sia rappresentata da un giudice di pace, dovendo, dunque, escludersi che egli si possa domiciliare presso il comune sede del Tribunale nella cui circoscrizione agisce (o presso un diverso comune in essa compresa) ed essendo necessaria la domiciliazione nel comune sede del giudice di pace adito, senza che in contrario possa rilevare che la domiciliazione sia stata fatta comunque presso un avvocato iscritto nella circoscrizione in cui è compreso quel giudice.
Tale decisione è stata assunta dalla Suprema Corte accogliendo il ricorso proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Potenza, in accoglimento dell’appello dell’intimata ed in riforma della sentenza pronunciata in primo grado dal Giudice di Pace di Bella, ha dichiarato improponibile la domanda.
Il ricorrente, infatti, ha censurato la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 327 cpc, che disciplina la decadenza dall’impugnazione, lamentando che, nonostante l’eccezione formulata nella comparsa di costituzione in appello, il Tribunale abbia considerato l’appello espressamente proposto tempestivamente, nella supposizione dell’osservanza del termine c.d. lungo, quando, invece, era stata postulata la tardività poiché, avendo la parte in primo grado agito con un difensore non iscritto nell’albo del circondario del Tribunale di Potenza, in cui è compreso il Giudice di Pace di Bella, ed essendosi detto difensore domiciliato presso difensore iscritto in quell’albo, ma non in Bella, bensì in Potenza, la sentenza di primo grado era stata notificata presso la cancelleria, considerandola ivi domiciliata ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.
La Suprema Corte ha ritenuto il motivo fondato perchè, quando un difensore agisce davanti ad un ufficio del giudice di pace che non è compreso nel circondario del Tribunale al cui albo professionale è iscritto e si vale di un difensore soltanto domiciliatario iscritto in quell’albo, non gli è consentito di eleggere domicilio presso di lui, se quest’ultimo non si trova nel luogo sede del giudice di pace adito, in quanto l’art. 82 citato esige che la domiciliazione sia fatta nel comune dove ha sede l’ufficio adito.
In passato, la Corte di legittimità ha avuto modo di precisare che l’art. 82 che non è stato tacitamente abrogato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 170 cpc, nè delle norme sull’iscrizione nell’albo dei procuratori, nè dalla Legge 24/2/1997, n. 27, art. 1 e 6 che ha eliminato l’attività procuratoria – contiene quindi un duplice riferimento topografico: 1) alla circoscrizione del Tribunale ; 2) alla sede dell’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso. Il secondo riferimento topografico coincide con la sede – e quindi con il comune dove è ubicata la sede – dell’autorità presso la quale il giudizio è in corso, per cui l’avvocato che è assegnato ad una determinata circoscrizione del Tribunale può esercitare innanzi a qualsiasi autorità che ha sede in quella circoscrizione senza necessità di elezione di domicilio altrove; al contrario, se quest’ultima ha sede in una diversa circoscrizione, l’avvocato è onerato dell’elezione di domicilio nel luogo sede dell’autorità giudiziaria adita; altrimenti opera ex lege l’elezione di domicilio presso la cancelleria di quella autorità giudiziaria.
Nella fattispecie in esame, infatti, l’avvocato ha eletto domicilio in primo grado presso un comune diverso da quello del giudice di pace adito, per cui la sentenza correttamente gli è stata notificata agli effetti dell’art. 325 cpc presso la Cancelleria di quel Giudice.
I Giudici del Palazzaccio, accogliendo la tesi dell’appellato, non assunta dal Tribunale in funzione di giudice d’appello, hanno condiviso la censura secondo cui il procuratore dell’appellante esercitando il proprio ufficio al di fuori del circondario del Tribunale adito ed avendo eletto domicilio in luogo diverso da quello in cui ha sede il Giudice adito, non ha ottemperato all’onere impostogli dalla legge, per cui la notifica della sentenza era stata regolarmente effettuata presso la cancelleria di detto Giudice.
Nei casi come quello in esame, quindi, se il procuratore assegnato fuori del circondario del Tribunale dove ha sede l’autorità giudiziaria adita non ha eletto domicilio nel luogo in cui è in corso il giudizio, esso si intende eletto presso la cancelleria dell’adito Giudice, con la conseguenza che la notifica della sentenza a quel procuratore, presso tale cancelleria, dà inizio al decorso del termine breve, utile per l’impugnazione. (ex multis cass. 25.8.2005 n. 17352 cfr SU 20845/2007).
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
M.B. (OMISSIS),
– RICORRENTE –
contro
SOCIETA’ alfa
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 1222/2011 del TRIBUNALE di POTENZA, depositata il 28/10/2011;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. M.B. ha proposto ricorso per cassazione contro la alfa s.p.a. avverso la sentenza n. 1222 del 28 ottobre 2011, con la quale il Tribunale di Potenza, in accoglimento dell’appello dell’intimata ed in riforma della sentenza pronunciata in primo grado inter partes dal Giudice di Pace di Bella, ha dichiarato improponibile la domanda che esso ricorrente aveva proposto per ottenere la restituzione di somme corrisposte in relazione alle spese di spedizione delle fatture dell’utenza in corso con la stessa Telecom.
2. Al ricorso, che propone due motivi, ha resistito con controricorso l’intimata.
3. Essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta comunicazione al Pubblico Ministero presso la Corte notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis sono state svolte le seguenti considerazioni:
“(…) 3.1. Il primo motivo, che deduce “nullità della sentenza per omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e 5 in relazione all’art. 274 c.p.c. e art. 151 disp. att. (c.p.c.)”, lamentando che, nonostante la richiesta di riunione dell’appello, formulata fin dalla comparsa di costituzione nel relativo giudizio, ad altri concernenti questioni identiche relative a controversie della stessa natura di altri utenti contro la Telecom, il Tribunale non vi avesse provveduto.
3.1.1. Il motivo è privo di fondamento.
La violazione da parte del giudice di merito, in ipotesi di appello, della norma dell’art. 151 disp. att. c.p.c. (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 19 e che è applicabile alla controversia, introdotta successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs.) non determina alcun vizio della sentenza, per un verso perchè non è sanzionata con la comminatoria di nullità e per altro verso perchè non si può reputare che, pur in mancanza di previsione espressa della nullità, quest’ultima possa sostenersi sulla base del principio per cui, al di là della previsione di legge, un atto processuale è nullo, se non presenta i requisiti formali che ne consentano il raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 2).
Infatti, la pronuncia della sentenza senza la riunione agli altri procedimenti caratterizzati da identità delle questioni non determina come conseguenza che la sentenza stessa, quale atto finale del giudizio, sia inidonea al raggiungimento dello scopo di decidere la causa, ma provoca soltanto il rischio che la decisione possa non essere coincidente nella soluzione con quella degli altri procedimenti, così determinando su questioni identiche decisioni contrastanti o dissimili. Questa conseguenza, essendo però estranea al singolo processo e derivando solo dal confronto fra le distinte decisioni e non escludendo affatto che ognuna possa estrinsecare i suoi effetti, non può essere considerata come fattispecie di mancato raggiungimento dello scopo sanzionabile con la nullità.
Nè a diversa conclusione si può pervenire se si ipotizza che ulteriore valore che individua lo scopo della norma dell’art. 151 è quello assicurare che gli onorati di avvocato siano liquidati in misura ridotta, tenuto conto che le questioni sono identiche. Non solo questo suppone che il difensore sia il medesimo, ma implicherebbe che il mancato raggiungimento dello scopo sia riferibile solo alla parte della sentenza che liquida gli onorali e, dunque, una impugnazione al riguardo non potrebbe essere svolta sostenendosi, come è accaduto la nullità della sentenza bensì solo che le spese liquidate sono eccessive. Cosa che il motivo in esame non ha fatto.
4. Con il secondo motivo si deduce “violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 327 c.p.c. e R.D. n. 37 del 1934, art. 82”.
Vi si lamenta che, nonostante l’eccezione formulata nella comparsa di costituzione in appello, il Tribunale abbia considerato l’appello espressamente proposto tempestivamente, nella supposizione dell’osservanza del termine c.d. lungo, quando, invece, era stata postulata la tardività a motivo che, avendo la alfa spa in primo grado agito con un difensore non iscritto nell’albo del circondario del Tribunale di Potenza, in cui è compreso il Giudice di Pace di Bella, ed essendosi detto difensore domiciliato presso difensore iscritto in quell’albo, ma non in Bella, bensì in Potenza, la sentenza di primo grado era stata notificata preso la cancelleria, considerando domiciliata ivi la Telecom ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.
4.1. Il motivo è fondato, perchè, quando un difensore agisce davanti ad un ufficio del giudice di pace che non è compreso nel circondario del tribunale al cui albo professionale è iscritto e si vale di un difensore soltanto domiciliatario iscritto in quell’albo non gli è consentito di eleggere domicilio presso di lui, se quest’ultimo non si trova nel luogo sede del giudice di pace adito, in quanto l’art. 82 citato esige che la domiciliazione sia fatta nel comune dove ha sede l’ufficio adito.
Nella specie la stessa alfa spa asserisce di essersi domiciliata con il suo difensore agente al di fuori del circondario non già a Bella bensì a Potenza, sia pure presso difensore domiciliatario iscritto nel relativo albo potentino.
E tanto risulta, fra l’altro, dalle produzioni in atti.
Viene in rilievo, al riguardo, il seguente principio di diritto, ancorchè affermato con riferimento a giudizio introdotto davanti al pretore, ma che si presta a regolare anche l’ipotesi di introduzione del giudizio dianzi al giudice di pace: “Nel procedimento dinanzi al giudice monocratico, l’art. 58 disp. att. c.p.c., ove prevede la notificazione degli atti presso la cancelleria, nei confronti della parte che non abbia fatto dichiarazione di residenza od elezione di domicilio a norma dell’art. 314 c.p.c., riguarda il solo caso in cui la parte stia in giudizio personalmente, mentre, nel caso di costituzione a mezzo di procuratore, la notificazione medesima, a norma del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, va effettuata, se il procuratore operi nell’ambito della propria circoscrizione, nel domicilio da esso indicato o risultante dall’albo professionale (ancorchè si trovi in un comune diverso da quello della sede dell’ufficio giudiziario), ovvero, quando eserciti fuori di detta circoscrizione, nel domicilio eletto nel luogo della sede dell’ufficio giudiziario, considerandosi, in difetto, elettivamente domiciliato presso la cancelleria di quell’ufficio. (Nella specie il procuratore della parte, nel costituirsi davanti a un pretore il cui mandamento era ricompreso in un circondario di tribunale – quello di Frosinone – diverso, pur nell’ambito dello stesso distretto di Corte d’Appello – quello di Roma -, aveva eletto domicilio non già nel comune sede della pretura – Ceccano -, ma nel comune capoluogo del relativo circondario. Conseguentemente la Suprema Corte, sulla base del suindicato principio, ha ritenuta idonea, al fine del decorso nel termine breve di impugnazione, la notificazione della sentenza a detto procuratore eseguita presso la cancelleria della pretura)”.
Il secondo motivo sembra, pertanto, doversi accogliere perchè manifestamente fondato.
La sentenza dovrebbe essere cassata senza rinvio con dichiarazione che l’appello non poteva essere proposto perchè tardivo”.
2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione alle quali si ritiene opportuno aggiungere a conferma le seguenti considerazioni.
Di recente Cass. n. 7658 del 2013 ha ribadito, agli effetti dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, il principio di diritto secondo cui “Il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – non è stato tacitamente abrogato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 170 c.p.c., nè delle norme che disciplinavano l’iscrizione nell’albo dei procuratori, nè dalla L. 24 febbraio 1997, n. 27, art. 1 e 6 che, nel sopprimere la distinzione tra procuratori legali ed avvocati, non ha eliminato l’attività procuratoria. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1)”.
Cass. sez. un. n. n. 10143 del 2012, nell’affermare il principio di diritto secondo cui “Il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorchè appartenente allo stesso distretto di quest’ultima”, in motivazione ha argomentato e ribadito che “l’art. 82 contiene quindi un duplice riferimento topografico: alla circoscrizione del tribunale ed alla sede dell’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso” ed ha, di seguito ribadito che “il secondo riferimento topografico coincide con la sede – e quindi con il comune dove è ubicata la sede – dell’autorità presso la quale il giudizio è in corso”, soggiungendo che “quindi l’avvocato che è assegnato ad una determinata circoscrizione del tribunale può esercitare innanzi a qualsiasi autorità che ha sede in quella circoscrizione senza necessità di elezione di domicilio altrove. Ma se quest’ultima ha sede in una diversa circoscrizione, l’avvocato è onerato dell’elezione di domicilio nel luogo sede dell’autorità giudiziaria adita; altrimenti opera ex lege l’elezione di domicilio presso la cancelleria di quella autorità giudiziaria”.
Le affermazioni delle Sezioni Unite non potrebbero essere più chiare nell’evidenziare come l’art. 82 imponga la domiciliazione presso l’autorità giudiziaria adita e non presso la sede del tribunale diverso da quello di iscrizione, nell’ambito del quale l’avvocato agisce.
E ciò, stante la ratio della norma, deve ritenersi anche per il caso in cui la domiciliazione sia fatta presso un collega iscritto nell’albo della circoscrizione del tribunale di appartenenza dell’autorità adita.
3. Il primo motivo di ricorso è rigettato sulla base del seguente principio di diritto: “La violazione da parte del giudice di merito, in ipotesi di appello, della norma dell’art. 151 disp. att. c.p.c. (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 19 e che è applicabile alla controversia, introdotta successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs.) non determina alcun vizio della sentenza, per un verso perchè non è sanzionata con la comminatoria di nullità e per altro verso perchè non si può reputare che, pur in mancanza di previsione espressa della nullità, quest’ultima possa sostenersi sulla base del principio per cui, al di là della previsione di legge, un atto processuale è nullo, se non presenta i requisiti formali che ne consentano il raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Per altro verso ancora, l’incidenza della mancata riunione sulle spese giudiziali può essere fatta valere solo come motivo di censura rispetto alla parte della sentenza impugnata concernente la liquidazione delle spese”.
Il secondo motivo è accolto e la sentenza è cassata senza rinvio perchè l’appello non poteva essere proposto in quanto tardivo sulla base del seguente principio di diritto: “Il R.D. n. 37 del 1934, art. 82, là dove impone all’avvocato iscritto nella circoscrizione di un determinato tribunale di domiciliarsi, allorquando agisce al di fuori della sua circoscrizione di iscrizione, presso l’autorità giudiziaria adita, prevede questo obbligo anche qualora detta autorità sia rappresentata da un giudice di pace, dovendo, dunque, escludersi che egli si possa domiciliare presso il comune sede del tribunale nella cui circoscrizione agisce (o presso un diverso comune in essa compresa) ed essendo necessaria la domiciliazione nel comune sede del giudice di pace adito, senza che in contrario possa rilevare che la domiciliazione sia stata fatta comunque presso un avvocato iscritto nella circoscrizione in cui è compreso quel giudice. Ne segue che, ove il detto avvocato, come nella specie, si sia domiciliato in primo grado presso un comune diverso da quello del giudice di pace adito, la sentenza gli viene notificata correttamente agli effetti dell’art. 325 c.p.c. presso la cancelleria di quel giudice”.
Le statuizioni della sentenza di primo grado restano ferme.
Deve provvedersi alla liquidazione delle spese del giudizio di appello, oltre che di quelle del giudizio di cassazione.
Le spese del giudizio di appello si possono compensare, atteso che il presente ricorso viene accolto quanto ad un motivo e rigettato quanto all’altro, mentre quelle del giudizio di cassazione, liquidate alla stregua del D.M. n. 140 del 2012, possono porsi a carico della Telecom nella loro interezza.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo e cassa la sentenza impugnata senza rinvio perchè l’appello non poteva essere proposto. Compensa le spese del giudizio di appello. Condanna la resistente alla rifusione al ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro duemilacento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2013
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Numero Protocolo Interno : 602/2013