ISSN 2385-1376
Testo massima
Condannato per danno da ritardo il Ministero della Giustizia qualora non corrisponda l’equa riparazione nei confronti della parte che in Appello abbia ottenuto il riconoscimento del relativo indennizzo ai sensi della “legge Pinto”.
La quantificazione del pregiudizio risarcibile va commisurata alla durata del ritardo nel soddisfacimento della pretesa creditoria e deve essere effettuata prendendo a riferimento la commisurazione degli interessi moratori dovuti dall’Amministrazione per il ritardo nel pagamento delle somme liquidate.
Tale misura dovrà quindi essere corrisposta a titolo di risarcimento del danno da ritardo, a carico dell’Amministrazione, a far tempo dalla notificazione del titolo giudiziario in forma esecutiva e fino all’effettivo soddisfacimento del credito.
Questo quanto stabilito dal Tar Lazio, con la sentenza n. 8746 del 24 ottobre 2012.
La Legge Pinto (legge 24 marzo 2001, n. 89) prevede, come è noto, il diritto della parte ad ottenere un indennizzo per l’eccessiva durata di un procedimento giudiziario, indennizzo commisurato alla durata del “ritardo” nella emissione del provvedimento definitivo.
Con l’art. 49 la stessa legge ha introdotto per il processo civile l’istituto della cd. penalità di mora prevedendo l’applicazione di una misura coercitiva indiretta che, con riferimento alle sole sentenze aventi per oggetto obblighi di non fare o di fare infungibile, induce il debitore ad adempiere al provvedimento di condanna.
In sede di giudizio di ottemperanza il giudice può, inoltre, condannare l’amministrazione, su richiesta di parte ricorrente, al pagamento di una somma di denaro dovuta per ogni violazione o inosservanza successiva del giudicato, ovvero per ogni ritardo nella sua esecuzione. È quanto dispone l’art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., che ha inserito nel processo amministrativo, in parallelo a quanto disposto per il giudizio civile dall’art. 614-bis c.p.c., l’istituto della penalità di mora per ritardo nell’esecuzione del giudicato, comunemente detta “astreinte“, istituto che può invece, essere applicato in questa sede anche alle sentenze di condanna pecuniaria della P.A.
La disposizione in parola assolve, infatti, ad una finalità sanzionatoria e stabilisce che in caso di omessa esecuzione di una sentenza passata in giudicato che ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento di somme di denaro ex legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), a titolo di equo indennizzo per eccessiva durata del processo, una volta decorso il semestre di tolleranza, il G.A., adito in sede di esecuzione del giudicato, può condannare il Ministero al risarcimento dei danni da ritardo.
La penalità di mora così identificata, non è volta, perciò, a riparare il pregiudizio cagionato dall’esecuzione della sentenza ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento.
Nel caso di specie la Suprema Corte di Cassazione aveva riconosciuto, in favore di un soggetto, una determinata somma a titolo di indennizzo ex legge Pinto, oltre interessi legali dalla data della domanda, nonché il rimborso delle spese di giudizio.
Parte ricorrente, non vedendosi accreditare la somma decisa in sentenza, ha perciò proposto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, chiedendo la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della stessa, nonché l’ulteriore condanna al risarcimento del danno da ritardo, con decorrenza dalla presentazione della domanda giudiziale dinanzi alla Corte d’Appello.
Il Tar ha accolto il ricorso argomentando che la cd. “Legge Pinto”, dando esecuzione nel nostro ordinamento alle pronunce della CEDU, prevede il diritto alla parte ad ottenere un indennizzo per l’eccessiva durata di un procedimento giudiziario valutato rispetto al “ritardo” nella emissione del provvedimento definitivo.
La CEDU ha, in particolare, predisposto che per l’ipotesi in cui le autorità restino inerti a seguito dell’emissione dei provvedimenti che liquidano l’indennizzo, tra il momento ove il provvedimento del giudice diviene esecutivo e quello del pagamento, possa intercorrere un arco temporale di “tolleranza”, equitativamente commisurato in sei mesi, escludendo che la mancanza di risorse finanziarie possa giustificare l’inadempimento dell’obbligazione debitoria riconosciuta in sede giurisdizionale, dovendo il Ministero “operare le necessarie variazioni di bilancio al fine di acquisire la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie al pagamento degli indennizzi”.
In particolare, in merito al danno da ritardo, introdotto nel processo amministrativo dall’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., i giudici amministrativi si sono espressi contrariamente all’orientamento secondo cui l’istituto della penalità di mora costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili, e non applicabile quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento consiste, esso stesso, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria.
Seguendo l’orientamento del Consiglio di Stato, il Tribunale Amministrativo Regionale competente ha sottolineato che l’art. 114, co. 4, lett. e), c.p.a. è suscettibile di applicazione, anche nei casi in cui l’obbligo inadempiuto da parte dell’Amministrazione concerna obbligazioni pecuniarie, con la conseguenza che, anche con la sentenza di ottemperanza, può essere fissata, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e in assenza di ulteriori ragioni ostative, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato.
Il TAR Lazio, infatti, ha ritenuto che la misura prevista dall’art. 114, comma 4, lettera e), del c.p.a. assolva ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, non giustificando l’atteggiamento dell’Amministrazione che frapponga al soddisfacimento della pretesa del cittadino un ulteriore ritardo nella liquidazione dell’indennizzo previsto dalla legge n. 89 del 2001. Si affiancherebbe, infatti, in tal modo, all’ingiustificabile ritardo nella definizione del giudizio, un nuovo ed ulteriore arco temporale contraddistinto dalla inattività offerta dall’Amministrazione al soddisfacimento di una pretesa creditoria cristallizzata in un titolo giudiziale esecutivo, recante condanna al pagamento dell’importo liquidato a titolo indennitario.
Il Giudice Amministrativo ha individuato, infine, nella proporzionalità del risarcimento rispetto alla durata del ritardo il criterio più vicino al soddisfacimento del canone di equità e quello più funzionale ai fini dell’ottemperanza.
La quantificazione del pregiudizio risarcibile va commisurata alla durata del ritardo nel soddisfacimento della pretesa creditoria e deve essere effettuata prendendo a riferimento la commisurazione degli interessi moratori dovuti dall’Amministrazione per il ritardo nel pagamento delle somme liquidate (riferita ad un “interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali”).
Tale misura dovrà quindi essere corrisposta a titolo di risarcimento del danno da ritardo, a carico dell’Amministrazione, a far tempo dalla notificazione del titolo giudiziario in forma esecutiva e fino all’effettivo soddisfacimento del credito.
In conclusione il TAR ha ritenuto di evidenziare che anche al processo amministrativo è applicabile, tuttavia, la disposizione di cui all’art. 1227, comma 2, c.c. per cui un non giustificabile indugio nell’attivazione dei meccanismi processuali volti a conseguire l’attuazione del giudicato è suscettibile di essere valutato, ove connotabile in termini di inescusabile negligenza, nel novero dei comportamenti ‘negligenti’. In conseguenza di ciò ben può aversi una riduzione del risarcimento ex art. 114, comma 4, lett. e), nella misura equitativamente apprezzata dall’organo di giustizia, con riferimento alla coordinata temporale rappresentata dal ritardato esperimento del rimedio giudiziale.
Segue una rassegna delle pronunce giurisprudenziali più recenti sul tema, già oggetto di commento su questa rivista.
Principi e rassegna giurisprudenziale sul risarcimento dei danni da irragionevole durata del processo
Articolo giuridico | 12-02-2014 | Legge 24 marzo 2001 n.89; d.l. 22 giugno 2012, n.83
La contumacia della parte non preclude il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo
Ordinanza | Cassazione civile, sezioni unite | 14-01-2014 | n.585
Il danno non patrimoniale si presume sino a prova contraria
Altro | Cassazione civile, sezione seconda | 20-01-2014 | n.1070
E’ configurabile anche in relazione ai procedimenti di esecuzione forzata
Sentenza | Cassazione civile, sezione sesta | 15-07-2013 | n.16029
Quando il processo è ancora pendente, non è previsto alcun termine di prescrizione per proporre la relativa domanda.
Sentenza | Cassazione civile, sezioni unite | 02-10-2012 | n.16783
Testo del provvedimento
In allegato il testo integrale del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 108/2012