ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel contratto di conto corrente, l’approvazione tacita dell’estratto conto, ai sensi dell’art.1832 cc, non preclude la possibilità d’impugnare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti, e quindi dei titoli contrattuali che ne sono alla base, i quali rimangono regolati dalle norme generali sui contratti.
E’ quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Prima Sezione civile, con sentenza n.10376 pronunziata in data 05-05-2006, a seguito di un ricorso presentato dal fideiussore di una società avverso la sentenza della Corte di Appello che lo aveva condannato a versare alla Banca una somma corrispondente al saldo passivo di un conto corrente acceso dalla predetta società presso quell’istituto di credito.
Nel caso di specie, il ricorrente aveva eccepito la nullità della clausola del contratto di conto corrente con cui erano stati pattuiti interessi convenzionali ma la Corte di Appello aveva ritenuto di non poter accogliere tale eccezione sul presupposto che, a suo tempo, nessuna obiezione fosse stata formulata da parte della società in ordine al contenuto degli estratti conto inviati dalla banca, dai quali si percepiva con chiarezza l’entità degli interessi addebitati.
Ebbene, proposto ricorso per cassazione, i giudici di legittimità hanno accolto le ragioni del ricorrente confermando pertanto l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale la tacita approvazione del conto non preclude mai al correntista la possibilità di contestare la validità e l’efficacia dei rapporti sostanziali dai quali traggono origine le annotazioni riportate nel conto medesimo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
sig. C.M. (FIDEIUSSORE)
– RICORRENTE –
contro
la BANCA
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, depositata in data 6 maggio 2002;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 28 maggio 1993 il presidente del Tribunale di Pisa, accogliendo un ricorso proposto dalla BANCA, ingiunse con decreto al sig. C.M., quale fideiussore della TIZIO SRL, di versare alla ricorrente la somma di L. 12.341.109 (oltre agli interessi ed alle spese), corrispondente al saldo passivo di un conto corrente acceso dalla società TIZIO SRL presso il predetto istituto di credito.
L’ingiunto propose opposizione, ma il tribunale la rigettò, con sentenza confermata poi in secondo grado dalla Corte d’appello di Firenze.
Quest’ultima, in particolare, ritenne che non fosse da accogliere l’eccezione di nullità, sollevata dall’opponente con riferimento ad una clausola del contratto di conto corrente con cui erano stati pattuiti interessi convenzionali.
E ciò sia perché non risultava essere stata a suo tempo formulata alcuna obiezione, da parte della società TIZIO SRL (di cui il fideiussore era amministratore unico), in ordine al contenuto degli estratti conto inviati dalla banca e da questa prodotti in giudizio, i quali consentivano di percepire con chiarezza l’entità degli interessi di volta in volta addebitati sia perché, nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. n.154 del 1992 – che ha espressamente vietato pattuizioni implicanti il mero rinvio agli interessi risultanti da usi di piazza – siffatte pattuizioni – erano da considerare pienamente valide, specie quando, come nel caso in esame, la clausola faceva riferimento al tasso ufficiale di sconto (maggiorato di cinque punti) e quindi ad un dato oggettivo e di pubblico dominio.
Avverso tale sentenza ricorre per Cassazione il sig. C.M. (FIDEIUSSORE), formulando tre motivi di doglianza, ai quali la BANCA resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, come s’è accennato, consta di tre motivi, che possono esser riassunti nei termini che seguono.
Nel PRIMO MOTIVO il sig. C.M. (FIDEIUSSORE) si duole della violazione e della scorretta interpretazione dell’art.1832 cc, il cui comma 1 stabilisce che l’estratto conto trasmesso da un correntista all’altro s’intende approvato se non è contestato nel termine pattuito, o altrimenti nel termine d’uso o in quello che può ritenersi congruo secondo le circostanze.
Perché tale norma possa trovare applicazione è indispensabile che il creditore fornisca la prova di avere effettivamente inviato l’estratto conto al debitore e, nel presente caso, questa prova non sarebbe stata invece adeguatamente fornita dall’istituto di credito.
La documentazione da quest’ultimo prodotta non avrebbe comunque le caratteristiche di un estratto conto suscettibile di determinare gli effetti della tacita approvazione previsti dal citato art.1832 cc. In ogni caso, la tacita approvazione del conto non precluderebbe mai al correntista la possibilità di contestare la validità e l’efficacia dei rapporti sostanziali dai quali traggono origine le annotazioni riportate nel conto medesimo.
1.2. Il SECONDO MOTIVO di ricorso è volto invece a denunciare vizi di motivazione dell’impugnata sentenza in relazione a quanto dispone il D.Lgs. n.355 del 1993. Il ricorrente sostiene che, quantunque nel caso in esame la clausola di commisurazione degli interessi bancali agli usi praticati su piazza fosse stata stipulata prima dell’emanazione delle disposizioni della L. n.154 del 1992 (poi trasfuse nell’art.117 del testo unico bancario approvato col citato D.Lgs. n.385), che ne prescrivono la nullità, almeno a partire dall’entrata in vigore di tali disposizioni una siffatta clausola sarebbe da considerare priva d’effetto.
Ed aggiunge che, infatti, la stessa BANCA aveva a suo tempo inviato alla società correntista una lettera contenente la proposta di modifica della clausola in esame, per renderla conforme alle nuove disposizioni sulla trasparenza bancaria, ancorché detta società non avesse dato poi riscontro alcuno a quella proposta, rimasta perciò lettera morta.
1.3. Il ricorrente infine, con il TERZO MOTIVO, introduce il tema dell’anatocismo, lamentando che la corte territoriale abbia omesso di tenerne conto e non abbia perciò adeguato la propria pronuncia alle indicazioni della più recente giurisprudenza di legittimità in materia.
2. Il ricorso appare fondato, entro i limiti di cui si dirà, e merita perciò di essere accolto.
2.1. Il PRIMO MOTIVO è fondato per l’assorbente ragione che l’approvazione tacita dell’estratto conto, ai sensi del citato art.1832 cc, non preclude la possibilità d’impugnare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti e, quindi, dei titoli contrattuali che sono alla loro base, i quali rimangono regolati dalle norme generali sui contratti (si vedano in tal senso, ex multis, Cass. n.10186 del 2001 e Cass. n.6736 del 1995).
L’eccezione con cui l’opponente ha inteso far valere la nullità della clausola del contratto concernente gli interessi extralegali non implicava, appunto, una contestazione relativa alla realtà storica di una circostanza riportata nel conto, come tale suscettibile di quella particolare forma di confessione in cui l’approvazione tacita consiste, bensì una messa in discussione della validità sostanziale di detta pattuizione, cioè della rilevanza giuridica che l’ordinamento ad essa riconosce.
In nessun caso l’eccezione di nullità della clausola avente ad oggetto la pattuizione degli interessi poteva quindi restare preclusa dall’approvazione tacita del conto ex art.1832 cc.
2.2. Anche il SECONDO MOTIVO di ricorso è fondato, nei limiti di cui appresso.
Occorre qui richiamare il principio per il quale, in tema di contratti bancari, la clausola che per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale faccia riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, anche se stipulata anteriormente all’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n.154, è da ritenersi inoperante a partire dal 9 luglio 1992 (data di acquisto dell’efficacia delle disposizioni della citata legge qui rilevanti, ai sensi dell’art.11 della medesima), perché la previsione imperativa con la quale l’art.4 della legge (poi trasfuso nel D.Lgs. 1 settembre 1993, n.385, art.117) sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se pur non incide sulla validità delle, clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, tuttavia impedisce che esse possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso.
Ed, ad tal riguardo, per rapporti in corso devono intendersi i rapporti, anteriormente costituiti ma non ancora esauriti alla data di inizio dell’operatività della norma sopravvenuta, per non avere il debitore, indipendentemente dalla pregressa chiusura del conto corrente bancario, adempiuto alla propria obbligazione, atteso che la già riferita innovazione incide sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentisi nel tempo (cfr. Cass. n.13739 del 2003, ed altre conformi).
E’ bensì vero che, secondo Cass. n.5675 del 2001 (espressamente richiamata anche nella motivazione dell’impugnata sentenza), quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in detta convenzione oggettivamente indicati e richiamati, la clausola in questione conserverebbe pieno vigore e, nel caso di specie, la Corte d’appello ha appunto ritenuto che si vertesse in una di tali situazioni, stante il richiamo della clausola al tasso ufficiale di sconto.
Sennonché, da quanto riportato nella medesima sentenza impugnata, appare che tale richiamo non era formulato in modo da ancorare in modo stabile ed oggettivo la misura degli interessi pattuiti a quella del tasso ufficiale (maggiorato di cinque punti), ma era invece volto a stabilire che la misura di quegli interessi sarebbe stata “almeno pari” al tasso di sconto (come sopra maggiorato).
Siffatto riferimento, dunque, aveva la funzione di porre un limite al di sotto del quale gli interessi non avrebbero potuto discendere ma, al di sopra di quel limite, non si comprende se e come la misura degli interessi dovuti fosse sottratta al dato incerto e variabile degli usi di piazza.
Stando così le cose, il dubbio sull’incompatibilità della clausola in esame con la disposizione ora figurante nell’art.117, comma 6, del citato testo unico bancario non è rugato, non bastando certo ad escluderlo la mera previsione di un limite minimo al tasso di interessi pattuito.
Alla luce del principio giurisprudenziale sopra ricordato, in tema di inoperatività a partire dal 9 luglio 1992 di clausole che facciano riferimento agli interessi in uso sulla piazza, si pone quindi la necessità di cassare l’impugnata sentenza per consentire al giudice di rinvio di valutare se ed in qual misura l’elemento estrinseco di riferimento agli usi di piazza permettesse nel caso concreto una sicura determinabilità della prestazione di interessi, pur nella variabilità dei tassi nel tempo, senza successive valutazioni discrezionali da parte della banca (cfr., in proposito Cass. n.4696 del 1998) ed eventualmente procedere ad un nuovo calcolo degli interessi effettivamente dovuti.
Poco rileva invece la questione della pretesa – ma non idoneamente attuata (secondo il ricorrente) – modifica in corso di rapporto della pattuizione degli interessi ad opera della banca. Questione sulla quale nulla si ricava dalla lettura dell’impugnata sentenza e che mal si comprende quale incidenza potrebbe avere in causa, posto che lo stesso ricorrente sostiene poi che, in realtà, nessuna valida modifica di detta pattuizione si era perfezionata per difetto di consenso scritto del correntista al riguardo.
2.3. Fondato è, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso.
Sull’eccezione di nullità degli interessi anatocistici, che sicuramente aveva formato oggetto di dibattito in sede di merito, come anche dal controricorso si trae conferma (cfr., in particolare, pag. 7), la Corte d’appello, ha omesso di pronunciarsi.
Dovrà pertanto provvedervi il giudice di rinvio, attenendosi al principio, già ripetutamente ormai espresso da questa Corte, secondo cui va sin dall’origine esclusa la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario, per l’inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare al precetto dell’art.1283 cc (cfr. Sez. un., n.21095 del 1994, ed altre conformi).
3. L’impugnata sentenza deve perciò essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze (in diversa composizione), che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2006
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