Testo massima
In tema di ragionevole
durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 (c.d. Legge Pinto),
nello stabilire che la domanda di equa riparazione deve essere proposta,
a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione è divenuta
definitiva, fa specifico riferimento alla
decisione che conclude il procedimento e, cioè, a quella finale che, come tale,
è in linea di principio immutabile non appena viene ad esistenza, non essendo
ulteriormente impugnabile (salvo che in alcune ipotesi tassativamente
previste), con la conseguenza che, con riguardo alla domanda di equa
riparazione per la eccessiva durata di un procedimento penale, il predetto
termine decorre dalla data della lettura pubblica del dispositivo della pronuncia della Corte di Cassazione, e non
già da quella del deposito della pronuncia, acquisendo ad ogni effetto da
quella data definitività la decisione di merito impugnata, e con essa
concludendosi il giudizio.
Così si
è pronunciata la sesta sezione civile della Corte di Cassazione, con la
sentenza n.22767 del 04.10.2013, fornendo un importante chiarimento sui termini
di presentazione della domanda di “equa riparazione” per l’irragionevole durata
del processo, laddove in sede di giudizio penale si tratti di individuare
l’atto conclusivo del procedimento tra la data di lettura pubblica del
dispositivo e la data di deposito della pronuncia.
In particolare, i ricorrenti hanno censurato la pronuncia
della Corte d’appello di Catanzaro – funzionalmente competente a decidere sulla
domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali – nella parte in cui
quest’ultima aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso, in quanto dalla
data della lettura del dispositivo – 11 giugno 2010 – a quella del deposito del
ricorso per equa riparazione – 31 marzo 2011 – era trascorso un termine
certamente superiore ai sei mesi.
Ebbene la Suprema Corte non ha ritenuto di doversi
discostare dal proprio consolidato orientamento ed ha perciò rigettato il
ricorso, richiamando il principio già espresso nella sentenza n. 3264 del 2007 e statuendo quanto
sopra riportato, vale a dire che l’atto conclusivo del procedimento penale, momento
nel quale la decisione diviene definitiva, che fissa altresì il termine dies a quo per la proposizione della
domanda di equa riparazione, va individuato nella lettura del dispositivo in
udienza da parte dei Giudici di Cassazione, a nulla rilevando le asserzioni di
parte ricorrente, circa la presunta pendenza del processo penale in virtù della
proponibilità del ricorso straordinario ex art. 625-bis cpp.
La Corte ha vieppiù precisato che tale orientamento,
oltre a non costituire violazione dell’art.117 Cost, in riferimento all’art.
35, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, è perfettamente coerente con il disposto dell’art. 648 cpp, comma
2, secondo periodo, laddove si stabilisce che, se vi è stato ricorso per
cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata
l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso,
come è confermato dall’art. 625-bis cpp, comma 2, che, nel prevedere che la
presentazione del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto non
sospende gli effetti del provvedimento, cioè l’efficacia del giudicato penale
formatosi con la pronuncia della Corte di cassazione, è perfettamente coerente
con la menzionata disposizione di cui all’art. 648 cpp., perchè presuppone
appunto la già conseguita irrevocabilità della sentenza oggetto di ricorso per
cassazione.
La pronuncia della Corte contribuisce a consolidare
l’orientamento dei giudici di legittimità su una normativa di fondamentale
importanza in relazione alla rilevanza costituzionale dei diritti che essa si
propone di tutelare, anche in considerazione del fatto che la stessa è stata
introdotta nel nostro ordinamento in tempi relativamente recenti, dando fin da
subito impulso al sorgere di un elevato numero di domande di “equa
riparazione”, stante la ormai
patologica lentezza della “macchina della giustizia”.
Per approfondimenti sul tema, si vedano i seguenti
articoli:
IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: IL RISARCIMENTO
SPETTA ANCHE AL CONTUMACE
La contumacia della parte
non preclude il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
irragionevole durata del processo.
Ordinanza | Cassazione
civile, sezioni unite | 14-01-2014 | n.585
IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: LA SUSSISTENZA DEL
DANNO NON DEVE ESSERE PROVATA
Il danno non patrimoniale
si presume sino a prova contraria.
Altro | Cassazione civile,
sezione seconda | 20-01-2014 | n.1070
DIRITTO ALL’EQUA RIPARAZIONE PER IL MANCATO RISPETTO
DEL TERMINE RAGIONEVOLE DEL PROCESSO
E’ CONFIGURABILE ANCHE IN
RELAZIONE AI PROCEDIMENTI DI ESECUZIONE FORZATA.
Sentenza | Cassazione
civile, sezione sesta | 15-07-2013 | n.16029
Quando il processo è
ancora pendente, non è previsto alcun termine di prescrizione per proporre la
relativa domanda.
Sentenza | Cassazione
civile, sezioni unite | 02-10-2012 | n.16783
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 30456-2011 proposto da:
M.V. (OMISSIS) M.M.R., elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi
dall’avvocato RAFFAELLA ROMEO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto nel
procedimento R.G. 465/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO del 4.8.2011,
depositato il 26/09/2011;
E’ presente il Procuratore
Generale in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
che V. e M.M.R., con ricorso del
7 dicembre 2011, hanno impugnato per cassazione – deducendo un articolato
motivo di censura, illustrato con memoria -, nei confronti del Ministro della
giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Catanzaro depositato in data 26
settembre 2011, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dei
M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi
della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il
Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso non
opponendosi all’accoglimento della domanda con compensazione delle spese -, ha
dichiarato inammissibile il ricorso;
che resiste, con controricorso,
il Ministro della giustizia, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, alla quale è stato notificato il ricorso in rinnovazione il 30
aprile 2013 (cfr. ordinanza interlocutoria n. 5305/13 del 4 marzo 2013);
che, in particolare, la domanda
di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole
durata del processo penale presupposto – proposta con ricorso del 31 marzo
2011, era fondata sui seguenti fatti: a) i M. erano stati sottoposti a
procedimento penale promosso nel 1999 per i reati di truffa e di truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (artt. 640 e 640-bis
cod. pen.); b) tale processo era stato deciso dalla Corte di cassazione con
sentenza in data 11 giugno 2010 (lettura del dispositivo), depositata in data 1
ottobre 2010; c) avverso tale sentenza i M. avevano proposto ricorso
straordinario per errore materiale o di fatto di cui all’art. 625-bis cod.
proc. pen., definito in data 15 luglio 2011;
che la Corte d’Appello di
Catanzaro, con il suddetto decreto impugnato ha affermato che: a) qualora –
come nella specie – il processo presupposto sia un procedimento penale, il
termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 decorre dalla data
della lettura in pubblica udienza del dispositivo della sentenza della Corte di
cassazione e non già dalla data del deposito in cancelleria della stessa
sentenza; b) conseguentemente, nella specie, dalla data della lettura del
dispositivo – 11 giugno 2010 – a quella del deposito del ricorso per equa
riparazione – 31 marzo 2011 – era trascorso un termine certamente superiore ai
sei mesi.
che, con il motivo di censura,
vengono dai ricorrenti ribadite le tesi secondo cui, al momento del deposito
del ricorso per equa riparazione, il processo penale presupposto doveva essere
considerato ancora pendente a seguito della proposizione del ricorso
straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen., e secondo cui, in ogni
caso, il termine semestrale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 decorre
dalla data del deposito della sentenza della Corte di cassazione;
che, preliminarmente, non vi sono
valide ragioni per discostarsi – come vorrebbe, invece, l’Avvocatura erariale –
dal costante orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per
cassazione proposto nei confronti della Pubblica Amministrazione, la nullità
della notificazione eseguita presso l’Avvocatura distrettuale anzichè presso l’Avvocatura
generale dello Stato resta sanata, con effetto ex tunc, non soltanto dalla costituzione in giudizio, anche dopo il
decorso del termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., dell’Amministrazione
medesima rappresentata dall’Avvocatura generale, ma anche dalla rinnovazione
della notificazione stessa presso detta Avvocatura generale, ancorchè
posteriore alla scadenza del termine per impugnare, sia quando il ricorrente a
ciò provveda di propria iniziativa, anticipando l’ordine contemplato dall’art.
291 cod. proc. civ., sia quando agisca in esecuzione di tale ordine (cfr., ex
plurimis, la sentenza n. 9411 del 2011);
che il ricorso non merita
accoglimento;
che, secondo il costante
orientamento di questa Corte, in tema di ragionevole durata del processo, la L.
24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nello stabilire che la domanda di equa riparazione
deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la
decisione è divenuta definitiva, fa specifico riferimento alla decisione che
conclude il procedimento e, cioè, a quella finale che, come tale, è in linea di
principio immutabile non appena viene ad esistenza, non essendo ulteriormente
impugnabile (salvo che in alcune ipotesi tassativamente previste), con la
conseguenza che, con riguardo alla domanda di equa riparazione per la eccessiva
durata di un procedimento penale, il predetto termine decorre dalla data della
lettura pubblica del dispositivo della pronuncia della Corte di cassazione, e
non già da quella del deposito della pronuncia, acquisendo ad ogni effetto da
quella data definitività la decisione di merito impugnata, e con essa
concludendosi il giudizio (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 3264 del 2007);
che, inoltre, nel ribadire tale
principio, questa Corte ha più volte precisato che in esso non è ravvisabile
alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 35, par.
1, della CEDU, in quanto la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, stabilendo che la
domanda di equa riparazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro
sei mesi dal momento in cui la decisione è divenuta definitiva, fa specifico
riferimento alla decisione che conclude il procedimento e, cioè, a quella
finale che, sulla base delle norme nazionali di riferimento, si identifica, nel
caso della pronuncia che definisca un processo penale all’esito della
trattazione in pubblica udienza innanzi alla Corte di cassazione, in quella
pubblicata in udienza subito dopo la deliberazione, mediante lettura del
dispositivo fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato ed è
immutabile in quanto non ulteriormente impugnabile con i mezzi ordinali (cfr.,
ex plurimis, le sentenze nn. 14725 del 2013 e 10070 del 2008);
che – deve aggiungersi – l’art.
648 c.p.p., comma 2, secondo periodo, stabilisce che, Se vi è stato ricorso per
cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata
l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, come
è confermato dall’art. 625-bis c.p.p., comma 2, che, nel prevedere che la
presentazione del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto non
sospende gli effetti del provvedimento, cioè l’efficacia del giudicato penale
formatosi con la pronuncia della Corte di cassazione, è perfettamente coerente
con la menzionata disposizione di cui all’art. 648 cod. proc. pen., perchè
presuppone appunto la già conseguita irrevocabilità della sentenza oggetto di
ricorso per cassazione (cfr., ex plurimis, la sentenza, sez. 6 pen., n. 5694
del 2008);
che risultano, così, smentite
ambedue le tesi sostenute dai ricorrenti;
che le spese del presente grado
del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna i
ricorrenti, in solido tra loro, alle spese, che liquida in complessivi Euro
3.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 24 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4
ottobre 2013
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