ISSN 2385-1376
Testo massima
Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Bari, in persona del giudice unico dott. Cassano, nella sentenza del 15.4.2015 n. 1685/2015, che ha richiamato e fatto proprio l’orientamento espresso dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, a partire dalle sentenze nn. 6070, 6071 e 6072/2013.
Principio condiviso, a distanza di appena quindici giorni, da altro Giudice, dott. Casciaro, dello stesso Tribunale di Bari, con la successiva e conforme sentenza n. 1967/2015 del 30.04.2015.
Nelle fattispecie in esame, tra loro piuttosto similari, è accaduto che le società attrici (entrambe società di persone nella forma della s.n.c.), avevano convenuto in giudizio i rispettivi istituti di credito, chiedendo la condanna di questi alla restituzione degli importi indebitamente percepiti sui contratti di c/c ad esse intestati, previa rideterminazione dell’esatto dare-avere a seguito di disapplicazione di clausole contrattuali ritenute illegittime (interessi debitori determinati con riferimento all’uso piazza, capitalizzazione trimestrale dei soli interessi passivi, applicazione di tassi usurari, cms e spese non convenute, valute fittizie).
Nelle more dei processi, i soci delle anzidette società si costituivano in prosecuzione ex art. 300 c.p.c. sul ritenuto presupposto che, essendosi queste estinte per effetto della cancellazione dal registro delle imprese successivamente all’introduzione dei giudizi de quo, i predetti dovevano ritenersi succeduti, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., in tutti i rapporti attivi e passivi delle società estinte.
Sulla scorta di quanto precede, il Tribunale di Bari, con le due citate sentenze, ha dunque ritenuto di rigettare le pretese azionate delle società attrici e successivamente dai rispettivi soci, per attuale mancanza di un soggetto che potesse qualificarsi titolare del diritto preteso, identificandosi nella cancellazione della società un’univoca manifestazione di volontà degli organi liquidatori di rinunciare alla pretesa o al credito azionato.
Statuizioni, quelle in commento, rese in linea con il pacifico e consolidato indirizzo della Cassazione formatosi sul punto successivamente alla novella che ha interessato, a far data dall’1.1.2004, anche l’art. 2495 del codice civile.
Come noto, infatti, la legge di riforma del diritto societario (il D.Lgs. 17.1.2003 n. 6 che ha sostituito l’intero Capo VIII del Titolo V del Libro V del Codice Civile), nel riformare l’art. 2495 c.c., ha disposto che la cancellazione di una società di capitali dal Registro delle imprese determini l’effetto estintivo.
Orbene, la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società (sia essa di capitali o di persone), a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa agire o essere convenuta in giudizio.
Pertanto, qualora l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e segg. c.p.c., con possibile, successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.
Tuttavia, può capitare che, nonostante la cancellazione, sopravvivano alcuni crediti e debiti non definiti durante la fase di liquidazione, vuoi perché essi sono stati trascurati in sede di liquidazione (c.d. residui attivi non liquidati), vuoi perché solo in seguito alla cancellazione se ne è scoperta l’esistenza (c.d. sopravvenienze attive o passive della liquidazione).
Ebbene, rispetto a detti rapporti ancora pendenti, occorre tenere presente che:
1) le obbligazioni non definite si trasferiscono ai soci i quali ne rispondono: a) nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione se, durante la vita della società, essi erano limitatamente responsabili per i debiti sociali; b) illimitatamente negli altri casi;
2) i diritti e i beni certi e liquidi che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, sarebbero figurati nel bilancio di liquidazione e sarebbero stati conseguentemente suscettibili di ripartizione tra i soci (al netto dei debiti non inclusi nel bilancio di liquidazione), si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione.
Se invece il credito è ancora incerto o illiquido, ovvero si tratti di una semplice pretesa azionabile o azionata in un giudizio, la circostanza che il liquidatore non l’abbia inserito nel bilancio di liquidazione per l’assegnazione dell’attivo ai soci, equivale ad una tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa (così anche Cass. 16.07.2010, n. 16758).
Il riferimento è chiaramente a quei crediti per la cui liquidazione sarebbe stata necessaria un’ulteriore attività (giudiziale o stragiudiziale) della società: infatti il mancato svolgimento di tale attività può dimostrare un disinteresse della stessa alla liquidazione e, dunque, una tacita rinuncia a quei crediti con la cancellazione dell’impresa. Pertanto, essi non sopravvivono per implicita volontà della società, a seguito dell’estinzione, e non si trasferiscono ai soci.
È opportuno aggiungere che, sebbene l’art. 2312 c.c. non sia stato interessato dalla citata novella, il principio innanzi riportato è stato considerato applicabile dalla giurisprudenza anche alla cancellazione volontaria delle società di persone, come nel caso delle due sentenze in commento.
Testo del provvedimento
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