ISSN 2385-1376
Testo massima
Ogni modifica sostanziale, come la limitazione del suo oggetto, di un decreto di trasferimento (a prescindere dalla sua correttezza e dalle conseguenze in ordine alla stabilità della vendita forzata e dei suoi effetti, nonché dall’individuazione della corretta azione da intraprendere) non è opponibile agli aggiudicatari se questi non sono stati messi in condizione di partecipare al giudizio in cui quella modifica è stata adottata.
Così si è pronunziata la Corte di Cassazione Civile, con la sentenza n. 23930 emessa il 22 ottobre 2013, che ha confermato la decisione della Corte di Appello, che in riforma di quella di primo grado – aveva riconosciuto l’inopponibilità agli aggiudicatari delle modifiche apportate al decreto di trasferimento rese – senza il loro coinvolgimento – in un giudizio diverso da quello in cui si era stato emesso.
Conclusa l’esecuzione non vi è più spazio per la tutela del debitore, con definitiva irretrattabilità della vendita forzata in favore dell’aggiudicatario, per cui l’unico rimedio da esperire è la proposizione di un’azione autonoma che coinvolga necessariamente l’acquirente dell’immobile.
Il giudice chiamato a decidere sull’opposizione a precetto, infatti, non può compiere valutazioni circa l’esistenza di errori, verificatisi nel processo in cui si era formato il titolo esecutivo,che devono essere contestati in sede di impugnazione del titolo stesso e, dunque, con l’opposizione all’esecuzione.
A tale giudizio l’aggiudicatario, diretto destinatario della pronuncia, deve essere messo in condizione di partecipare; in mancanza infatti – ogni modifica o correzione è ad esso inopponibile e tanto alla luce del rispetto del principio del contraddittorio.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4827-2008 proposto da:
M.P. (OMISSIS)
– ricorrente –
contro
P.M. (OMISSIS)
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1114/2007 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/08/2007 R.G.N. 34291/07;
Svolgimento del processo
1. Notificatogli, ad istanza di S. e P.M. in data 24.3.00, precetto di rilascio di un immobile destinato a sala cinematografica, con annessa corte indispensabile all’uso di quella, fondato su di un decreto di trasferimento 28.6.99 reso in un giudizio di divisione ordinaria promosso da S.L. e B.L. anche nei suoi confronti, l’intimato M.P. si oppose dinanzi al tribunale di Verona – sez. dist. di Legnago, adducendo l’erroneità dell’inclusione della corte nel decreto, riconosciuta da successiva sentenza n. 428/02 nel corso del giudizio di divisione.
Il tribunale accolse l’opposizione con sentenza n. 13/05, ma la corte di appello di Venezia, adita dai P., riconobbe l’inopponibilità ai medesimi, in un giudizio diverso da quello in cui si era formato il titolo esecutivo consistente nel decreto di trasferimento, dei provvedimenti resi nel giudizio di divisione in tempo successivo senza il coinvolgimento degli aggiudicatari; e statuì che, conclusa l’esecuzione, non vi era più spazio per la tutela del debitore, con definitiva irretrattabilità della vendita forzata in favore dell’aggiudicatario, salvo il solo caso – da farsi valere, però, con autonoma azione di nullità – della collusione tra procedente e acquirente; ma compensò le sole spese del giudizio di primo grado.
Per la cassazione della sentenza della corte lagunare, pubblicata il 28.8.07 e notificata il 19.12.07, ricorre ora M.P., affidandosi a tre motivi; resistono, con controricorso illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., S. e P. M..
Motivi della decisione
2. Il ricorrente M. sviluppa tre motivi e:
– conclude il primo (rubricato “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c.”) col seguente quesito: il proprietario nei confronti del quale si è svolto il processo di espropriazione/divisione, quando l’aggiudicatario si avvale del decreto di trasferimento come titolo esecutivo per il rilascio dell’immobile, può contestare con l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. che l’immobile di cui si chiede il rilascio sia quello che è stato trasferito con il decreto?;
– con il secondo (rubricato “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”), pare dolersi della mancata considerazione, quale fatto decisivo, dell’esclusione dal decreto di trasferimento dell’area cortiva annesso al fabbricato; ma non conclude con alcun separato ed autonomo momento di sintesi o di riepilogo;
– conclude il terzo (rubricato “nullità della sentenza o del procedimento”) col seguente quesito: l’omessa pronuncia da parte del giudice di appello avverso specifiche eccezioni di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di appello, fatte tempestivamente valere dalla parte appellata, così come l’aver pronunciato oltre i termini delle pretese e delle eccezioni richieste dall’appellante integrano una violazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente declaratoria di inammissibilità e nullità dell’intero giudizio e passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Dal canto loro, i controricorrenti P.:
– quanto al primo motivo, rilevano che correttamente la corte territoriale ha identificato l’azione di controparte come opposizione all’esecuzione per rilascio di immobile, mercè l’adduzione di errori verificatisi nel processo in cui si era formato il titolo esecutivo, così escludendo l’opponibilità dell’errore contenuto nel titolo, in difetto di impugnativa di quest’ultimo nel corso del processo in cui si era formato ed estendendone il contraddittorio agli aggiudicatari acquirenti;
– quanto al secondo motivo, escludono trattarsi di fatto controverso, visto che la sentenza successiva nel giudizio di divisione è pacificamente passata in giudicato e, con essa, l’accertamento di non estensione del decreto di trasferimento alla corte pertinenziale;
respinta la pretesa del ricorrente di sollecitare a questa Corte la interpretazione del titolo, rimarcano poi avere la corte territoriale statuito l’inopponibilità del provvedimento successivo conseguito nel corso del giudizio di divisione in relazione al bene come compiutamente descritto nel decreto di trasferimento e nella precedente ordinanza di vendita; concludono nel senso che è l’inopponibilità dell’accertamento dell’errore nel decreto e non già l’erroneità del decreto in sè ad essere il punto decisivo della controversia, in quanto tale non attinto dalla censura del ricorrente;
del terzo motivo denunciano l’inammissibilità per difetto di valida illustrazione (con violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4) e per non pertinenza del quesito di diritto rispetto al contenuto sostanziale della censura, ma altresì l’infondatezza, illustrando i motivi di appello proposti e sottolineandone la specificità ed ampiezza; e negano un’omissione di pronuncia sull’eccezione di nullità dell’atto di citazione in appello;
e concludono con una finale eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata indicazione degli atti e dei documenti sui quali è fondato, non bastando la materiale allegazione al medesimo della sentenza n. 428/02 del tribunale di Verona, della sentenza di primo grado e dell’atto di citazione in appello.
3. Va, a questo punto, in via preliminare rilevato essere incontroverso:
– che il bene reso oggetto del precetto di rilascio qui opposto coincide con l’oggetto del decreto di trasferimento originariamente pronunciato in favore degli odierni esecutanti;
– che il debitore cui è stato intimato il rilascio era una delle parti del giudizio di divisione;
– che è sopravvenuto, nel giudizio di divisione in cui è stato emesso il decreto di trasferimento posto a base della oggi opposta esecuzione, un provvedimento giudiziale (la sentenza n. 428 del 21.2.02 del tribunale di Verona) di esclusione dall’oggetto del decreto stesso dell’area annessa ai fabbricati;
– che in tale giudizio di divisione, neppure ai soli fini della modifica o correzione o restrizione del decreto di trasferimento, non sono stati messi in condizione di partecipare gli aggiudicatari acquirenti, precettanti opposti nel presente giudizio.
4. Va pure premesso che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5) l’art. 366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079). Pertanto:
4.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità, da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v. : Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perchè, in contrario, difetterebbero di decisività (sull’indispensabilità della pertinenza del quesito, per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
4.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680);
4.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione, nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di norme di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla imprescindibile condizione che ciascuna sia accompagnata dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte: Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre 2011, n. 27649).
5. In applicazione dei criteri di cui al paragrafo precedente:
5.1. il primo motivo è inammissibile, perchè concluso da quesito privo di ogni riferimento al caso concreto e della anche solo sommaria enunciazione delle caratteristiche della fattispecie concreta, mentre la regula iuris di cui si chiede l’affermazione è manifestamente eccentrica rispetto alla ratio decidendi;
quest’ultima, infatti, come ricostruita sub 3, non riguarda la diversità del bene oggetto di decreto di trasferimento rispetto a quello di cui si chiede il rilascio, ma l’opponibilità di tale correzione o modificazione o restrizione successiva, resa in un giudizio a cui essi, diretti destinatari della pronuncia, non sono stati messi in grado di partecipare;
5.2. il secondo motivo è anch’esso inammissibile, perchè privo di qualunque autonomo momento di sintesi o di riepilogo, tanto meno dai rigorosi requisiti di cui sub 4.2; e, comunque, effettivamente la corte territoriale fonda la sua decisione non già sull’ontologica esistenza o meno dell’errore nel decreto di trasferimento originario, ma, appunto, sull’ìnopponibilità del provvedimento di correzione o modificazione o restrizione di quello agli aggiudicatari acquirenti, inammissibilmente lasciati estranei ad un giudizio che li coinvolgeva direttamente;
5.3. anche il terzo motivo è inammissibile, perchè assistito da quesito apodittico in punto di regula iuris generale e privo di idonei riferimenti sia alle peculiarità del caso di specie (non indicandosi, in particolare e neppure sommariamente, quali fossero le domande od eccezioni pretermesse), sia alla regula iuris che si assume malamente applicata alla fattispecie.
6. D’altra parte, correttamente la corte territoriale identifica quale titolo esecutivo della minacciata – ed oggi opposta – esecuzione per rilascio il decreto di trasferimento pronunciato originariamente nel giudizio di divisione ordinaria (conformemente alla giurisprudenza di questa Corte: per tutte, v.: Cass. 1 dicembre 1998, n. 12174; Cass. 4 luglio 2006, n. 15268; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21224); ed è noto che, dinanzi ad un titolo esecutivo giudiziale non è consentito al giudice dell’opposizione avverso il precetto su di quello fondato entrare nel merito di valutazioni da contestare in sede di impugnazione del titolo (per tutte e tra le più recenti, vedansi: Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850, ove più ampi e completi riferimenti; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4505; Cass. 4 agosto 2011, n. 16998; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1183; Cass. 24 luglio 2012, n. 12911): ma, beninteso, in quella sede e nel contraddittorio dei diretti interessati, cioè dei beneficiari della condanna contenuta nel titolo stesso, tanto corrispondendo ad un principio cardine dell’ordinamento processuale. Pertanto, la sentenza gravata si sottrarrebbe anche nel merito alle censure mossele, avendo fatto corretta applicazione del seguente principio di diritto: ogni modifica sostanziale – come la limitazione del suo oggetto – di un decreto di trasferimento (a prescindere dalla sua correttezza e dalle conseguenze in ordine alla stabilità della vendita forzata e dei suoi effetti, nonchè dall’individuazione della corretta azione da intraprendere) non è opponibile agli aggiudicatari acquirenti se questi non sono stati messi in condizione di partecipare al giudizio in cui quella modifica è stata poi pronunciata.
7. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il soccombente ricorrente condannato alle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, tra loro in solido per la comunanza della posizione processuale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna M. P. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di P.S. e P.M., tra loro in solido, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di cassazione, il 2 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2013
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Numero Protocolo Interno : 64/2013