“Il terzo, originariamente estraneo al processo esecutivo, locatario del bene immobile pignorato, può dispiegare opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordine di liberazione del bene emanato ai sensi dell’art. 560 c.p.c., sul presupposto della non opponibilità del contratto stesso per essere il canone ritenuto inferiore di un terzo a quello giusto ai sensi dell’art. 2923 c.c., comma 3; poiché in detta opposizione sono litisconsorti necessari anche i debitori ed i creditori e la non integrità originaria del contraddittorio è rilevabile d’ufficio anche per la prima volta in sede di legittimità; ove gli uni o gli altri non abbiano partecipato al giudizio, va disposta la cassazione con rinvio, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3 e art. 354, c.p.c. al giudice di unico grado di merito, affinché il giudizio stesso sia celebrato a contraddittorio integro anche con i litisconsorti necessari pretermessi”.
“[È] legittima l’emanazione diretta da parte del giudice dell’esecuzione, con la successiva diretta attuazione da parte del custode da lui nominato e senza bisogno di munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva, di un ordine di liberazione sul presupposto della non opponibilità, all’aggiudicatario in futuro ed al ceto creditorio procedente nell’attualità, di un contratto di locazione a canone c.d. vile: restando tutelati i soggetti a vario titolo coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento dai rimedi interni al processo esecutivo, nel quale essi sono restati coinvolti, a tutela delle superiori esigenze pubblicistiche cui quello è ordinato”.
Questi sono i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Pres. Vivaldi – Rel. De Stefano, con la sentenza n. 9877 del 28 marzo 2022.
Nel caso di specie, il debitore esecutato impugnava dinanzi al Tribunale di Sulmona una sentenza che rigettava l’opposizione avverso un ordine di liberazione emanato dal giudice di un’espropriazione immobiliare a danno di quest’ultimo quale locatario dell’immobile oggetto dell’ordine in parola.
Il locatario del bene staggito faceva valere l’invalidità dell’ordine di liberazione quale atto del giudice dell’esecuzione, quanto meno per la contestata potestà in capo a questi di emetterlo o della legittimazione del custode a conseguirne gli effetti.
Gli Ermellini, senza soffermarsi sul merito della questione, pur individuandone gli aspetti salienti e controversi, rilevando l’effettiva mancata integrità del contraddittorio (in questo caso si tratta di ipotesi di litisconsorzio necessario), rimettevano la causa al Tribunale di Sulmona per la decisione.
Più compiutamente occorre soffermarsi su alcuni aspetti evidenziati all’interno della sentenza in commento.
L’ordine di liberazione del bene immobile oggetto di espropriazione è una figura, inizialmente elaborata dalla giurisprudenza, poi recepita dalle riforme del codice di rito con la novella di cui al D.L. n. 35 del 2005, conv. con mod. in L. n. 80 del 2005 e successivamente oggetto di una “tormentata” evoluzione normativa (si pensi, dapprima, al D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, art. 4, comma 2, convertito con modificazioni nella L. 11 febbraio 2019, n. 12; poi, al D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, art. 18-quater, convertito con modificazioni nella L. 28 febbraio 2020, n. 8).
Tale strumento si pone come funzionale al conseguimento delle migliori condizioni possibili di negoziabilità del bene pignorato sul mercato dei potenziali acquirenti, notoriamente connesse allo stato di immediata, piena e incondizionata disponibilità dello stesso.
L’ordine di liberazione è, quindi, un provvedimento ordinatorio funzionale agli scopi del processo di espropriazione che consiste non solo nella giuridica, ma pure nella materiale estrazione dal patrimonio del debitore del diritto staggito, al fine della sua liquidazione e cioè trasformazione in denaro, al fine del maggiore soddisfacimento possibile dei diritti dei creditori, come riconosciuti nei rispettivi titoli esecutivi ed a salvaguardia dell’effettività della tutela del diritto.
Siffatto strumento costituisce una peculiare potestà ordinatoria del giudice dell’esecuzione – con efficacia meramente endoprocessuale – il quale è dotato di ampi poteri per conseguire le condizioni di quel bene più idonee alla sua liquidazione; e, anche, di una potestà ordinatoria che necessariamente involge l’esercizio di sommari poteri soltanto lato sensu cognitivi, di delibazione di quelle questioni di diritto la cui soluzione è indispensabile per l’ordinato e proficuo sviluppo della procedura.
Con riguardo poi alla questione delle locazioni che prevedono il pagamento di un c.d. canone vile (si parla di canone vile qualora il prezzo della locazione sia inferiore di un terzo al c.d. giusto prezzo) l’aggiudicatario può agire per ottenere dal conduttore il rilascio dell’immobile, non essendo tenuto a rispettare il contratto di locazione così stipulato.
La ratio della disposizione è quella di assicurare all’acquirente una rendita adeguata al valore che dal bene concesso in godimento a terzi è consentito ricavare, accordando quindi prevalenza alle esigenze di tutela dell’aggiudicatario e, prima ancora, all’effettività del processo esecutivo, che a sua volta tutela le ragioni dei creditori e del debitore esecutato, rispetto ai diritti del locatario, anche al fine di rendere il bene pignorato maggiormente appetibile per gli interessati.
I Giudici di legittimità affrontano, dunque, il tema – interessante ai fini operativi – della adottabilità dell’ordine di liberazione dell’immobile locato a canone “vile”, già in seno alla procedura esecutiva.
Sul punto, la Cassazione muove dalla considerazione che la stessa finalizzazione della procedura alla tutela dell’aggiudicatario (su cui, per tutte, v. Cass. 11116/20, cit.) impone l’anticipazione degli effetti favorevoli per quest’ultimo come disegnati dai codici sostanziale e di rito, quali diverranno definitivi in suo favore col decreto di trasferimento e col suo peculiare regime di efficacia ultra partes: ed esige che l’anticipazione sia validamente conseguita col provvedimento ordinatorio tipico consistente nel detto ordine di liberazione, ricostruito dal 2016 anche dopo le più recenti riforme, che hanno mantenuto il superamento della qualificazione di titolo esecutivo introdotta dalla riforma del 2005/06 – come atto autoattuativo, per il quale non è necessaria una ulteriore esecuzione per rilascio di immobile, suscettibile di fare conseguire subito alla procedura la disponibilità del bene per la sua offerta in gara e quindi in tempo anche anteriore all’aggiudicazione.
Ne segue che quanto non sarà opponibile all’aggiudicatario non è opponibile neppure alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso nè al giudice dell’esecuzione, al fine della sua attuazione per il tramite del custode da lui nominato quale suo peculiare ausiliario incaricato di attività materiale servente ed indefettibile ai fini del progredire della procedura, è dato allora di adottare il tipico provvedimento finalizzato al conseguimento della disponibilità del bene pignorato – cioè dell’ordine di liberazione – avvalendosi delle stesse inopponibilità che potrà un domani fare valere l’aggiudicatario.
Da tanto consegue che, in tesi, è pienamente legittima l’emanazione diretta da parte del giudice dell’esecuzione, con la successiva diretta attuazione da parte del custode da lui nominato e senza bisogno di munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva, di un ordine di liberazione sul presupposto della non opponibilità, all’aggiudicatario in futuro ed al ceto creditorio procedente nell’attualità, di un contratto di locazione a canone c.d. vile: restando tutelati i soggetti a vario titolo coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento dai rimedi interni al processo esecutivo, nel quale essi sono restati coinvolti, a tutela delle superiori esigenze pubblicistiche cui quello è ordinato.
Nel periodo di vigenza dell’art. 560 c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 35 del 2005 cit., l’ordine di liberazione andava eseguito nelle forme delle ordinarie esecuzioni in forma specifica in quanto formalmente qualificato titolo esecutivo e pertanto opponibile dal creditore e dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi ed il terzo (originariamente) estraneo al processo con l’opposizione all’esecuzione.
Con la novella apportata dal D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni dalla L. 30 giugno 2016, n. 119, l’ordine in parola è stato individuato come atto diverso da un titolo esecutivo e suscettibile di attuazione deformalizzata direttamente da parte degli ausiliari del giudice che lo ha emesso, restando espressamente esclusa l’azionabilità delle ordinarie forme delle esecuzioni per rilascio di immobile
Pertanto, il provvedimento giurisdizionale così adottato non diventa anche autonomo titolo esecutivo idoneo a fondare una separata esecuzione per rilascio, ma resta esclusivamente atto del processo di espropriazione immobiliare, idoneo a dispiegare i suoi effetti nei confronti di coloro che in esso sono coinvolti e, quindi, anche del terzo destinatario dell’ordine di liberazione.
La tutela delle ragioni di questi ultimi potrà farsi valere davanti al giudice dell’esecuzione esclusivamente nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di liberazione dell’immobile.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
PROCEDURE ESECUTIVE: LA LOCAZIONE CON CANONE “VILE” È INOPPONIBILE ALL’ AGGIUDICATARIO
All’acquirente deve essere assicurata una rendita adeguata al valore del bene
Articolo Giuridico | Il Mattino, Legalmente | 19.02.2017 |
COME CAMBIA L’ORDINE DI LIBERAZIONE CON IL DL 59/2016 CONVERTITO NELLA LEGGE 102/2016
La liberazione dell’immobile aggiudicato deve essere attuata dal custode
Articolo Giuridico | Il Mattino, Legalmente | 06.11.2016 |
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