ISSN 2385-1376
Testo massima
Con decreto del 04/10/2012 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha negato la concessione del provvedimento di esdebitazione, chiesto dai soci illimitatamente responsabili della società in nome collettivo fallita, sul presupposto che i debitori non avevano cooperato con gli organi della procedura, essendovi stata una irregolare tenuta delle scritture contabili, nonché per la esigua ed irrisoria percentuale di riparto.
In particolare, il Giudice ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per la concessione del beneficio, previsti dall’art. 142 l.f., sia dal punto di vista oggettivo (soddisfacimento almeno parziale dei creditori), sia dal punto di vista soggettivo (mancanza di condotte distrattive dell’attivo o volte ad aggravare il dissesto, rendendo difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari).
In merito al primo elemento, il Tribunale si è uniformato al principio espresso dalla Suprema Corte a sezioni unite con sent. 24215 del 18/11/2011, con la quale è stato affermato che ai fini della concessione del beneficio è sì sufficiente che siano stati soddisfatti almeno una parte dei creditori, anche ove alcuni siano rimasti totalmente insoddisfatti, ma è consentita al giudice di merito la valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto.
Quanto all’elemento soggettivo, il Giudice ha rigettato il ricorso in applicazione dell’art. 142 comma 1, n. 5, ritenendo rilevante la condotta dei soci istanti, i quali come chiarito dal curatore non avevano tenuto la documentazione giustificativa dei crediti per le forniture effettuate, ma solo appunti e bollette varie, con ciò determinando l’impossibilità di ricostruire adeguatamente il patrimonio e il movimento degli affari e di fatto sottraendo al soddisfacimento dei creditori il possibile ricavato della riscossione dei crediti della società.
Alla luce di tali principi il Tribunale ha respinto il ricorso evidenziando, in particolare, che il presupposto soggettivo di cui all’art. 142 co. 1, n. 5 l.f., è integrato non soltanto da condotte distruttive del patrimonio, ma da tutti i comportamenti che rendano difficoltosa per gli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
L’ESDEBITAZIONE – APPROFONDIMENTO
L’istituto della esdebitazione è stato introdotto dal legislatore con la riforma del diritto fallimentare, avvenuta con il Decreto Legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5 (modificato dal D. lgs. 12 settembre 2007, n. 1699) e la relativa disciplina è contenuta negli articoli 142 e seguenti della Legge Fallimentare.
La finalità di tali norme è quella di consentire all’imprenditore fallito di riavviare da zero la propria attività (cd. “fresh start”) dopo aver azzerato i debiti pregressi.
In tale ottica, il beneficio della esdebitazione consiste nella dichiarazione di “inesigibilità” dei debiti non soddisfatti nella procedura concorsuale, per effetto della quale il fallito non potrà più subire azioni esecutive da parte dei creditori concorsuali.
L’esdebitazione può essere chiesta soltanto dagli imprenditori individuali e dai soci illimitatamente responsabili delle società personali.
In relazione a questi ultimi, la giurisprudenza di merito si è espressa precisando che l’esdebitazione non può essere concessa laddove siano stati soddisfatti esclusivamente i creditori particolari dei soci e non anche quelli della società, evidenziando che il fallimento individuale dei soci è una diretta conseguenza del fallimento della società, per cui ai fini della concessione del beneficio è indispensabile che vi sia stato un soddisfacimento, anche parziale, dei creditori sociali.
Del pari, ai fini della concessione del beneficio è sufficiente che siano stati soddisfatti i creditori della società e non anche i creditori particolari di tutti i singoli soci, atteso che il pagamento effettuato con i beni della società comporta il pagamento, anche se parziale, dei creditori sociali, in virtù della responsabilità sussidiaria prevista dagli artt. 2267 e 2268 del cod. civ.(Trib. Mantova, 12 luglio 2012, Tribunale di Udine, 13 gennaio 2012).
I presupposti dell’esdebitazione sono indicati nell’art. 142 l.f. e possono essere così riepilogati:
1. È necessario che il fallito abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;
2. Che non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
3. Che non abbia violato le disposizioni di cui all’articolo 48;
4. Che non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
5. Che non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
6. Che non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale.
Requisito indispensabile, inoltre, è che siano stati pagati almeno parzialmente i debiti concorsuali.
Tale ultimo requisito ha dato inizialmente adito a notevoli dubbi interpretativi, dovuti alla necessità di chiarire se la norma doveva essere intesa nel senso che tutti i creditori devono essere soddisfatti almeno in parte oppure nel senso che è necessario che almeno una parte dei creditori sia stata soddisfatta.
Dopo un primo periodo di incertezza interpretativa, si è espressa la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sent. N. 24215/2011, con la quale è stato chiarito che la norma va interpretata nel senso che ai fini della concessione del beneficio dell’esdebitazione “occorre il pagamento di una parte dei debiti esistenti, e sarà dunque compito del giudice del merito con il suo prudente apprezzamento, accertare quando ciò si sia verificato, quando cioè la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l’entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesti per il riconoscimento del beneficio sul quale è controversia”
Tale orientamento demanda, dunque, ai giudici di merito, di valutare caso per caso se la percentuale dei pagamenti effettuati possa considerarsi sufficiente, rispetto a quanto complessivamente dovuto, a determinare quella “parzialità” dei pagamenti, prevista dalla norma, per il riconoscimento del beneficio.
Tale condizione si può verificare, peraltro, anche laddove alcuni creditori non siano stati pagati affatto, spettando al giudice una valutazione comparativa della consistenza effettiva dei riparti rispetto al totale dovuto.
L’orientamento della Suprema Corte, invero, si uniforma ai principi ispiratori di tutta la riforma del diritto fallimentare, ove il fallimento non deve essere considerato un evento paralizzante rispetto all’attività di impresa, dovendosi invece consentire all’imprenditore fallito di ripartire da zero nella propria attività, azzerando i debiti pregressi e consentendo un nuovo rapido inserimento nel mercato.
Dall’esdebitazione sono esclusi soltanto:
gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa;
i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
Il decreto di accoglimento della domanda di esdebitazione produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di liquidazione che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo.
Per quanto riguarda la forma della domanda, è necessario che la stessa sia presentata, dal fallito o dagli eredi, al Tribunale ove si svolge o si è svolta la procedura concorsuale, e la relativa istanza può essere depositata sia nel corso della procedura che successivamente, ma entro un anno dal decreto di chiusura.
Il Tribunale deve fissare la data dell’udienza, stabilendo il termine entro cui il ricorrente dovrà notificare il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza al curatore ed a tutti i creditori.
Tale notifica è indispensabile ai fini della regolarità del contraddittorio, atteso che l’esdebitazione è idonea a produrre effetti nei confronti di tutti i creditori, rendendo inesigibili i crediti rimasti insoddisfatti.
Tale principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 30 maggio 2008 n. 181, con la quale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 143 della Legge fallimentare nella parte in cui esso, nel caso di procedimento di esdebitazione ad istanza del debitore nell’anno successivo al decreto di chiusura, non prevede la notificazione ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti del ricorso e del decreto di fissazione udienza e tanto in violazione del diritto di difesa.
Il decreto con cui è disposta l’esdebitazione è reclamabile entro dieci giorni dinanzi alla Corte di Appello e la legittimazione spetta al debitore, ai creditori non integralmente soddisfatti, al pubblico ministero e a qualunque interessato.
Il provvedimento emesso a seguito del reclamo è ricorribile in Cassazione.
Testo del provvedimento
in allegato il testo della sentenza
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Numero Protocolo Interno : 83/2012