ISSN 2385-1376
Testo massima
L’art. 2645 ter c.c. non riconosce la possibilità dell’autodestinazione unilaterale di un bene già di proprietà della parte, tramite un negozio destinatorio puro, dovendo il vincolo di destinazione necessariamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale, tipica od atipica, dotata di autonoma causa.
Al fine di evitare indebite compressioni della generale ed illimitata responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., gli interessi che legittimano il vincolo di destinazione, devono essere esplicitati nell’atto di costituzione e valutati in modo stringente, per verificarne la prevalenza rispetto agli ulteriori interessi, eventualmente sacrificati, dei creditori del disponente.
Così come in materia di fondo patrimoniale ex art. 170 c.c., anche nel caso di vincolo di destinazione ex art. 2645 c.c. ter, spetta al debitore provare che il creditore conosceva l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia, categoria in ogni caso da interpretarsi in senso estensivo.
Questi i principi di diritto sanciti dal Tribunale di Reggio Emilia, dott. Gianluigi Morlini, con sentenza n. 399, depositata in data 10.03.2015.
IL CASO
La fattispecie in esame trae origine da un’esecuzione immobiliare promossa dalla Società di leasing nei confronti del debitore, relativamente ad un immobile gravato da vincolo di destinazione ex art. 2645 ter. Tale vincolo risultava finalizzato al generale soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare ed aveva il proprio termine finale al compimento del quarantesimo anno di età della figlia del disponente.
In ragione del vincolo di indisponibilità ex art. 2915 c.c., il debitore proponeva dunque opposizione all’esecuzione. Il G.E. rigettava l’istanza di sospensione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. e tale provvedimento di rigetto veniva poi confermato in sede di reclamo.
Il debitore, quindi, promuoveva giudizio di merito, deducendo che il debito per il quale era stata attivata l’esecuzione immobiliare avesse natura professionale e che non potesse perciò essere ricondotto alle esigenze abitative ed ai bisogni del nucleo familiare; invocava pertanto l’impignorabilità del bene oggetto di esecuzione, reiterando in sostanza le doglianze già disattese da G.E. e Collegio.
IL COMMENTO
Il Tribunale, nel rigettare in toto la domanda proposta dal debitore, ha anzitutto provveduto a tracciare l’esatta portata dell’art. 2645 ter c.c., che consente, mediante atto soggetto a forma pubblica e trascrizione, al fine di rendere opponibile ai terzi di vincolo, di destinare beni immobili o mobili registrati alla “realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322 secondo comma“, potendo in tal caso i beni vincolati essere esecutivamente aggrediti solo per debiti contratti per lo scopo di destinazione.
In particolare, il Giudice adito ha sconfessato le ragioni sottese alla domanda del debitore, evidenziando in primis – come del resto suggerito da consolidata giurisprudenza di merito – che “l’art. 2645 ter c.c. non riconosce la possibilità dell’autodestinazione unilaterale di un bene già di proprietà della parte, tramite un negozio destinatorio puro”. Argomentando in senso inverso, infatti, si produrrebbe un’indebita compressione dell’illimitata responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., dal momento che, in forza di una semplice volontà unilaterale del debitore, una parte o finanche l’integralità del suo patrimonio, sarebbero inaccettabilmente sottratti alla garanzia dei creditori. Esclusa dunque l’ammissibilità dell’autodestinazione unilaterale di un bene già di proprietà del debitore, il Tribunale ha circoscritto l’ambito di operatività della norma codicistica in esame alle ipotesi “di destinazione traslativa collegata ad altra fattispecie negoziale tipica od atipica, dotata di autonoma causa“.
Argomentando per altri termini, pur prospettando cioè in linea teorica l’ammissibilità del negozio destinatorio puro, il Tribunale è pervenuto alla medesima valutazione negativa delle ragioni del debitore, evidenziando che, “per affermare la legittimità del vincolo di destinazione, non basta la liceità dello scopo, occorrendo anche un quid pluris, integrato dalla comparazione degli interessi in gioco, ed in particolare dalla prevalenza dell’interesse realizzato rispetto all’interesse sacrificato dei creditori del disponente, estranei al vincolo“.
L’efficacia del vincolo di destinazione ed i connessi riflessi sul piano dell’esecuzione sono dunque subordinati ad un concreto riscontro di meritevolezza degli interessi perseguiti dalla parte, tenuto conto delle potenzialità lesive, nei confronti dei creditori, del vincolo unilateralmente apposto.
Nel caso in esame, il carattere generico dei “bisogni della famiglia” (non avendo il disponente indicato i bisogni specificamente tutelati) ed il termine finale posto dal debitore, irragionevole nella sua durata, hanno indotto il Tribunale a ritenere che, pur ammettendo “l’autoimposizione di un atto di destinazione su di un bene già in proprietà, in ogni caso l’atto di destinazione realizzato dall’opponente non sarebbe comunque idoneo a superare il rigoroso vaglio di meritevolezza dei fini comunque prescritto dall’art. 2645 ter c.c.“.
In ultima istanza, il Tribunale ha accertato la legittimità dell’intrapresa esecuzione immobiliare, anche sotto altro profilo, ritenendo cioè applicabili nella fattispecie in esame i principi disciplinanti il fondo patrimoniale ex art. 170 c.p.c., attesa l’omogeneità dei due istituti. Operando dunque anche nel caso de quo “la presunzione di inerenza dei debiti alle esigenze della famiglia” (cfr. Cass. n. 1295/2012; Cass. n. 12730/2007), sarebbe spettato al debitore esecutato dimostrare sia l’estraneità del debito a tali bisogni, che la consapevolezza di ciò da parte del creditore. Ad ulteriore sostegno di tale statuizione, il Tribunale ha altresì richiamato l’estensiva interpretazione fornita dalla Cassazione in relazione alla categoria dei bisogni della famiglia, inclusiva anche delle “esigenze volte al pieno mantenimento dell’armonico sviluppo della famiglia” (cfr. Cass. n. 15862/2009; Cass. n. 4011/2013; Cass. n. 15886/2014).
Risultando dunque il debito in esame connesso ai bisogni della famiglia in quanto scaturente dall’attività condotta dal debitore per il mantenimento della famiglia medesima, e non avendo il debitore fornito a tal proposito alcuna prova contraria, il Tribunale ha rigetto la domanda attorea, con condanna alle spese del debitore.
Testo del provvedimento
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