Provvedimento segnalato dal Dott. Nicola Maria Matonti
Ai fini della legittimità dell’esecuzione forzata, è sufficiente che il titolo sussista quando il procedimento espropriativo è preannunciato o iniziato e che la sua validità ed efficacia permangano inalterate durante tutto il corso della fase esecutiva, sino al suo termine finale.
Così come è inammissibile per tardività un’opposizione proposta ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c. dopo il materiale compimento dell’esecuzione forzata, allo stesso modo non è possibile travolgere gli atti di un procedimento assistito sino al suo momento conclusivo da un idoneo titolo esecutivo e rispetto al quale la successiva caducazione di quest’ultimo non può avere valenza retroattiva per inferire l’invalidità di un’espropriazione forzata legittimamente incardinata e portata a definitiva realizzazione.
L’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno e di restituzione delle somme assegnate all’opposto, determinata dalla caducazione del titolo esecutivo soltanto a seguito della definizione del procedimento espropriativo immobiliare, sino a quel momento legittimamente svoltosi, concretandosi in una particolare ipotesi di cd. “soccombenza virtuale”, comporta il riconoscimento delle spese di lite ex art. 91 c.p.c., in capo all’opponente.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Salerno, Dott. Alessandro Brancaccio, con la sentenza n. 2646 del 30.05.2017.
Nel caso controverso, un debitore introduceva, con atto di citazione, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., la fase di merito del giudizio di opposizione all’esecuzione promosso con ricorso depositato in un procedimento espropriativo immobiliare, deducendo il fatto che il creditore aveva agito in virtù di decreto ingiuntivo del Tribunale di Salerno, avverso cui pendeva il giudizio di opposizione, nel quale il consulente tecnico d’ufficio nominato, aveva ridimensionato il compenso professionale preteso dal creditore, riconoscendo al debitore, inoltre, un risarcimento del danno per non avere l’opposto espletato diligentemente l’incarico conferitogli.
In particolare, l’opponente osservava che l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo avrebbe comportato la caducazione del diritto del creditore di agire in executiviis, giacché, sottraendo dal compenso rideterminato dal consulente tecnico d’ufficio l’importo quantificato per il risarcimento del danno e quello corrisposto dal debitore a titolo di acconto, il credito sarebbe risultato inesistente, per cui, in ragione dell’imminente esito favorevole del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore sarebbe dovuto essere condannato alla restituzione di quanto eventualmente percepito in sede di distribuzione del ricavato della vendita del compendio pignorato ed al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall’illegittima introduzione del procedimento espropriativo.
Nel costituirsi in giudizio, il creditore assumeva che la mera pendenza del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo non precludeva la prosecuzione del procedimento esecutivo e, dunque, l’assegnazione delle somme ricavate dall’alienazione del cespite staggito, sottolineando, inoltre, il fatto che le risultanze della relazione tecnica d’ufficio espletata nel suddetto giudizio erano del tutto inattendibili, al punto che il consulente era stato deferito al consiglio di disciplina dell’ordine di appartenenza e denunciato per il reato di cui all’art. 373 cod. pen..
Il Tribunale in primo luogo, rilevava che la sentenza con la quale il Tribunale di Salerno aveva revocato il decreto ingiuntivo azionato dall’opposto, non poteva assumere alcuna rilevanza, essendo intervenuta successivamente all’emanazione dell’ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla vendita del compendio pignorato e, dunque, alla chiusura del procedimento espropriativo immobiliare, fino a quel momento legittimamente svoltosi in virtù di un titolo di formazione giudiziale dotato di piena attitudine esecutiva.
Ed invero, ai fini della legittimità dell’esecuzione forzata, è sufficiente che il titolo sussista quando il procedimento espropriativo è preannunciato o iniziato e che la sua validità ed efficacia permangano inalterate durante tutto il corso della fase esecutiva, sino al suo termine finale.
Pertanto, proseguiva il Giudice, così come è inammissibile per tardività un’opposizione proposta ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c. dopo il materiale compimento dell’esecuzione forzata, allo stesso modo non è possibile travolgere gli atti di un procedimento assistito sino al suo momento conclusivo da un idoneo titolo esecutivo e rispetto al quale la successiva caducazione di quest’ultimo non può avere valenza retroattiva per inferire l’invalidità di un’espropriazione forzata legittimamente incardinata e portata a definitiva realizzazione.
In sede di opposizione all’esecuzione, ad avviso del Tribunale adito, può farsi valere una sopravvenuta inesistenza o inefficacia del titolo, a condizione che sia dovuta a eventi postumi rispetto al momento in cui il medesimo si è formato ed è divenuto irrevocabile, stante il principio dell’intangibilità del giudicato, o, comunque, idoneo a fondare l’esercizio dell’azione esecutiva e non anche, come nel caso in esame, a circostanze deducibili mediante i mezzi di impugnazione predisposti dal legislatore per consentirne la relativa rimozione.
Inoltre, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere incentrata su ragioni attinenti ai vizi di formazione del provvedimento fatto valere come titolo esecutivo soltanto quando i medesimi ne determinino l’inesistenza giuridica, dovendo gli altri vizi procedurali, al pari delle ragioni di ingiustizia della decisione che ne costituiscano il contenuto, esser fatte valere, se ancora possibile, nel corso del processo in cui il provvedimento è stato emesso o mediante la tempestiva impugnazione di quest’ultimo.
Il Giudice campano rilevava, dunque, che le contestazioni sollevate dall’attore in ordine alla sussistenza e, comunque, all’ammontare del credito vantato dal convenuto risultavano manifestamente inammissibili, giacché dovevano essere formulate, come di fatto verificatosi, soltanto con l’introduzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, vale a dire nel processo di cognizione nel cui ambito era stato emesso il titolo giudiziale coattivamente azionato, non introducendo alcuna ragione nuova o sopravvenuta rispetto al momento di formazione di quest’ultimo.
In altri termini, la caducazione del titolo giudiziale posto a fondamento dell’espropriazione immobiliare, essendo intervenuta solo successivamente alla sua conclusione, precludeva ogni valutazione delle domande con le quali l’opponente aveva richiesto il risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.c., e la condanna dell’opposto alla restituzione delle somme percepite in sede di riparto, giacché presupponenti l’ammissibilità e l’accoglimento del rimedio giuridico previsto dall’art. 615, comma 2, c.p.c..
Sulla base di quanto esposto, il Giudice dichiarava inammissibile l’opposizione proposta, condannando l’opponente alla rifusione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
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