ISSN 2385-1376
Testo massima
L’elusione fiscale sussiste soltanto qualora sia dimostrato che il vantaggio tributario conseguito sia da considerarsi “indebito”, ossia contrario alla ratio della disciplina che lo contempla.
Con l’ordinanza n. 6415 del 19/03/2014, i Supremi Giudici della Cassazione civile, sezione sesta, fissano un’ulteriore limite sulle possibilità, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, di poter (legittimamente) contestare l’abuso del diritto su operazioni commerciali poste in essere dal contribuente.
Nel caso di specie, un contribuente impugnava un avviso di accertamento ai fini Irpef, col quale l’Agenzia delle Entrate contestava un’articolata cessione immobiliare: a detta degli uffici finanziari, infatti, l’atto di vendita con cui una società a base familiare, aveva venduto al contribuente un appartamento, costituiva in realtà un atto di liquidazione della quota sociale di pertinenza del contribuente, e come tale fonte di plusvalenza imponibile ai fini Irpef.
I Giudici di primo grado accoglievano integralmente l’istanza del contribuente che, tuttavia, vedeva ribaltarsi il verdetto in Ctr, laddove venivano accolte le doglianze dell’Agenzia, con conseguente dichiarazione di legittimità dell’avviso impugnato.
La Cassazione, chiamata pronunciarsi sul caso de quo, ha, tuttavia, stabilito che “non c’è abuso se non c’è risparmio fiscale (e questo risparmio non costituisce la ragione dell’abuso), e comunque il recupero fiscale non può essere superiore al vantaggio conseguito con l’abuso“. A parere del Supremo Consesso quindi, per addivenire alla conclusione che le operazioni poste in essere dal contribuente abbiano costituito un abuso del diritto e quindi per accertare la portata di tale eventuale abuso, occorre preliminarmente che l’Ufficio individui in maniera analitica il regime e gli oneri fiscali che il contribuente avrebbe dovuto assolvere se avesse seguito le procedure che l’Amministrazione ritiene “più semplici e lineari“, non potendo la stessa meramente limitarsi a criticare apoditticamente le operazioni concluse dal contribuente le quali, sebbene complesse ed articolate, sono da considerarsi del tutto legittime e corrette.
Ebbene con questa ulteriore pronuncia, la Corte ha rafforzato l’orientamento giurisprudenziale con cui sia i giudici di legittimità che di merito (vedi per tutti: Cass.n. 20030/2010, Ctp Reggio Emilia 140/3/2013) hanno sconfessato apertamente l’operato dell’Amministrazione Finanziaria, qualora la stessa non dimostri expressis verbis quali siano le norme tributarie aggirate dal contribuente per addivenire al risparmio d’imposta.
Alla luce di tali considerazioni, i Giudici di legittimità hanno, dunque, cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14740/2012 proposto da:
B.L. ((OMISSIS)) elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 49, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato ((OMISSIS), giusta delega a margine del ricorso;
– RICORRENTE –
CONTRO
AGENZIA DELLE ENTRATE ((OMISSIS)) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 75/38/2011 della Commissione Tributaria Regionale di TORINO del 26.9.2011, depositata il 10/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2014 dal Presidente Relatore Dott. MARIO CICALA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il sig. B. ricorre avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte 75/3 8/11 del 10 novembre 2011, che accoglieva l’appello dell’ufficio affermandola validità di avviso di accertamento dei redditi a fine irpef per l’anno 2003 emesso dalla Agenzia.
L’Agenzia affermava che l’atto di vendita con cui la società semplice Bael, a base familiare, aveva venduto al sig. B. L. un appartamento sito in (OMISSIS), costituiva – nella sostanza – un atto di liquidazione della quota sociale della B. di pertinenza di B.L., e quindi era fonte di plusvalenza tassabile ai fini IRPEF. 2. L’Agenzia si è costituita in giudizio.
E’ stata depositata la seguente relazione:
3. Il ricorso appare fondato.
La Amministrazione ha contestato al sig. B.L. un abuso di diritto, affermando che la complessa vicenda societaria attraverso cui è stato prima gestito e poi diviso fra i germani L. ed E., il patrimonio immobiliare della famiglia, intestato alla società semplice B., aveva determinato un risparmio fiscale di circa 60 mila Euro, sottraendo al fisco un imponibile circa doppio.
E’ d’altronde ragionevole che l’Agenzia – posta a fronte di una serie di operazioni piuttosto inconsuete – sospetti un imbroglio ai danni dell’Erario.
Per addivenire alla conclusione che le operazioni poste in essere dalla famiglia B. ed in specie da B.L. hanno costituito un abuso di diritto, e per accertare la portata di tale eventuale abuso, occorre però preliminarmente individuare il regime e gli oneri fiscali che il sig. B.L. avrebbe dovuto affrontare se avesse seguito le procedure che la Amministrazione ritiene più semplici e lineari. E’ infatti evidente che il disconoscimento delle operazioni definite abusive comporta l’applicazione del regime fiscale proprio delle operazioni “non abusive” che avrebbero consentito di raggiungere lo stesso risultato economico; con la conseguenza che non c’è abuso se non c’è risparmio fiscale (e questo risparmio non costituisce la ragione dell’abuso), e che comunque il recupero fiscale non può essere superiore al vantaggio conseguito con l’abuso.
A questo fine occorre – in primo luogo – stabilire se sia legittimo e fondato l’accertamento dell’ufficio che ha attribuito all’immobile trasferito al sig. B.L. un valore triplo rispetto a quello indicato nella compravendita intercorsa fra B.L. e la società semplice B., di cui erano soci i germani B.L. ed E. (valore non contestato dall’ufficio in quanto conforme ai parametri della valutazione automatica dei beni attraverso la capitalizzazione della rendita catastale). Se infatti viene tenuto fermo il valore di ottanta mila Euro (indicato nella compravendita) B.L. non avrebbe conseguito nessun vantaggio fiscale; in quanto il suo recesso dalla società con assegnazione dell’appartamento di cui si discute non avrebbe determinato alcuna plusvalenza ai fini IRPEF (essendo il valore della di lui quota, in base al costo di acquisto degli immobili rivalutato, in base ai parametri di cui al D.M. 19 febbraio 1999, pari a circa 96 mila Euro); quindi la diversa via scelta dai germani e costituita dalla compravendita dell’appartamento, seguita poi dalla vendita ad E. della quota di L., non ha dato luogo ad un indebito vantaggio fiscale.
A questo scopo occorre tener presente che nella determinazione del valore di un immobile, ai fini della applicazione dell’imposta sui redditi, il valore riconosciuto in sede di imposta di registro, assume quanto meno un forte valore indiziario. Specie quando tale valore sia superiore a quanto deriva dalla applicazione dei parametri di cui al quarto comma del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, che costituiscono un ulteriore importante fattore presuntivo (sentenza n. 2228 del 31 gennaio 2011). Ed un ulteriore elemento di cui tener conto è costituito dal costo di acquisto degli immobili, rivalutato in base ai parametri di cui al D.M. 19 febbraio 1999.
Poichè la sentenza di secondo grado non ha affrontato questo profilo della controversia e si è acriticamente adagiata sul valore indicato dalla Amministrazione, il Collegio ha ritenuto di accogliere il primo motivo di ricorso con assorbimento degli altri.
P.Q.M.
La corte accoglie primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che deciderà anche per le spese del presente grado.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile, il 6 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2014
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Numero Protocolo Interno : 272/2014