ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di espropriazione forzata, il creditore pignorante, che intenda far valere nel processo già instaurato un ulteriore credito nei confronti del medesimo debitore, può intervenire nell’esecuzione ai sensi degli artt. 499 e segg. cod. proc. civ., purché in possesso dei generali requisiti occorrenti ai fini della relativa legittimazione.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11941-2007 proposto da:
alfa S.R.L.
– ricorrente –
contro
banca
– controricorrente –
sul ricorso 17952-2007 proposto da:
alfa S.R.L.
– ricorrenti –
contro
BETA SRL, MBANCA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 91/2007 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 06/02/2007 R.G.N. 411/04;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. per il n. di R.G. 11941/2007; il rigetto del ricorso per il n. di R.G. 17952/2007.
Svolgimento del processo
1.- Con ricorso depositato il 29 dicembre 2001 la ALFA srl premise che, avvalendosi di due contratti di mutuo fondiario, entrambi stipulati in data 2 agosto 1984, BANCA aveva notificato due atti di precetto, cui erano seguiti due atti di pignoramento, ed aveva iniziato due esecuzioni immobiliari, aventi i numeri n. 490/91 e n. 491/91 R.G.E. dinanzi al Tribunale di Salerno, dapprima riunite ad altre, queste ultime poi estinte, nelle quali era stata disposta la vendita dei beni staggiti. Tutto ciò premesso, la ALFA propose opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, lamentando l’illegittimità dei pignoramenti, siccome eseguiti anche per le semestralità successive, per somme non rese preliminarmente oggetto della specifica intimazione di cui al precetto;
l’eccessività delle somme pretese coi precetti posti a base dei pignoramenti, con conseguente illegittimità delle procedure per la parte eccedente le somme realmente dovute; la riduzione, comunque, di quanto dovuto, a seguito dei versamenti eseguiti durante la pendenza delle procedure esecutive. In subordine, l’opponente addusse l’illegittimità della pretesa dell’istituto di credito di conseguire quattro diverse voci di credito (la restituzione delle somme date a mutuo, il pagamento di interessi di mora su tali somme calcolati secondo un tasso di difficile identificazione, il pagamento degli importi corrispondenti agli interessi anticipatamente capitalizzati nei contratti quale corrispettivo per il mutuo, il pagamento degli interessi di mora su tali ultimi interessi, allo stesso tasso difficilmente identificabile).
1.2.- Si costituì il BANCA e chiese il rigetto dell’opposizione, replicando ai diversi motivi di questa.
1.3.- Con sentenza non definitiva pubblicata il 6 novembre 2003 il Tribunale di Salerno rigettò tutti i motivi di opposizione, ad eccezione di quelli relativi al cumulo degli interessi, che vennero invece accolti; riservò all’ulteriore prosieguo della causa l’esame delle domande di determinazione dell’esatta entità dei crediti azionati e di risarcimento del danno; rimise alla sentenza definitiva la regolamentazione delle spese processuali. Con separata ordinanza il Tribunale dispose per l’ulteriore istruzione della causa.
1.4.- Con sentenza definitiva pubblicata il 18 aprile 2006 il Tribunale di Salerno ha rigettato l’opposizione; ha dichiarato inammissibile la domanda di condanna dell’opponente al pagamento di somme in favore dell’opposta; ha condannato l’opponente a rifondere all’opposta le spese di lite, ponendo definitivamente a carico della prima le spese di C.T.U..
2.- Avverso la sentenza non definitiva venne proposto appello da parte di BANCA, chiedendo che, in parziale riforma, fosse rigettata interamente l’opposizione; con vittoria delle spese dei due gradi di giudizio.
2.1.- La ALFA resistette all’appello principale e propose, a sua volta, appello incidentale ed incidentale condizionato, chiedendo che fosse parzialmente riformata la sentenza non definitiva e, per l’effetto, fosse così deciso: “a) ritenere e dichiarare che i pignoramenti di cui in narrativa ed i procedimenti esecutivi n. 490/91 e n. 491/91 (riuniti alla procedura n. 49/86) sono stati validamente eseguiti ed instaurati esclusivamente a garanzia dei crediti o delle porzioni di crediti corrispondenti alle semestralità di mutuo scadute e non pagate fino alla data dell’1/1/91, per le quali solamente fu intimato il pagamento con atti di precetto;
ritenere e dichiarare che, invece, BANCA non poteva validamente procedere in via esecutiva in relazione ai crediti o porzioni di crediti corrispondenti alle semestralità di mutuo successive con accessori e conseguentemente dichiarare in parte qua inesistenti o almeno nulli, illegittimi ed inefficaci e/o comunque inammissibili ovvero improcedibili i pignoramenti stessi e le procedure esecutive n. 490/91 e n. 491/91; b) ritenere e dichiarare nulli e/o inefficaci le clausole e i patti, contenuti o richiamati nei contratti di mutuo di cui in narrativa, che prevedono il pagamento di interessi moratori in misura superiore al tasso legale o comunque ritenere e dichiarare inesigibili le relative obbligazioni e conseguentemente ritenere e dichiarare che gli eventuali interessi moratori sono dovuti dalla ALFA Srl nella misura del tasso legale; in subordine, nella denegata ipotesi che dovesse essere ritenuto applicabile per gli interessi moratori un tasso ultralegale, diminuire equamente ex art. 1384 c.c., l’ammontare delle somme eventualmente dovute a titolo di interessi di mora fino ad un importo corrispondente a quello risultante dall’applicazione del tasso legale o comunque dichiarare che l’ammontare delle somme eventualmente dovute a titolo di interessi di mora va equamente diminuito ex art. 1384 c.c. fino ad un importo corrispondente a quello risultante dall’applicazione del tasso legale; c) in via subordinata e condizionata nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale dell’appello proposto da BANCA, ritenere e dichiarare che le somme originariamente ed eventualmente dovute dalla ALFA. Srl a titolo di interessi anticipatamente capitalizzati non possono essere cumulate con quelle eventualmente dovute a titolo di ulteriori interessi moratori ed in ogni caso diminuire equamente ex art. 1384 c.c. l’ammontare delle somme originariamente ed eventualmente dovute a titolo di interessi anticipatamente capitalizzati ovvero l’ammontare delle somme risultanti dal cumulo di tali interessi con eventuali ulteriori interessi moratori o comunque dichiarare che l’ammontare delle somme originariamente ed eventualmente dovute a titolo di interessi anticipatamente capitalizzati ovvero l’ammontare delle somme risultanti dal cumulo di tali interessi con eventuali ulteriori interessi moratori va equamente diminuito ex art. 1384 c.c.”, con vittoria delle spese.
2.3.- Con sentenza pubblicata il 6 febbraio 2007 la Corte d’Appello di Salerno ha accolto l’appello principale ed, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato i motivi di opposizione relativi al cumulo degli interessi; ha rigettato l’appello incidentale e l’appello incidentale condizionato; ha condannato l’appellata al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore dell’appellante principale.
3.- Avverso la sentenza definitiva del Tribunale di Salerno, la ALFA S.r.l. ha proposto ricorso straordinario ex art. 111 Cost., iscritto col n. 11947/07, affidato a due motivi, illustrati da memoria. Si sono difese con controricorso, pure illustrato da memoria.
3.1.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, ALFA S.r.l. ha proposto altro ricorso, iscritto col. n. 17952/07, affidato a cinque motivi.
Si sono difese con controricorso, illustrato da memoria, le altre società.
3.2.- Con ordinanza collegiale pronunciata all’udienza del 10 dicembre 2012, i due ricorsi sono stati riuniti.
Motivi della decisione
Va premesso che si è proceduto alla riunione preliminare dei due ricorsi perchè, essendo stati proposti avverso sentenze che, integrandosi reciprocamente, hanno definito un unico giudizio, si è ritenuto il caso assimilabile a quello – previsto dall’art.335 cod. proc. civ. – della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza, come già affermato da questa Corte (Cass. n. 9377/01, relativa alla medesima situazione processuale di ricorsi proposti separatamente avverso la sentenza definitiva ed avverso quella non definitiva; cfr., per altre ipotesi, anche Cass. n. 6391/04, nonchè Cass. n. 6328/03 e n.14442/08).
1.- Logicamente e giuridicamente pregiudiziale è la trattazione dei cinque motivi del ricorso n.17952/07 proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, pubblicata il 6 febbraio 2007, che ha riformato la sentenza non definitiva del Tribunale di Salerno pubblicata il 6 novembre 2003; di questi motivi vanno trattati preliminarmente gli ultimi due, per analoghe ragioni di pregiudizialità. Col quarto motivo del ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento al D.P.R. n.7 del 1976, art.15 (e al R.D. n. 646 del 1905, art. 39) nonchè all’art.1325 c.c., n. 2, artt.1453, 1456 e 1458 cod. civ. e ai principi di diritto e alle comuni nozioni in materia di causa e di risoluzione del contratto, con particolare riguardo al contratto di mutuo (art.360 c.p.c., comma 1, n.3 nonchè art.360 c.p.c., comma 1, n. 4).
La ricorrente sostiene che BANCA, all’atto dei pignoramenti, si sarebbe avvalso espressamente della clausola risolutiva prevista per i mutui fondiari dalle norme della legislazione speciale sopra richiamate ed avrebbe, di conseguenza, fatto valere il diritto alla anticipata restituzione delle somme concesse in mutuo. Tanto si desumerebbe, secondo la ricorrente, dal fatto che i pignoramenti sarebbero stati richiesti ed eseguiti (in data 5-19/9/91) a “garanzia” del pagamento non soltanto delle somme corrispondenti alle semestralità già scadute che avevano formato oggetto degli atti di precetto (e degli ulteriori interessi e spese), ma anche dei pretesi crediti consistenti nelle somme corrispondenti alle “semestralità successive” e non ancora scadute con i relativi interessi di mora ed accessori, nonchè di non meglio determinati “capitali dovuti”.
Inoltre, se ne sarebbe avuta conferma dalla “dichiarazione di credito” prodotta da Banca nel corso del giudizio di primo grado, relativa al credito complessivamente vantato alla data del 29 marzo 2002, determinato computando anche tutti i ratei a scadere con i relativi interessi.
La conseguenza della risoluzione anticipata dei contratti di mutuo sarebbe stata, come sostenuto dall’opponente già nel primo grado di giudizio, la non debenza degli interessi corrispettivi sulle rate a scadere nè degli interessi su queste somme, così come ritenuto dal Tribunale di Salerno con la sentenza non definitiva.
Secondo la ricorrente, l’accoglimento dell’appello principale sul punto non sarebbe sorretto da adeguata motivazione – come si specificherà col quinto motivo di ricorso – e sarebbe errato in diritto per la violazione delle norme della legislazione speciale sopra richiamate nonchè dell’art.1325 cc, n.2, artt.1453, 1456 e 1458 cod. civ., interpretate anche alla stregua dei principi di cui alla sentenza della Corte di Cassazione n.20449/05, richiamata dalla stessa Corte territoriale.
1.1. – Col quinto motivo si denuncia insufficiente e/o contraddittoria e/o illogica motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio (art.360 cpc, comma 1, n. 5), al fine di censurare, sotto il profilo del vizio di motivazione, l’accoglimento dell’appello principale concernente la questione già fatta oggetto di critica col quarto motivo.
In particolare, la ricorrente assume che l’affermazione secondo cui con gli atti di precetto non sarebbe stato intimato il pagamento delle semestralità a scadere, sicchè si sarebbe dovuto ritenere che l’istituto di credito non avesse inteso avvalersi della clausola risolutiva espressa, sarebbe in contrasto con altra parte della motivazione in cui la Corte territoriale avrebbe affermato esattamente il contrario, cioè che con gli atti di precetto sarebbe stato intimato il pagamento del credito residuo costituito dalle successive semestralità a scadere. Assume inoltre che detta affermazione sarebbe in contrasto con la lettera degli atti di pignoramento, nonchè con le ammissioni che il creditore avrebbe fatto nel primo grado di giudizio, e perciò sarebbe insufficiente, inadeguata ed erronea; inoltre, sarebbe viziata da incongruenza ed illogicità per aver fatto riferimento a due precedenti della Cassazione che avrebbero enunciato principi tra loro incompatibili.
2.- I motivi sono riferiti entrambi all’accoglimento del secondo motivo dell’appello principale e vertono, come detto, sulla medesima questione. Vanno perciò trattati congiuntamente e respinti, perchè infondato il primo ed inammissibile il secondo.
Nell’accogliere il secondo motivo dell’appello principale di banca la Corte d’Appello di Salerno ha censurato l’affermazione del Tribunale per la quale, per effetto dell’azione esecutiva proposta da banca, i contratti di mutuo si sarebbero risolti e quindi gli interessi corrispettivi contenuti nelle rate a scadere non sarebbero stati più dovuti. La Corte d’Appello ha richiamato i principi affermati nella sentenza della Corte di Cassazione del 21 ottobre 2005 n. 20449 ed ha rilevato, quanto al caso di specie, “che la banca non pretese il pagamento del credito vantato “anche residuo”, essendo incontrovertibile che la stessa richiese il pagamento delle “semestralità scadute, con avvertimento che, in caso di mancato pagamento, si sarebbe proceduto ad esecuzione forzata “per le eventuali successive semestralità a scadere””. La Corte ha quindi richiamato anche il precedente di legittimità del 10 aprile 1991 n. 3763.
2.1.- Ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto con il quinto motivo (e presupposto dal quarto), nonchè a quanto sostenuto – come si dirà – col terzo motivo di ricorso, non si riscontra nella diverse parti della motivazione il contrasto logico e/o giuridico che vorrebbe la ricorrente. Inoltre, è da escludere che la motivazione sopra riportata, quanto all’interpretazione del contenuto degli atti di precetto, sia in sè illogica o giuridicamente errata ovvero insufficiente per le ragioni sostenute col quinto motivo. La Corte d’Appello è stata esplicita e chiara nell’affermare che con gli atti di precetto venne richiesto il pagamento esclusivamente delle “semestralità scadute” e che la Banca non pretese, con essi, il pagamento del credito vantato “anche residuo”, ma si limitò a minacciare la futura esecuzione forzata “per le eventuali successive semestralità a scadere”. Siffatta interpretazione è del tutto coerente con la lettera degli atti di precetto.
Nemmeno si riscontra il contrasto con la parte della motivazione nella quale la Corte d’Appello, nel rigettare il motivo dell’appello incidentale di cui si dirà trattando dei restanti motivi di ricorso, ha confermato l’affermazione del giudice di merito secondo cui “dal precetto risultava con evidenza che l’intimazione riguardava anche le ulteriori manifestazioni di persistenza della morosità, poi concretizzate nel pignoramento”. Ed invero, come rilevato nel controricorso dell’istituto di credito resistente, essa non sta certo a significare che la Corte territoriale abbia ritenuto che il precetto contenesse l’intimazione di pagare immediatamente “ogni somma …dovuta” all’istituto di credito, così manifestando implicitamente la volontà dell’istituto di credito di risolvere il contratto di mutuo, avvalendosi della relativa clausola legale.
Piuttosto, sta a significare che la Corte, così come il Tribunale, ha ritenuto che il precetto possa contenere un’intimazione di pagamento “per il futuro”, cioè in vista della futura scadenza delle semestralità, rispetto alle quali fosse persistita la morosità: si tratta di argomentazione che, per come si dirà, non è coerente con le regole sul precetto; tuttavia essa, in sè, non è in contrasto con l’altra, in forza della quale i precetti si sarebbero dovuti interpretare come contenenti l’intimazione di pagare immediatamente soltanto le semestralità scadute, poichè per quelle a scadere veniva fatta una sorta di “riserva” di futura azione esecutiva, anzi le due argomentazioni si completano e giustificano a vicenda.
La Corte d’Appello ha limitato agli atti di precetto la propria indagine sulla manifestazione di volontà dell’istituto di credito di risolvere il contratto.
Come risulta dai motivi in esame, gran parte degli argomenti della ricorrente sono fondati sul contenuto degli atti di pignoramento.
Si assume che il vizio di motivazione sarebbe riscontrabile per la mancata considerazione da parte della Corte territoriale degli atti di pignoramento, secondo quanto sopra esposto riassumendo l’illustrazione di entrambi i motivi di ricorso: in particolare, la ricorrente assume che la volontà di risolvere i contratti di mutuo si sarebbe dovuta desumere dagli atti di pignoramento.
Come si dirà trattando più specificamente del quarto motivo, l’operare della clausola risolutiva del D.P.R. n.7 del 1976, art.15 presuppone che l’istituto di credito abbia espressamente dichiarato di volersene avvalere ovvero che tale volontà sia manifestata per fatti concludenti, specificamente con la richiesta di pagamento dell’intero effettuata prima della notificazione del precetto ovvero con l’intimazione di pagamento dell’intera somma dovuta; non può nemmeno escludersi, peraltro, che la detta volontà possa essere manifestata successivamente, con una dichiarazione che intervenga dopo la notificazione del precetto, ma che, sempre, contenga o l’espressione della volontà di risolvere il contratto o la richiesta di pagamento dell’intero capitale residuo. Mentre il precetto individua l’oggetto della prestazione dovuta sulla base del titolo esecutivo, vale a dire il credito per il quale sarà iniziata l’azione esecutiva, il pignoramento, di per sè, non ha tale funzione. Limitando ogni considerazione al pignoramento immobiliare, è noto che la funzione è quella di determinare sui beni che ne sono oggetto un vincolo di destinazione alla soddisfazione delle pretese, non solo del creditore pignorante, ma anche di tutti i creditori che interverranno nell’esecuzione; quanto alla struttura, esso tipicamente consiste in un atto contenente sia l’ingiunzione ex art.492 cod. proc. civ., (nonchè gli ulteriori elementi formali, inviti ed avvertimenti, previsti dalla stessa norma), sia l’individuazione dei beni pignorati, da notificarsi e trascriversi ai sensi dell’art. 555 cod. proc. civ. (non rileva, in questa sede, la questione del ruolo da attribuirsi rispettivamente a notificazione e trascrizione).
Sebbene l’ingiunzione sia di pertinenza dell’ufficiale giudiziario, come notato anche dalla resistente, tuttavia il pignoramento immobiliare è atto ascrivibile al creditore, tanto che questa Corte ha già avuto modo di affermare che possa ad esso attribuirsi il valore di domanda giudiziale introduttiva del processo di espropriazione (così, ai fini della necessità della difesa tecnica, Cass. n. 5368/03, nonchè, di recente, Cass. n. 1687/12 e n. 6264/12). Pertanto, sebbene siano quelle predette, la funzione e la struttura tipiche, non può escludersi che esso abbia contenuto ulteriore, specificamente contenga (anche) manifestazioni di volontà del creditore pignorante rivolte al debitore, destinatario della notificazione dell’atto.
Orbene, a prescindere dal fatto che non risulta che la ricorrente abbia, nei pregressi gradi merito, dedotto la sussistenza, nel caso di specie, di un tale contenuto “atipico” dei pignoramenti, tale da dover indurre il giudice a valutarne ed interpretarne la portata nel senso dalla stessa preteso – nel che consiste un primo profilo di inammissibilità della censura -, quest’ultima nemmeno è sussumibile nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Infatti, l’espressione contenuta nei due atti, su cui tanto insiste la ricorrente, volta ad attribuire ai pignoramenti anche una funzione di “garanzia” del pagamento dei crediti a scadere, non può certo essere univocamente intesa come richiesta del pagamento immediato ed integrale di ogni somma dovuta all’istituto di credito ai sensi del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 15, secondo quanto correttamente rilevato, sul punto, nel controricorso. Pertanto, non attenendo alla funzione ed alla struttura tipica dell’atto di pignoramento e dovendosi escludere che in questo fosse stata manifestata espressamente la volontà di risolvere il contratto, cioè di vi far venir meno in capo al mutuatario il beneficio della rateizzazione dell’obbligazione restitutoria, non appare affatto decisivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il mancato apposito esame da parte della Corte di merito.
Analogamente è a dirsi per la mancata considerazione degli argomenti difensivi svolti dell’opposta in primo grado, che la ricorrente imputa alla Corte d’Appello come vizio di motivazione, ma che quest’ultima non aveva certo l’obbligo di confutare espressamente ove ritenuti superati dall’interpretazione letterale degli atti di precetto e che, peraltro, dalla sentenza risultano essere stati smentiti dalla linea difensiva seguita dall’istituto di credito proprio con il secondo motivo dell’appello principale, in esame.
In conclusione, rispetto all’attività interpretativa istituzionalmente riservata al giudice di merito, la motivazione non può ritenersi viziata per la sola circostanza che quest’ultimo abbia attribuito alle espressioni adoperate un significato non conforme a quanto preteso dalla parte, qualora questo sia, come accaduto, supportato da validi argomenti letterali, logici e giuridici e non univocamente smentito dagli argomenti della ricorrente.
Il quinto motivo è perciò inammissibile, dovendo essere qui affermato il principio per il quale “in materia di mutuo fondiario disciplinato ratione temporis dal D.P.R. n. 7 del 1976, spetta al giudice di merito interpretare l’atto di precetto al fine di verificare se con questo l’istituto di credito abbia manifestato la propria volontà di avvalersi della clausola risolutiva prevista dall’art. 15, con dichiarazione espressa di volere risolvere il contratto di mutuo ovvero, per fatti concludenti, mediante l’intimazione del pagamento immediato di ogni somma ad esso dovuta”.
2.2.- Data l’interpretazione di cui sopra, nel senso che, nel caso di specie, esclusa la manifestazione espressa di volontà di valersi della clausola risolutiva, questa non risulta nemmeno manifestata, per fatto concludente, mediante la richiesta del pagamento immediato ed integrale delle somme date a mutuo (contenuta nel precetto o in altro atto proveniente dall’istituto di credito mutuante), il quarto motivo risulta infondato.
Infatti, la decisione della Corte d’Appello è conforme non solo al precedente richiamato in sentenza di cui a Cass. n. 20449/2005, ma anche alla successiva decisione a S.U. n. 12639/08.
In particolare, va ribadito il principio, espressamente affermato dalla prima di tali sentenze, per cui in materia di mutuo fondiario disciplinato, ratione temporis, dal D.P.R. n. 7 del 1976, la notificazione da parte della banca di atto di precetto al mutuatario inadempiente per il pagamento del credito vantato, anche residuo, comporta la risoluzione del contratto, in quanto con questo atto la banca manifesta la propria volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista dell’art. 15 D.P.R. cit., dovendo essere così qualificata quella testualmente indicata dalla norma come “condizione risolutiva”.
Con riferimento al caso di specie, va peraltro precisato quanto segue.
Come osservato anche nel controricorso, la lettera del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 15 è nel senso che sia in facoltà dell’istituto di credito avvalersi o meno della clausola risolutiva espressa, dato che è detto che “lrente può chiedere esecutivamente il pagamento integrale di ogni somma ad esso dovuta”. Pertanto, si ritiene che, ove l’istituto di credito non si sia avvalso di tale facoltà, ed abbia agito esecutivamente soltanto per il recupero delle semestralità scadute, il contratto di mutuo non venga meno per la sola pendenza del processo esecutivo. In conseguenza, il debitore mutuatario non decadrà dal beneficio del termine e potrà avvalersi della rateizzazione come da piano di ammortamento originario; dovrà corrispondere il capitale e gli interessi secondo quest’ultimo; la conseguenza della vigenza del contratto sarà che la mora nel pagamento della singola rata produrrà ulteriori interessi ai sensi dell’art. 14 dello stesso D.P.R.. In conclusione, va affermato che “in materia di mutuo fondiario disciplinato ratione temporis dal D.P.R. n. 7 del 1976, la notificazione da parte della banca di atto di precetto al mutuatario inadempiente per il pagamento della sola parte del credito scaduto alla data di tale notificazione, senza che la banca manifesti la volontà di avvalersi della clausola risolutiva di cui all’art. 15, lascia persistere il vincolo contrattuale nascente dal contratto di mutuo; in tale eventualità, il debitore potrà beneficiare della rateizzazione come da piano di ammortamento originario, ma dovrà corrispondere il capitale e gli interessi secondo tale piano e dal giorno della scadenza le somme dovute produrranno interessi ai sensi dell’art. 14 dello stesso D.P.R.”.
Conseguenza fondamentale di tale principio è che il debitore potrà evitare l’esito per lui negativo del processo esecutivo saldando il dovuto per rate scadute (ed accessori) , non dovendo provvedere al pagamento di tutte le somme altrimenti dovute per le rate non ancora scadute, come sarebbe se la banca avesse agito previa risoluzione contrattuale. Di alcune delle altre conseguenze sul processo esecutivo si dirà trattando dei restanti motivi.
La sentenza impugnata ha finito per applicare proprio il principio di diritto anzidetto, pur se è caduta in errore quando ha richiamato il precedente di cui a Cass. n. 3763/91, pronunciato in un caso in cui la banca si era avvalsa della clausola risolutiva espressa del R.D. n. 646 del 1905, art. 39. Si tratta peraltro di un richiamo fatto a completamento del “convincimento” espresso invece correttamente dalla Corte territoriale argomentando a contrario dal precedente n. 20449/05, quindi non idoneo ad inficiare la decisione. Pertanto, il quarto motivo di ricorso va rigettato.
3.- Col primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 474 c.p.c., comma 1, art. 479 c.p.c., comma 1, art. 480 c.p.c., comma 1, art. 491 c.p.c. e art. 492 c.p.c., comma 1 e ai principi di diritto e alle comuni nozioni in materia di rapporti tra atto di precetto ed esecuzione forzata nonchè in riferimento agli artt. 1362 ss. cod. civ. e comunque ai principi di diritto, ai criteri legali e alle comuni nozioni in materia di interpretazione degli atti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Deduce la ricorrente che dalla combinazione delle norme su indicate emergerebbe il rapporto di necessaria correlazione e corrispondenza tra l’atto di precetto e l’instauranda procedura di esecuzione forzata, in forza del quale l’atto di precetto dovrebbe indicare il contenuto ed i limiti del diritto che si fa valere in via esecutiva, sicchè il creditore non potrebbe procedere per crediti che non hanno formato oggetto dell’intimazione.
Nel caso di specie, con i due atti di precetto, entrambi notificati il 22 giugno 1991, venne intimato il pagamento delle somme dovute per i ratei semestrali di ciascuno dei due mutui venuti a scadere il 1 gennaio 1991 e per le precedenti semestralità scadute e non pagate, oltre accessori; con gli stessi atti di precetto venne minacciata l’azione esecutiva anche per le eventuali successive semestralità a scadere con i relativi interessi di mora, nonchè per il capitale residuo: la conseguenza sarebbe, secondo la ricorrente, che, con tali atti, il FONSPA non si sarebbe avvalso della clausola risolutiva prevista dal D.P.R. n. 7 del 1976, art. 15, avendo fatto soltanto riserva dell’eventuale azione per le semestralità a scadere;
pertanto, secondo la ricorrente, i successivi pignoramenti, entrambi eseguiti in data 5-19 settembre 1991, ed entrambi richiesti ed eseguiti “a garanzia” del pagamento non solo delle somme oggetto degli atti di precetto, ma anche di somme corrispondenti a non meglio precisate semestralità successive, con interessi di mora ed accessori, sarebbero, per tali ultimi crediti, “inesistenti o quanto meno viziati da nullità o comunque inammissibili ovvero improcedibili”, così come le relative procedure esecutive.
La ricorrente critica quindi la sentenza impugnata quanto alla conferma, da parte del giudice d’appello, dell’affermazione fatta dal Tribunale, per la quale “dal precetto risultava con evidenza che l’intimazione riguardava anche le ulteriori manifestazioni di persistenza della morosità, poi concretizzate nel pignoramento”, perchè non sarebbe coerente con il contenuto degli atti di precetto, che quindi sarebbero stati interpretati in violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ.; ancora, in quanto intimazione riferita a crediti eventuali e a scadere, non avrebbe mai potuto produrre i suoi effetti tipici, sicchè i giudici d’appello avrebbero violato anche gli artt. 474, 479, 480, 490, 491 e 491 cod. proc. civ., considerati sia singolarmente che nel loro collegamento.
3.1.- Col secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 615 c.p.c., commi 1 e 2 e art. 617 c.p.c., commi 1 e 2, e ai principi di diritto e alle comuni nozioni riguardanti il rispettivo ambito di applicazione dell’opposizione all’esecuzione e dell’opposizione agli atti esecutivi (art. 360, comma 1, n. 3 nonchè art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Rileva la ricorrente che il motivo di opposizione di cui si è detto sopra, concernente la pretesa inesistenza o comunque invalidità dei pignoramenti e delle procedure esecutive con riguardo ai crediti che non sarebbero stati oggetto delle intimazioni di pagamento di cui ai citati atti di precetto, è stato ritenuto privo di pregio dalla Corte d’Appello per una ragione ulteriore rispetto a quella già fatta oggetto di critica col primo motivo: la Corte territoriale ha affermato che la C.E.M. avrebbe fatto valere “questioni di rito”, sicchè la relativa doglianza avrebbe dovuto essere proposta con l’opposizione agli atti esecutivi e pertanto nei cinque giorni decorrenti dalla data di notificazione dei pignoramenti del settembre 1991.
La ricorrente critica siffatta ratio deciderteli, sostenendo che la Corte d’Appello, accogliendo la corrispondente eccezione dell’opposta, avrebbe male interpretato ed applicato gli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. perchè l’opposizione proposta si sarebbe dovuta qualificare come opposizione all’esecuzione ai sensi della prima norma e non come opposizione agli atti esecutivi ai sensi della seconda: ciò, in quanto avrebbe posto una questione concernente la sussistenza – in relazione ai crediti o parte di crediti non esigibili al momento della notifica dei precetti – di presupposti sostanziali necessari per la giuridica esistenza e dunque per la valida instaurazione del procedimento di esecuzione forzata, che avrebbe investito l’an dell’azione esecutiva, quindi il diritto del creditore a procedere.
3.2.- Col terzo motivo si denuncia insufficiente e/o contraddittoria e/o illogica motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), al fine di censurare, sotto il profilo del vizio di motivazione, le medesime affermazioni della Corte d’Appello già fatte oggetto di critica con i primi due motivi, nonchè una terza ulteriore affermazione riguardante lo stesso motivo dell’appello incidentale. In particolare, la ricorrente assume che l’affermazione di cui al primo motivo sarebbe in contrasto con altra parte della motivazione nella quale la Corte territoriale avrebbe affermato esattamente il contrario, cioè che con gli atti di precetto non sarebbe stato intimato il pagamento delle semestralità a scadere; assume inoltre che detta affermazione sarebbe in contrasto con la lettera degli atti di precetto, nonchè con le ammissioni dell’appellante principale circa l’oggetto delle intimazioni di cui agli atti di precetto (delle quali la Corte avrebbe dovuto tenere conto), ed, inoltre, sarebbe illogica.
La ricorrente, rileva, infine, che la sentenza indica un’ulteriore ragione di infondatezza del motivo d’appello in questione, fondata sull’ammissibilità dell’intervento nel processo esecutivo da parte dello stesso creditore procedente purchè per un titolo diverso da quello in forza del quale venne iniziata l’esecuzione. Al riguardo, la ricorrente deduce che la motivazione sul punto sarebbe incongruente e contraddittoria perchè si porrebbe in insanabile contrasto con quanto affermato in punto di estensione dell’intimazione anche ai crediti, per le semestralità a scadere: di guisa che, a causa di tale contrasto, sarebbe impossibile identificare il procedimento logico-giuridico posto a fondamento della decisione e la effettiva ratio decidendi. In ogni caso, si tratterebbe di motivazione in sè inadeguata, non pertinente e manifestamente illogica.
4.- I primi tre motivi sono tutti riferiti al medesimo motivo dell’appello incidentale (corrispondente allo stesso motivo di opposizione) e vanno perciò trattati congiuntamente. Essi non sono meritevoli di accoglimento, anche se la motivazione della Corte d’Appello, fondata sulle tre ragioni criticate dalla ricorrente, necessita delle correzioni e delle precisazioni di cui appresso.
La prima affermazione del giudice a quo, per la quale gli atti di precetto avrebbero contenuto anche l’intimazione a pagare i ratei che sarebbero venuti a scadere successivamente alla sua notificazione, non è in contrasto col decisimi dello stesso giudice relativo al secondo motivo dell’appello principale, col quale la Corte territoriale ha ritenuto che banca non si sia avvalso nel caso di specie della clausola risolutiva di cui al D.P.R. n. 7 del 1976, art. 15, per come si è detto trattando dei motivi quarto e quinto.
Nell’interpretare gli atti di precetto come contenenti un’intimazione ad adempiere le rate a scadere, con riguardo, non all’immediato, bensì alle future scadenze, la Corte d’Appello, pur avendo correttamente escluso la manifestazione di volontà di risolvere immediatamente il contratto di mutuo, ha tuttavia equivocato sulla funzione dell’atto di precetto, quale intimazione ad adempiere, propedeutica all’esecuzione forzata.
In effetti, è corretto l’assunto della ricorrente per il quale l’atto di precetto non può avere ad oggetto che quel medesimo credito certo e liquido che risulta dal titolo esecutivo e che, in conformità a quanto disposto dall’art. 474 cod. proc. civ., comma 1, sia anche esigibile; quest’ultimo requisito comporta che, ove sia previsto un termine per l’adempimento dell’obbligazione avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, questo termine debba essere scaduto alla data di notificazione del precetto (od, al più tardi, che venga a scadere nel periodo di efficacia del precetto ex art. 481 cod. proc. civ.), sicchè l’obbligazione, già scaduta, possa essere adempiuta spontaneamente dal debitore nel termine all’uopo assegnato con l’atto di precetto, trascorso il quale avrà inizio il processo esecutivo. Diversamente è disposto, per l’esecuzione per consegna e rilascio, dall’art. 605 c.p.c., comma 2, per il quale il termine per adempiere non potrà essere diverso da quello eventualmente indicato nel titolo esecutivo.
Va affermato il principio per il quale, in materia di espropriazione forzata, l’intimazione ad adempiere l’obbligazione pecuniaria risultante dal titolo esecutivo entro un termine ivi indicato, comunque non minore di dieci giorni – nella quale il precetto consiste, ai sensi dell’art. 480 cod. proc. civ. – non può che essere riferita al debito già scaduto o comunque esigibile alla data di notificazione del precetto; soltanto se l’intimazione di pagamento sia stata riferita ad un obbligo siffatto il precetto è atto idoneo a consentire, nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione, ai sensi dell’art. 481 cod. proc. civ., il regolare inizio del processo esecutivo per espropriazione col pignoramento, ai sensi degli artt. 491 e seg. cod. proc. civ..
Ne segue che, essendo scaduti alla data di notificazione dei precetti (22 giugno 1991) i ratei semestrali maturati fino a quello dell’1 gennaio 1991, e non essendo stata manifestata con gli stessi atti di precetto la volontà di risolvere i contratti di mutuo fondiario – come si è detto trattando dei motivi quarto e quinto – detti precetti costituivano atti propedeutici all’esecuzione, validi ed efficaci, per i ratei dei quali l’istituto di credito poteva intimare l’immediato pagamento, e di fatto tale pagamento intimò, perchè già scaduti alla data di notificazione dei precetti stessi. In tale senso, va perciò corretta la prima delle rationes decidendi poste dalla Corte d’Appello a fondamento del rigetto del motivo di appello incidentale.
5.- Peraltro, quanto sopra non comporta affatto le conseguenze sui processi esecutivi sostenute dall’opponente, odierna ricorrente. In astratto, è corretto il presupposto in diritto sul quale è basata la seconda ratio decidendi, che la ricorrente critica col secondo motivo di ricorso.
Esso consegue al principio più volte affermato da questa Corte per il quale il processo esecutivo che sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione o dalla valida notificazione dell’atto di precetto è viziato da invalidità formale, che può essere fatta valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, da proporsi, ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., nel termine, oggi, di venti giorni decorrente dal primo atto del processo esecutivo del quale si sia avuta legale conoscenza.
E’ da escludere che in siffatta situazione processuale vi sarebbe comunque spazio per proporre un’opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., perchè sarebbe in contestazione il diritto del creditore di procedere esecutivamente. In effetti, tale diritto esiste, con riguardo al credito portato dal titolo esecutivo, che sia anche certo liquido ed esigibile e rispetto al quale non siano sopravvenuti fatti idonei a fare venir meno il titolo e/o il credito: tale certamente non è l’omessa o l’invalida notificazione dell’atto di precetto. La mancata osservanza degli artt. 480 e 482 cod. proc. civ. non incide sul diritto del creditore di procedere esecutivamente, ma impedisce il regolare avvio del processo esecutivo, del quale il soggetto esecutato si può dolere con l’opposizione agli atti esecutivi. Peraltro, pur essendo astrattamente corretto, il principio non si attaglia al caso di specie, per le considerazioni di cui appresso.
6.- Queste devono prendere le mosse dalla terza delle rationes decidendi della sentenza impugnata, con cui si è affermato che il creditore pignorante potrebbe fare valere nei confronti del debitore già esecutato il proprio credito per le semestralità a scadere, rimaste insolute nel corso del processo esecutivo, mediante intervento nello stesso processo. Orbene, in primo luogo è corretto, ed in sè nemmeno contestato dalle parti, il principio posto dal giudice a quo a fondamento di tale affermazione: il creditore pignorante, che intenda far valere nei confronti del medesimo debitore, già esecutato nella processo esecutivo iniziato col pignoramento, un altro credito, si può giovare dell’intervento nel processo esecutivo ai sensi degli artt. 499 e seg. cod. proc. civ., purchè in possesso dei requisiti richiesti, in via generale, per la legittimazione all’intervento.
6.1.- In secondo luogo, è da ritenere che il creditore fondiario abbia tali requisiti.
Nel vigore del testo originario dell’art. 499 cod. proc. civ. (applicabile al caso di specie in quanto le vicende processuali di cui si tratta sono tutte accadute in epoca precedente l’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge n. 80 del 2005), nonchè dell’art. 563 cod. proc. civ., la legittimazione all’intervento spettava ai creditori aventi diritto di prelazione risultante dai pubblici registri (ai sensi del combinato disposto degli artt. 498 e 499 cod. proc. civ., nel testo originario) così come ai titolari, nei confronti del debitore, di un credito, anche se sottoposto a termine o a condizione (art. 563 cod. proc. civ., abrogato soltanto per gli interventi eseguiti a far data dal 1 marzo 2006: cfr. D.l. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3 sexies, convertito nella legge n. 80 del 2005, come sostituto, quanto alla disciplina transitoria, dalla L. n. 263 del 2005, e succ. mod., art. 1, comma 6).
In entrambe le categorie rientra l’istituto di credito fondiario per il credito relativo alle rate di mutuo di cui al piano di ammortamento del contratto di mutuo fondiario non ancora scadute alla data di inizio del processo esecutivo e per la cui quota capitale non sia stato intimato l’immediato pagamento, secondo quanto detto trattando dei motivi quarto e quinto: si tratta infatti di creditore assistito da garanzia ipotecaria sul bene pignorato e di creditore avente un titolo esecutivo per crediti non ancora esigibili.
Giova precisare che la conclusione non sarebbe diversa ove si trattasse di intervento da esperire dopo le modifiche all’art. 499 e l’abrogazione dell’art. 563 cod. proc. civ., di cui sopra, per ragioni sulle quali non è il caso di soffermarsi, considerata comunque la disciplina applicabile ratione temporis.
6.2.- Va, invece, disattesa, pur se non decisiva, l’ulteriore affermazione della Corte salernitana secondo cui l’intervento potrebbe essere spiegato anche “oralmente”. L’atto di intervento deve avere la forma richiesta dall’art. 499 cod. proc. civ.. Il ricorso deve contenere una “domanda” che è quella di partecipare alla distribuzione della somma ricavata e questa deve essere riferita al “credito” che va indicato in ricorso unitamente al “tìtolo” sul quale si fonda.
Al riguardo, già nel vigore del testo dell’art. 499 cod. proc. civ. prima delle modifiche di cui alla L. n. 80 del 2005, sono stati affermati i principi, che qui si ribadiscono, per i quali l’intervento del creditore nel processo esecutivo deve essere effettuato mediante un ricorso contenente l’indicazione del credito e del relativo titolo, la domanda di partecipazione alla distribuzione della somma ricavata e gli altri elementi indicati dall’art. 499 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 10818/1993, nonchè Cass. n. 2506/10, nel senso che tale ultima norma, laddove prevede che il ricorso “deve contenere l’indicazione del credito e del titolo di esso”, impone due oneri di allegazione, consistenti nell’individuazione del diritto di credito dell’interveniente e nella indicazione del documento che, pur non costituendo titolo esecutivo, sia rappresentativo del credito medesimo, non essendo invece necessaria, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, la produzione di tale documento ma esclusivamente la sua specifica menzione nel predetto ricorso).
6.3.- Orbene, trattando dell’atto di precetto e dell’atto di pignoramento, con riguardo ai motivi quarto e quinto, si è detto che il primo individua l’oggetto della prestazione dovuta in base al titolo esecutivo, e l’affermazione può essere specificata aggiungendo che, in tal modo, il precetto di pagamento di una somma di denaro individua anche l’oggetto del preannunciato processo esecutivo per espropriazione forzata. Pur essendo atto pre-esecutivo, esso si salda col successivo pignoramento al fine di individuare la pretesa del creditore procedente-pignorante.
Come pure detto, l’atto di pignoramento immobiliare ha, invece, tipicamente, la diversa funzione di vincolare i beni che ne sono oggetto, per la soddisfazione (si potrebbe dire “a garanzia”, pur se impropriamente, così come detto negli atti di pignoramento per cui è causa) non solo di tale ultima pretesa, ma anche delle pretese dei creditori legittimati ad intervenire nello stesso processo esecutivo.
Pertanto, è del tutto conforme a legge la situazione processuale che si abbia nel caso in cui, intimato col precetto il pagamento delle semestralità scadute di un mutuo fondiario, il pignoramento abbia ad oggetto il bene ipotecato, sul quale il creditore vanta la garanzia non solo per il credito già fatto oggetto dell’azione esecutiva, ma anche per il credito corrispondente alle semestralità a scadere. E ciò, sia in ragione dell’oggetto della garanzia ipotecaria, sia della legittimazione all’intervento di cui si è detto sopra – intervento che, ovviamente, non presuppone alcuna preventiva notificazione di precetto.
Ne segue che, proprio per la funzione di vincolo che è tipicamente assegnata dall’ordinamento all’atto di pignoramento, non vi è luogo nemmeno a configurare l’invalidità dei pignoramenti in sè considerati, solo perchè, come sostenuto dalla ricorrente, se ne sia affermata la funzione di vincolo anche “a garanzia” delle somme corrispondenti a crediti non fatti oggetto di intimazione, come quelli relativi alle “semestralità successive”.
Peraltro, come osserva la resistente nel controricorso, è del tutto irrilevante, ai fini della validità del pignoramento e dei successivi atti esecutivi, l’indicazione contenuta nel pignoramento di crediti diversi ed ulteriori rispetto a quelli menzionati nel precetto, poichè la funzione tipica dell’atto è quella di vincolare i beni immobili che ne sono oggetto, secondo quanto sopra ampiamente considerato.
In conclusione, è privo di pregio quanto sostenuto dalla ricorrente sulla “inesistenza ovvero nullità o comunque inammissibilità o improcedibilità dei pignoramenti promossi dal Fonspa perchè richiesti ed eseguiti anche a garanzia di pretesi crediti che non avevano previamente formato oggetto dell’intimazione di pagamento”, specificamente dei crediti per i ratei venuti a scadere dopo la notificazione dei precetti e/o dei pignoramenti: rispetto a tali crediti, infatti, non si pone, nè si può porre, alcun problema di validità/invalidità dei pignoramenti o degli atti del processo esecutivo, ma soltanto di partecipazione del creditore alla distribuzione del ricavato anche per la soddisfazione di essi.
Corretta è pertanto la decisione del giudice di merito che ha rigettato il motivo di opposizione come sopra formulato.
7.- Altra e differente questione è quella della verifica della sussistenza, nei processi esecutivi riuniti, della domanda di FONSPA di partecipare alla distribuzione del ricavato anche per i crediti corrispondenti alle rate di mutuo che sarebbero venute a scadere dopo l’inizio dei due processi esecutivi, ove fossero rimaste insolute.
Pur rientrando una domanda siffatta nel contenuto tipico dell’atto di intervento, non può escludersi che essa venga formulata dal creditore procedente già con l’atto di pignoramento, quale dichiarazione aggiunta ed ulteriore rispetto al contenuto tipico di questo.
La relativa verifica, nel caso di specie, della sussistenza di una domanda siffatta negli atti di pignoramento e/o in atti successivi dei processi esecutivi (specificamente in atti di intervento), esula dal giudizio di opposizione all’esecuzione cui è riferito il presente ricorso, e la questione, nei termini appena precisati, non risulta essere mai stata posta dall’opponente, odierna ricorrente, nè nei gradi di merito nè con i motivi di ricorso in esame.
Pertanto, questi ultimi, così come formulati col primo secondo e terzo mezzo, vanno rigettati.
8.- In conclusione il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno va rigettato.
Al rigetto di questo ricorso, iscritto col n. 17952/07, consegue il passaggio in giudicato del rigetto di tutti i motivi di opposizione formulati dalla alfa col ricorso introduttivo del primo grado di giudizio.
La sentenza definitiva del Tribunale di Salerno n. 1539/06, impugnata col ricorso n. 11941/07, ha deciso a seguito della rimessione della causa sul ruolo istruttorie Questa è stata disposta con ordinanza del Tribunale contestuale alla sentenza non definitiva del 6 novembre 2003, a seguito dell’accoglimento del motivo di opposizione concernente la risoluzione contrattuale e, quindi, il calcolo ed il cumulo degli interessi corrispettivi e moratori.
Nel momento in cui la sentenza non definitiva di primo grado è stata, proprio con riguardo a tale accoglimento, riformata dalla sentenza d’appello, che ha invece rigettato il corrispondente motivo di opposizione, e questo rigetto è stato confermato, per le ragioni di cui sopra, si è venuta a determinare la situazione processuale disciplinata dall’art. 336 c.p.c., comma 2.
Pertanto, la sentenza sul quantum è stata definitivamente travolta dalla riforma della sentenza sull’an. La dipendenza dell’attività istruttoria svolta dal Tribunale di Salerno e della sentenza definitiva di quest’ultimo avente il n. 1539/06, pubblicata il 18 aprile 2006, dalle statuizioni della sentenza non definitiva non è, peraltro, in discussione tra le parti.
Piuttosto, le argomentazioni contrapposte che ricorrente e resistenti hanno svolto nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. con riguardo al ricorso iscritto col n. 11941/07 sono relative all’applicabilità dell’art. 336 cod. proc. civ., richiamato comma 2 nel caso in cui la sentenza di secondo grado che abbia riformato quella di primo grado da essa dipendente non sia ancora passata in giudicato.
Di tale contrasto non è però necessario occuparsi, atteso quanto deciso sul ricorso riunito n. 17952/07. E’ sufficiente dare seguito al principio, già affermato da questa Corte, per il quale la cassazione con rinvio della sentenza non definitiva, che abbia pronunziato positivamente sull’an debeatur, comporta – al pari della cassazione senza rinvio – la caducazione della sentenza definitiva sul quantum, poichè, dipendendo quest’ultima totalmente dalla prima, una volta annullata la pronunzia sull’an, resta definitivamente privata del proprio fondamento logico – giuridico, che non può essere mai sostituito ex post dalla nuova pronunzia emessa in sede di rinvio, neppure se in quest’ultimo giudizio venga emessa una sentenza contenente statuizioni analoghe a quelle recate dalla sentenza cassata; pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza definitiva sul quantum, dopo che quella non definitiva sull’an sia stata cassata con rinvio, non diversamente dall’ipotesi in cui la stessa sia stata cassata senza rinvio (Cass. n. 8440/03, n. 1679/04; cfr., di recente, anche Cass. n. 34/11).
Analogamente, il rigetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza di riforma in appello della sentenza non definitiva di primo grado che abbia pronunziato positivamente sull’an debeatur comporta la caducazione della sentenza definitiva sul quantum e quindi l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso quest’ultima.
Pertanto, il ricorso iscritto col n. 11941/07 va dichiarato inammissibile.
9.- Rigettato il ricorso n. 17952/07 e dichiarato inammissibile il ricorso n. 11941/07, le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso iscritto col n. 17952/07 e dichiara inammissibile il ricorso iscritto col n. 11941/07; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore delle resistenti, in solido tra loro, nella somma complessiva di Euro 16.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2013
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 450/2013