ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di contratti bancari, gli estratti analitici di conto corrente possono assurgere al rango di prova piena del saldo in essi riportato quando siano prodotti in giudizio e l’organo giudicante sia in grado di esercitare il proprio potere di controllo e valutazione potendo conoscere tutte le operazione tutte le operazioni affluite sul conto durante il rapporto.
Spetta al correntista il dovere di avanzare contestazioni avverso la contabilità tenuta dall’istituto di credito, che non devono risolversi in generiche contestazioni di nulla dovere.
Così ha precisato il Tribunale di Cassino, con sentenza del 12/06/2012, il quale pronunciandosi su di una opposizione a precetto ha espresso il principio di diritto a mente del quale, tra gli elementi significativi che possono attribuire idonea valenza probatoria all’estratto conto, rileva in primo luogo la genericità delle contestazioni sollevate dal debitore, spettando al correntista il dovere di avanzare contestazioni avverso la contabilità tenuta dall’istituto di credito.
Sul punto, precisa il Giudicante che gli estratti analitici di conto corrente soltanto a determinate condizioni possono assurgere al rango di prova piena del saldo in essi riportato.
Invero, innanzitutto deve essere prodotto il contratto di conto corrente.
In secondo luogo, è necessario che il Giudice sia messo effettivamente a conoscenza di tutte le operazioni affluite sul conto durante il rapporto.
Pertanto, al fine di poter conferire efficacia probatoria agli estratti di conto corrente, diventa indispensabile la produzione in giudizio di tali documenti relativi all’intero rapporto, o, quantomeno, ad un periodo non inferiore agli ultimi due anni, contenenti tutte le annotazioni che hanno determinato di volta in volta i saldi intermedi fino al saldo finale, con la chiara indicazione dei negozi giuridici sottostanti alle singole operazioni contabilizzate (Trib. Padova, 18 maggio 2001; Trib. Trani, 27 giugno 2000; Trib. Cassino, 24 novembre 1997; Trib. Cassino, 13 marzo 1997).
Inoltre, precisa il Tribunale, che ciò che rileva al fine di poter attribuire valore di prova agli estratti prodotti in giudizio è la mancanza di idonee contestazioni mosse dal correntista.
Pertanto, qualora il cliente si limiti ad una generica affermazione di nulla dovere, o di dovere una somma inferiore, senza muovere specifici e circostanziati addebiti sulle singole poste dalle quali discende quel saldo, ne consegue che la contabilità così prodotta può costituire prova del saldo (Cass. Civ., n. 14849/00; Cass. Civ., n. 12169/00; Cass. Civ., n. 9579/00).
Nel caso di specie sebbene fossero stati prodotti in atti i contratti di conto corrente non risultava dimostrato che gli estratti stessi erano stati formalmente contestati dal correntista nel termine previsto dalla legge.
Fermo quanto esposto il Tribunale ha comunque rigettato la proposta opposizione della Banca in quanto mancando gli estratti conto relativi all’ultimo biennio di durata del rapporto (sono prodotti solo quelli dal 1988 al 1997 e non quelli dal 2000 al 2002, anno di cessazione del rapporto) era rimasta indimostrata sia la sussistenza del diritto di procedere alla compensazione, sia, ancor prima, l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile compensabile in questa sede.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI CASSINO
in persona del Giudice Unico dr. Andrea Petteruti ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa di primo grado cui al R.G.A.C.C. n. -, avente ad oggetto opposizione a precetto e vertente
Tra:
BANCA
OPPONENTE
E:
S.’ M. e D.M. G.;
OPPOSTI
passata in decisione all’udienza del 12 marzo 2012, sulle seguenti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Posizione di D.M. G..
La Banca (d’ora in poi anche OMISSIS) asserisce che il credito per cui è causa sarebbe stato estinto, dopo la formazione del titolo esecutivo giudiziale in cui lo stesso è consacrato, a seguito di un’operazione di compensazione, avente ad oggetto reciproche poste attive e passive delle parti in causa.
Gli opposti, invece, eccepiscono, in via preliminare, che il credito portato dal titolo esecutivo azionato non sarebbe solidale, per cui comunque la compensazione non avrebbe potuto riguardare la quota facente capo a D.M. G..
Va innanzitutto evidenziato che l’eccezione di cui sopra è senza dubbio ammissibile, in quanto trattasi di mera difesa: è noto, infatti, che il creditore, come il debitore, al fine di pervenire ad un corretto assetto dei rapporti obbligatori, ha sempre interesse a negare la sussistenza della solidarietà attiva (Cass. Civ., n. 20761/07; Cass. Civ., n. 11366/06; Cass. Civ., n. 8235/01 Cass. Civ., n. 10725/00).
Ciò detto, si evidenzia che la tesi di parte opposta, secondo cui il credito non sarebbe solidale perché “la solidarietà attiva nelle obbligazioni, non si presume, nemmeno in caso di identità della res debita o della causa obligandi, ma deve risultare espressamente dalla legge o dal titolo” (ex plurimis Cass. Civ., n. 5316/83), è formalmente corretta, ma richiede un chiarimento.
L’evoluzione dogmatica del suddetto principio, infatti, ha portato la giurisprudenza più recente a distinguere fra titoli negoziali e titoli giudiziali ed ad affermare, con riferimento ai primi, che “al fine della ricorrenza della solidarietà attiva, in forza di titolo negoziale, in un rapporto obbligatorio con identità di oggetto e di causa e con pluralità di creditori, non sono necessarie clausole espresse o formule sacramentali, ma è sufficiente che, attraverso l’interpretazione di quel titolo, possa accertarsi univocamente la volontà delle parti di attribuire a ciascuno dei creditori il diritto di pretendere l’adempimento dell’intera obbligazione, con effetto liberatorio anche nei confronti degli altri creditori” (Cass. Civ., n. 15484/08; Cass. Civ., n. 18362/10).
Dunque, è oramai pacifico che, ove venga in rilievo un titolo negoziale, la solidarietà attiva fra più creditori sussiste non solo se espressamente prevista nel titolo, ma anche ove, attraverso l’interpretazione del titolo medesimo, possa accertarsi univocamente la sussistenza del vincolo.
Diverso, invece, il discorso con riferimento ai titoli giudiziali (qual è il decreto ingiuntivo in cui è consacrato il credito in questione): in tale ipotesi, infatti, il giudice è privo di quel potere pieno di interpretazione del negozio conferitogli dalla legge e, più in particolare, del potere di individuare la effettiva volontà delle parti.
Il giudice, infatti, può interpretare il titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva solo come un fatto, al fine di stabilire: a) chi sia il creditore; b) chi sia il debitore; c) cosa e quanto sia dovuto in forza di quello specifico titolo (Cass. Civ., n. 23471/11; Cass. Civ., n. 17482/07; Cass. Civ., n. 4382/11; Cass. Civ., n. 14727/01).
Il titolo esecutivo, infatti, è un atto di accertamento contenuto in un documento che, nel suo complesso, costituisce la condizione necessaria e sufficiente per procedere all’esecuzione forzata: in esso, dunque, si esauriscono tutte le condizioni dell’azione esecutiva, poiché interesse ad agire, legittimazione ad agire, struttura dell’obbligo e possibilità giuridica, quando sono riferite non più ad un diritto affermato, ma ad un diritto accertato come eseguibile, si riducono ad elementi contenuti nell’accertamento stesso.
In relazione a questa attitudine (che ha il titolo) di isolare il diritto accertato dalla realtà e di fondare l’esecuzione, si suole parlare di efficacia incondizionata del titolo, efficacia che, come è noto, vieta al giudice dell’opposizione all’esecuzione di interpretare la natura del vincolo giuridico consacrato nel titolo esecutivo.
Se così è, il giudice dell’opposizione all’esecuzione (o avverso il precetto) non è legittimato a statuire in ordine all’esistenza della solidarietà attiva se non ove la stessa dal titolo giudiziale risulti espressamente.
Nel caso di specie, dunque, non risultando dal decreto ingiuntivo azionato la sussistenza del vincolo della solidarietà, si deve ritenere che l’obbligazione sia, dal lato attivo, parziale, essendo del tutto irrilevante sia la volontà delle parti espressa nel negozio che quel titolo presuppone, sia il comportamento delle parti tenuto nell’esecuzione di quel negozio.
Ne consegue che l’operazione di compensazione operata dalla Banca non può avere riguardato la parte di credito spettante a D.M. G., la quale è pienamente legittimata ad agire in executivis per ottenerne il pagamento.
L’opposizione va, dunque, sotto tale profilo rigettata.
2. Compensazione.
Quanto alla compensazione, avendo l’opposto S. dimostrato l’esistenza della propria pretesa creditoria (attraverso la produzione del titolo esecutivo), era onere della Banca dimostrare, trattandosi di fatti costitutivi della propria opposizione:
a) il diritto di procedere alla compensazione;
b) l’esistenza, la natura e l’importo del credito opposto in compensazione.
Ciò specie ove si consideri che addirittura l’esistenza di quel credito è ampiamente contestata dagli opponenti.
Ciò premesso va immediatamente sgomberato il campo da un equivoco in cui è incorso il S..
Il debito di quest’ultimo è stato compensato in quanto a lui facente capo quale fideiussore (e non quale socio) della Società ALFA SNC
Va, dunque, in primo luogo evidenziato che è del tutto irrilevante la circostanza, pure sottolineata da parte opposta, che la Banca non abbia dimostrato di avere escusso il patrimonio della società prima di operare la compensazione: detta preventiva escussione, infatti, non era necessaria perché non richiesta dalla legge.
Ciò chiarito, si osserva che la Banca asserisce che la prova del credito dovrebbe emergere:
a) da alcune missive in cui lo stesso, su richiesta del S., fu rideterminato;
b) da una attestazione di vendita titoli;
c) dagli estratti conto allegati in atti.
Ora, la documentazione sub a) è del tutto inidonea allo scopo: nelle missive, infatti, il credito è unilateralmente determinato e, per di più, addirittura contraddittoriamente quantificato.
Idem per la documentazione sub b): essa, infatti, può dimostrare l’esistenza di un credito in favore del S., ma non l’ammontare della sua esposizione debitoria.
Quanto agli estratti conto, invece, si osserva quanto segue.
Gli estratti analitici di conto corrente soltanto a determinate condizioni possono assurgere al rango di prova piena del saldo in essi riportato.
Deve innanzitutto essere prodotto il contratto di conto corrente.
In secondo luogo, al fine di porre il giudice nella condizione di esercitare il proprio potere di controllo e valutazione, è necessario che egli sia messo effettivamente a conoscenza di tutte le operazioni affluite sul conto durante il rapporto.
Ne consegue che, al fine di poter conferire efficacia probatoria agli estratti di conto corrente, diventa indispensabile la produzione in giudizio di tali documenti relativi all’intero rapporto, o, quantomeno, ad un periodo non inferiore agli ultimi due anni, contenenti tutte le annotazioni che hanno determinato di volta in volta i saldi intermedi fino al saldo finale, con la chiara indicazione dei negozi giuridici sottostanti alle singole operazioni contabilizzate (Trib. Padova, 18 maggio 2001; Trib. Trani, 27 giugno 2000; Trib. Cassino, 24 novembre 1997; Trib. Cassino, 13 marzo 1997).
Infine, deve trattarsi di estratti conto tacitamente approvati dal correntista.
Pertanto, qualora insorga contestazione su tale circostanza, sulla banca creditrice grava l’onere di dimostrare il regolare invio dell’estratto conto al correntista ed il decorso del termine di legge per impugnarlo (art. 1832 c.c. e 119, comma 3, del D.Lgs. n. 385 del 1993).
Fermo restando, ovviamente, che l’approvazione tacita dell’estratto di conto corrente da parte del correntista assume il valore di prova semplice che il giudice deve valutare alla stregua di qualsiasi altra acquisizione probatoria, all’esito del doveroso esame comparativo con gli eventuali elementi contrari.
Tra gli elementi significativi che possono attribuire idonea valenza probatoria all’estratto conto, rileva in primo luogo la genericità delle contestazioni sollevate dal debitore: infatti, poiché spetta al correntista avanzare contestazioni avverso la contabilità tenuta dall’istituto di credito, quest’ultima può costituire prova del saldo qualora il cliente si limiti ad una generica affermazione di nulla dovere, o di dovere una somma inferiore, senza muovere specifici e circostanziati addebiti sulle singole poste dalle quali discende quel saldo (Cass. Civ., n. 14849/00; Cass. Civ., n. 12169/00; Cass. Civ., n. 9579/00).
Nel caso di specie, sono prodotti in atti i contratti di conto corrente e non è dimostrato che gli estratti conto prodotti siano stati formalmente contestati dal correntista nel termine previsto dalla legge.
Difettano, invece, gli estratti conto relativi all’ultimo biennio di durata del rapporto (sono prodotti solo quelli dal 1988 al 1997 e non quelli dal 2000 al 2002, anno di cessazione del rapporto).
Difetta, dunque, la prova dell’esistenza del credito così come quantificato sia dalla Banca, sia dal S..
Ne discende che, per quello che qui importa, è rimasta indimostrata sia la sussistenza del diritto di procedere alla compensazione, sia, ancor prima, l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile compensabile in questa sede.
L’opposizione va, dunque, rigettata anche sotto tale profilo.
3. Risarcimento ex art.96 cpc
Atteso il rigetto dell’opposizione, va pure rigettata la domanda ex art.96 cpc avanzata dalla Banca.
La responsabilità di cui all’art.96 cpc, infatti, presuppone la (integrale) soccombenza e trova fondamento nella violazione, consapevole o giustificata da grave ignoranza, del precetto di buona fede (per tutte si veda Cass. Civ., n. 1722/82), che nel caso di specie è all’evidenza insussistente.
3. Spese.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
PQM
il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio di cui al R.G.A.C.C. n. -, promosso ad istanza della BANCA in persona del suo legale rappresentante pro tempore nei confronti di S. M. e D.M. G., rigettata ogni altra istanza, domanda ed eccezione, così provvede:
1) rigetta l’opposizione;
2) rigetta la domanda di risarcimento danni ex art. 96 cpc;
3) condanna la BANCA in persona del suo legale rappresentante pro tempore a rifondere le spese sostenute per questo giudizio dagli opponenti, che si liquidano in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 800,00 per diritti ed Euro 1.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali come per legge.
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Numero Protocolo Interno : 37/2012