Testo massima
In mancanza di tempestiva contestazione dell’estratto conto, vi è l’approvazione tacita del correntista ex art.1832 cc.
La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n.6514 pronunziata in data 19.03.2007, ha confermato un principio consolidato in giurisprudenza secondo cui la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto da parte del correntista nel termine di mesi sei dal ricevimento del conto medesimo rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile mentre non impedisce la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino.
Nel caso di specie, il Tribunale di Venezia, su ricorso della BANCA s.c.r.l., con decreto ha ingiunto a due correntisti il pagamento di una somma di denaro in virtù di un mutuo ipotecario dagli stessi sottoscritto.
Hanno proposto impugnazione i due correntisti al fine di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo perché errato nella cifra, ma la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato entrambi i ricorsi.
Proposto ricorso per cassazione, i giudici di legittimità hanno stabilito che in caso di mancata contestazione degli estratti conto nei termini di cui all’art.1832 cc, il correntista non potrà impugnare gli accrediti e gli addebiti sotto il profilo meramente contabile ma sarà sempre legittimato ad impugnare l’inesistenza o invalidità delle operazioni economiche sottostanti alle annotazioni contabili.
Testo del provvedimento
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.A., B.L., (MUTUATARIO IPOTECARIO E FIDEIUSSORE)
– RICORRENTI –
contro
BANCA
– CONTRORICORRENTI –
avverso la sentenza n. 237/02 della Corte d’Appello di Venezia, depositata il 12/02/02;
Il Presidente del Tribunale di Venezia con decreto depositato in data 23.1.1995 ingiungeva a T.A. e B.L., su ricorso della BANCA, il pagamento della somma di lire 104.471.191 comprensiva di interessi maturati fino al 6.12.1994 al tasso convenzionale annuo del 16,5% con capitalizzazione trimestrale e spese, in virtù di un mutuo ipotecario sottoscritto dal T.A. in data 1.1.1993 con garanzia fideiussoria della B.L. e di uno scoperto di conto corrente del 9.12.1993.
Proponevano opposizione il T.A. e la B.L. ed all’esito del giudizio il Tribunale di Venezia con sentenza del 22.5.1997 rigettava la opposizione proposta dal T.A. ed, in parziale accoglimento di quella della B.L., revocava il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti e la condannava al pagamento, in solido con il T.A., della somma di lire 54.991.128 relativa al mutuo oltre agli interessi al tasso convenzionale pattuito con capitalizzazione semestrale dal 7.12.1994.
Proponevano impugnazione sia il T.A. che la B.L., chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo perché errato nella cifra e la declaratoria che nulla era dovuto dalla B.L. in quanto il T.A. nel Novembre 1997 aveva effettuato un bonifico bancario di lire 61.500.000.
La BANCA convenuta, costituitasi, eccepiva la inammissibilità dell’appello in quanto tardivamente proposto.
Con sentenza del 17.12.2001-12.2.2002 la Corte d’Appello di Venezia rigettava entrambi gli appelli, condannando gli appellanti al pagamento in solido della spese processuali.
Dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità del gravame e rilevato nel merito che la contestazione non riguardava l’inadempimento dei debitori ma l’ammontare del credito, che si afferma in parte pagato, nonché il tasso di interesse e la corresponsione dell’interesse composto, osservava la Corte d’Appello che il credito azionato non era stato efficacemente contestato dagli opponenti, risultando da un lato che avevano versato “acconti già conteggiati o di cui si terrà conto in fase esecutiva” in quanto “successivi alla pronuncia giudiziale” vale a dire al decreto ingiuntivo e, dall’altro, che i versamenti eseguiti riguardavano, l’uno, un diverso conto corrente per lire 10.000.000 e, l’altro, il pagamento di un effetto non versato in conto.
Rilevava inoltre che gli appellanti non avevano provato di aver compiuto altri versamenti, con la conseguenza che deve ritenersi conforme la contabilità della banca, da intendersi peraltro riconosciuta dalla mancata contestazione da parte loro all’atto del ricevimento delle comunicazioni periodiche.
Quanto infine all’interesse legale corrente periodicamente sugli stessi interessi, già maturati ed in sofferenza al pari del capitale, osservava infine che il protrarsi dell’inadempimento è ascrivibile unicamente a colpa dei debitori e che il tasso feneratizio extralegale nonché l’anatocismo risultano concordati per iscritto tra le parti.
Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione T.A. e B.L. che deducono sette motivi di censura illustrati anche con memoria.
Resiste con controricorso, illustrato anch’esso con memoria, la BANCA.
Motivi della decisione
Pregiudizialmente deve essere disposto, in accoglimento della richiesta formulata in sede di discussione dal difensore della controricorrente Banca, lo stralcio dei documenti allegati alla memoria dai ricorrenti in quanto non solo non rientrano fra quelli consentiti dall’art.372 cpc, comma 1, ma riguardano addirittura altro giudizio promosso a seguito di un distinto decreto ingiuntivo ottenuto dalla stessa Banca.
Resta in tal modo assorbita ogni valutazione sull’osservanza delle modalità previste dal comma 2 per il deposito e sulle varie tesi espresse al riguardo dalla giurisprudenza.
Con il primo motivo di ricorso T.A. e B.L. denunciano omessa e contraddittoria motivazione.
Lamentano che la Corte d’Appello, nel rilevare che essi avessero versato “acconti già conteggiati o di cui si terrà conto nella fase esecutiva“, abbia ritenuto che il credito azionato non fosse stato in tal modo efficacemente contestato, senza considerare che se la dedotta circostanza relativa al mancato conteggio da parte della banca dei loro versamenti passasse in giudicato non sarebbe più consentito tenerne conto in sede di esecuzione, con la conseguenza che in tal modo la Corte di merito ha finito per non pronunciarsi sulla compensazione richiesta per lire 61.500.000 relative a parte del bonifico del 17.11.1997, come dedotto con l’atto di appello.
La censura, riguardante i pagamenti effettuati dagli ingiunti successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo e sui quali la Corte d’Appello ha ritenuto che potrà tenersi conto solo in fase esecutiva, è fondata.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità o di validità del decreto medesimo ma si estende all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza e non già solo a quella anteriore all’emissione del decreto ingiuntivo, conseguentemente il giudice, qualora riconosca fondata, anche solo parzialmente, la eccezione di pagamento formulata dall’opponente con l’atto di opposizione o nel corso del giudizio, deve revocare totalmente il decreto opposto, senza che rilevi in contrario l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto estintivo rispetto al momento dell’emissione, sostituendo all’originario decreto ingiuntivo la sentenza di condanna al pagamento dei residui importi del credito.
Tale principio trova del resto testuale riscontro nell’art.653 cpc, comma 2, secondo cui “se la opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza“.
In tal senso del resto si sono espresse da tempo le Sezioni Unite (7448/93) che hanno composto un contrasto insorto al riguardo in quanto parte della giurisprudenza aveva ritenuto che non potesse revocarsi il decreto ingiuntivo in caso di pagamento successivo, rilevabile solo in sede di esecuzione (più recentemente Cass.1657/04; Cass.15186/03; Cass.15339/00).
Erroneamente pertanto la Corte d’Appello, ritenendo che dovesse rinviarsi ogni accertamento in sede di esecuzione, ha omesso ogni valutazione sugli importi che gli ingiunti avevano sostenuto di aver versato successivamente all’emissione del decreto.
E di ciò il giudice di rinvio dovrà farsi carico.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art.645 cpc e art.2697 cc. Sostengono che erroneamente la Corte d’Appello ha ravvisato un difetto di prova da parte loro in ordine alla contabilità prodotta dalla banca la quale, in relazione alle somme dovute, non sarebbe stata contestata al ricevimento delle periodiche comunicazioni, risultando invece una tale contestazione sin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo nonché dal successivo atto di appello per quanto riguarda sia il mutuo sottoscritto in data 1.6.1993 che l’ammontare dello scoperto del conto corrente e non essendo stato considerato che era onere della banca fornire la prova della propria pretesa creditoria e che è da ritenersi vessatoria la clausola che attribuisce piena prova agli estratti conto non contestati entro sessanta giorni.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art.1832 cc.
Ribadiscono la natura vessatoria della clausola di cui al secondo motivo e deducono che in ogni caso la mancata contestazione nei termini degli estratti di conto corrente preclude ogni successiva questione sulla correttezza materiale delle operazioni di accredito e di addebito ma non anche la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano dette operazioni, validità ed efficacia che sono state fatte valere con la deduzione della nullità della clausola relativa agli interessi.
Le esposte censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, sono fondate.
In giurisprudenza è da tempo consolidato il principio secondo cui la mancata tempestiva contestazione dell’estratto di conto corrente da parte del correntista nel termine, previsto dall’art.1832 cc, di mesi sei dal ricevimento del conto medesimo rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile ma non impedisce la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino.
Pertanto, nell’ipotesi in esame in cui si controverte, oltre che in ordine a pagamenti parziali, anche in tema di anatocismo e di interessi usurari, nessuna rilevanza può assumere ai fini dell’ammissibilità dell’accertamento la mancata contestazione dell’estratto di conto corrente nel suddetto termine semestrale.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art.1283 cc.
Sostengono la nullità della convenzione anatocistica in quanto, diversamente dalla previsione di cui all’art.1283 cc, risulta stipulata anteriormente alla scadenza degli interessi.
Al riguardo, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, deducono che la capitalizzazione trimestrale non costituisce un uso normativo ma tutt’al più un uso negoziale richiamato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge.
Anche tale censura è fondata.
La Corte d’Appello ha ritenuto legittima la capitalizzazione trimestrale sul semplice rilievo che era stata concordata fra le parti per iscritto, omettendo del tutto ogni riferimento all’evoluzione della giurisprudenza in materia.
In ordine al problema in esame della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi di conto corrente bancario la giurisprudenza di questa Corte infatti si è ormai consolidata, dopo l’inversione di tendenza avvenuta nel 1999 con le sentenze nn. 2374, 3096 e 3845, nel senso della sua nullità per violazione dell’art.1283 cc in quanto basata su un uso negoziale e non normativo cui deve invece farsi riferimento allorché si richiami l’uso in deroga che legittimerebbe in base a tale norma la sua validità.
Sul punto sono peraltro intervenute, in ragione dell’importanza della questione, le Sezioni Unite (21095/04) le quali, stigmatizzando la mancanza dell’elemento soggettivo dell'”opinio iuris”, hanno confermato il nuovo orientamento e ribadito, fra l’altro, l’efficacia retroattiva di una tale diversa interpretazione, confermata dal successivo diverso intento del legislatore
di assicurare con il D.Lgs. n.342 del 1999, art.25, comma 3 validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della delibera del CICR di cui al D.Lgs. n.342 del 1999, art.25, comma 2
– rimasto frustrato dalla intervenuta dichiarazione di incostituzionalità, per eccesso di delega, di detto comma 3 (C. Cost. 425/00).
Il giudice di rinvio, uniformandosi ai principi testé esposti, dovrà quindi riesaminare l’intero rapporto, sia per quanto riguarda il mutuo che lo scoperto di conto corrente, escludendo la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. n.108 del 1996. Lamentano che la Corte d’Appello abbia ritenuto legittimo il tasso applicato dalla banca sul rilievo che era stato concordato per iscritto, senza tener conto che i tassi applicati agli interessi, se superiori alla soglia stabilita dalla legge, sono da ritenersi “usurari” e quindi applicabili solo nella misura legale, come affermato da questa Corte che ha ravvisato la nullità di clausole difformi anche se anteriori al 1996.
La censura è infondata.
A seguito dell’entrata in vigore della L. n.108 del 1996, che ha introdotto i criteri per la individuazione della soglia oltre la quale gli interessi devono considerarsi usurari e che ha previsto la nullità delle clausole che un tale tasso prevedono, la giurisprudenza di questa Corte si era attestata nel senso della sua operatività anche per i contratti stipulati anteriormente, limitatamente però agli effetti “ancora in corso“, vale a dire agli interessi non ancora maturati (Cass.14899/00; Cass.1126/00; Cass.5286/00).
Successivamente è intervenuto però il D.L.29.12.2000, n.394, convertito con modificazioni nella L. 28.2.2001, n. 24, il quale L. n.108 del 1991, art.1, con una norma di interpretazione autentica, ha previsto che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 cp e dell’art. 1815 cc, comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento“.
Tale norma ha superato peraltro il vaglio della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale con sentenza 14-25.2.2002 n.29.
Pertanto, in base a tale nuova disciplina, sono venute meno le condizioni per paralizzare la operatività delle clausole stipulate prima dell’entrata in vigore della L. n.108 del 1991, art.1 e che abbiano determinato il saggio degli interessi in misura usuraria in relazione ai criteri stabiliti da detta disposizione (in tal senso Cass.13868/02).
Nell’ipotesi in esame il credito della banca deriva da un mutuo triennale ipotecario stipulato in data 1.6.1993 e da uno scoperto di conto corrente del 9.12.1993, vale a dire di pattuizioni precedenti alla L. n.108 del 1996, con conseguente inoperatività “ratione temporis” di tale disciplina che impone di far riferimento al momento in cui gli interessi sono promessi o convenuti.
Peraltro, nel caso in esame, la sua applicabilità sarebbe stata esclusa anche sulla base della precedente giurisprudenza, almeno relativamente al mutuo, trattandosi al riguardo di interessi maturati precedentemente all’entrata in vigore della L. n.108 del 1996.
Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano omessa motivazione in ordine alla richiesta di esibizione di documenti e di ammissione della C.T.U., nonostante le specifiche istanze istruttorie avanzate al riguardo e la loro indubbia rilevanza al fine di verificare se i principi in tema di anatocismo e di interessi enunciati dalla L. n.154 del 1992 siano stati rispettati e se le somme riconosciute con il decreto ingiuntivo non siano invece il risultato di una loro espressa violazione.
L’accoglimento del quarto motivo, relativo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, comporterà la necessità di un accertamento volto ad escludere gli effetti anatocistici determinatisi sul conto corrente intrattenuto dai ricorrenti.
Il presente motivo con cui viene lamentato sostanzialmente il mancato accoglimento della richiesta istruttoria e di ammissione di una C.T.U. per determinare in concreto la misura di tale violazione risulta conseguentemente assorbito.
Va però rilevato che i ricorrenti, nel formulare la loro doglianza, fanno riferimento anche alla L. n.154 del 1992 sulla trasparenza bancaria, trasfusa poi nel T.U. 1.9.1993 n. 385.
Di tale normativa, richiamata evidentemente in relazione agli interessi stipulati in misura superiore a quelli legali ( art.1284 cc, ultimo comma) indipendentemente dal loro carattere usurario di cui si è già parlato in relazione al quinto motivo, nulla viene però precisato in ricorso, non essendo stato dedotto con uno specifico motivo di censura (come invece è stato fatto relativamente al problema della capitalizzazione trimestrale degli interessi con il quarto motivo), che i tassi fossero stati convenuti senza un espresso atto scritto ma con esclusivo alcun riferimento ai cosiddetti “usi di piazza“, esclusi dalla giurisprudenza che ha dichiarato nulle le clausole che li richiamano.
In sede di rinvio non può esservi spazio quindi per un tale ulteriore accertamento la cui questione o non è stata mai dedotta in giudizio ovvero è stata omessa dalla Corte d’Appello senza però, in tale secondo caso, che sia stata prospettata in questa sede alcuna censura al riguardo da parte dei ricorrenti, come già si è avuto modo di sottolineare.
Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano nullità della sentenza, sostenendo che il decreto ingiuntivo dovrebbe in ogni caso essere rideterminato anche in linea capitale, essendo in esso confluiti anche gli interessi in forza della loro capitalizzazione trimestrale e dovendo essere applicati gli interessi vigenti pro-tempore.
Anche tale censura deve ritenersi assorbita in relazione all’accoglimento sia del primo che del quarto motivo, comportando la fondatezza anche parziale dell’opposizione la revoca di tale decreto e la sua sostituzione con la sentenza che dovrà tener conto non solo dei pagamenti effettuati successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo ma anche della nullità della clausola che ha previsto gli interessi anatocistici.
In conclusione il ricorso deve essere accolto in relazione ai primi quattro motivi, con rinvio anche per le spese alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che si uniformerà ai principi accolti.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione accoglie i primi quattro motivi. Rigetta il quinto e dichiara assorbiti il sesto ed il settimo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2007
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