Testo massima
In tema di contratto di conto corrente, la Corte di Cassazione è stata chiamata a far luce sulla dibattuta questione relativa alla distribuzione dell’onere della prova tra attore e istituto di credito convenuto.
Nel caso di specie, un CORRENTISTA ha citato in giudizio la BANCA per sentirla condannare alla restituzione di una somma di denaro che la Banca VERDE, cui la convenuta è succeduta, aveva illegittimamente trasferito, con varie operazioni, da due suoi personali conti correnti ad un altro, intestato ad una società di capitali di cui lo stesso era socio.
Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda.
La Corte di Appello, a seguito di impugnazione avanzata da CORRENTISTA avverso la sentenza di primo grado, ha confermato la decisione del Tribunale di Milano rigettando il ricorso.
Presentato ricorso per cassazione, il ricorso è stato rigettato.
Ed infatti, i giudici di legittimità, con sentenza n.3574, pronunziata in data 14.02.2011, hanno sancito un principio cardine in materia di operazioni bancarie: la regola generale di cui all’art.2697 cc, secondo il quale all’attore spetta la prova del titolo costitutivo mentre al convenuto quella delle cause di estinzione o modificazione, non tiene conto del disposto dell’art.1832 cc, per cui, in mancanza di contestazione scritta, gli estratti conti non contestati si presumono conformi alle disposizioni impartite dal correntista, sul quale grava l’onere di provare l’esistenza di fatti, non necessariamente negativi ma anche positivi, diversi e contrari rispetto al contenuto delle annotazioni.
In conclusione, il correntista che non abbia provveduto a contestare tempestivamente gli estratti conto e che solo ex post abbia messo in discussione il corretto operato della banca, avrà l’arduo onere di provare di non aver ricevuto gli estratti conto o di aver sollevato tempestive e specifiche contestazioni.
Alla luce di tale decisione il principio espresso può così essere massimato: in mancanza di contestazione scritta, gli estratti conti non contestati si presumono conformi alle disposizioni impartite dal correntista.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7448-2005 proposto da:
F.A. CORRENTISTA
– RICORRENTE –
contro
BANCA
– CONTRORICORRENTE–
avverso la sentenza n. 830/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/03/2004;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 18.1.99, F. A. (CORRENTISTA) conveniva in giudizio la BANCA per sentirla condannare alla restituzione dell’importo di Euro 139.109,70 (nonché al risarcimento dei danni), somma che la BANCA D’A E D’I, cui la convenuta è succeduta, aveva illegittimamente trasferito, con varie operazioni, da due suoi personali conti correnti ad un altro, intestato alla SOCIETÀ X SRL. di cui l’attore era socio.
Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 2/7-8/11/2001, rigettava la domanda.
Proponeva appello avverso tale sentenza il CORRENTISTA, con atto notificato in data 12.12.2002.
Costituitosi il contraddittorio la BANCA appellata chiedeva il rigetto dell’appello.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 25/2-19/3/2004, rigettava l’appello.
Propone ricorso per cassazione, non articolato in motivi, il CORRENTISTA.
Resiste, con controricorso, la BANCA.
Il CORRENTISTA. ha depositato memoria per l’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pur non essendovi articolazione di motivi nel ricorso proposto, è agevole distinguere i relativi profili di censura.
Lamenta il ricorrente violazione dell’art.2697 cc, sostenendo che, nella specie, doveva operare il generale principio dell’onere della prova; a lui competeva provare il titolo costitutivo e alla banca le cause di estinzione o modificazione.
Non era comunque possibile per lui fornire la prova di un fatto negativo e che cioè non erano stati impartiti ordini alla banca di trasferimento di denaro.
Lamenta altresì il ricorrente violazione dell’art.1325 cc e D.Lgs. n.585 del 1993, art.117, circa l’affermazione del giudice a quo di validità degli ordini orali di trasferimento.
Quanto all’art.17 del contratto di conto corrente, ove si prevedeva la possibilità di impartire ordini telefonici o verbali, questo sarebbe contrario – secondo il ricorrente – al D.Lgs. n.385 del 1993, art.117, e dunque sensi degli artt.1418 e 1419 cc e comunque inefficace ai sensi dell’art.1469 quinques cc.
I motivi, così come individuati nella trattazione unitaria del ricorso, vanno rigettati, in quanto infondati.
Quanto all’onere della prova, va precisato che il principio generale di cui all’art.2697 cc (all’attore la prova del titolo costitutivo; al convenuto quella delle cause di estinzione o modificazione) non tiene conto del disposto dell’art.1832 cc, per cui, in mancanza di contestazione scritta, l’estratto conto si intende approvato, nel termine pattuito o in quello usuale o nel termine che può ritenersi congruo, secondo le circostanze (nella specie, quaranta/sessanta giorni).
Come ha chiarito il giudice a quo, incombeva al CORRENTISTA provare di non aver ricevuto gli estratti conto o di aver sollevato tempestive e specifiche contestazioni.
Per giurisprudenza consolidata (tra le altre, Cass. n.6736 del 1995; n.12169 del 2000) l’approvazione del conto, non estendendosi alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti, ha la funzione di certificare la verità storica dei dati riportati nel conto, ivi compresa l’esistenza degli ordini e delle disposizioni del correntista, menzionate nel conto stesso, come causali di determinate annotazioni di debito: si presumono quindi gli estratti conti, non contestati, conformi alle disposizioni impartite dal correntista.
Gravava dunque sull’odierno ricorrente, secondo il giudice di merito, provare l’esistenza di fatti, non necessariamente negativi, come egli afferma, ma pure positivi, comunque diversi e contrari rispetto al contenuto delle annotazioni degli estratti conto.
Pure l’affermazione circa l’invalidità degli ordini orali delle operazioni bancarie, che dovrebbero rivestire la forma scritta, è infondata.
La legge bancaria ( D.Lgs. n.385 del 1993, art.117) impone la forma scritta solo per la conclusione dei contratti di conto corrente; al contrario, le disposizioni conferite di volta in volta, non comportanti modificazione alcuna delle stipulazioni già intervenute tra le parti, non richiedono forme particolari lasciate alla libera determinazione dei contraenti.
Il giudice a quo si riferisce all’art.17 del contratto di conto corrente tra le parti, ove si prevede la possibilità per il correntista di impartire ordini telefonici e verbali alla banca.
E’ evidente che tale clausola non contrasta con il predetto art.117, ma anzi ne costituisce una conferma ed una specificazione.
Quanto all’inefficacia della predetta clausola, ai sensi dell’art.1469 quinques cc, – il CORRENTISTA. stesso, nel ricorso, dichiara di aver intrattenuto rapporti di conto corrente con la banca tra il 1994 e il 1996, e che le operazioni ritenute illegittime sono state effettuate fino all’ottobre del 1995, mentre la norma invocata, riguardante i contratti del consumatore, è entrata, in vigore nel febbraio 1996.
Dunque anche tale argomentazione appare infondata.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400 comprensivi di Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
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