Provvedimento segnalato da Donato Giovenzana – Legale d’impresa con nota di accompagnamento
Nel contratto di conto corrente, l’approvazione anche tacita del correntista dell’estratto conto, ai sensi dell’art. 1832, comma 1, c. c., non impedisce di sollevare alla banca contestazioni ed eccezioni che siano fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto.
La Banca può chiedere la restituzione di voci erroneamente accreditate, nonostante l’approvazione tacita degli estratti conto.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Pres. Scaldaferri, Cons. Rel. Falabella, con l’ordinanza n. 30000 del 20 novembre 2018.
La Suprema Corte, in riferimento al caso de quo, ha affermato che è consolidato il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 1832 c.c., la mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate (con conseguente decadenza delle parti dalla facoltà di proporre eccezioni relative ad esse), ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti.
Ciò significa che l’approvazione tacita del conto non impedisce di sollevare contestazioni che siano fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente.
Deve, infatti, ritenersi che l’approvazione dell’estratto conto – per quel che riguarda i cosiddetti aspetti sostanziali, restando, invece, disciplinati dal secondo comma dell’art. 1832 quelli formali – abbia la funzione di rendere incontestabile in giudizio la verità storica dei dati riportati nel conto, ivi compresa l’esistenza degli ordini e delle disposizioni del correntista nel conto stesso menzionate come causale di determinate annotazioni di addebito, lasciando aperta la possibilità di porre in questione la portata ed il significato giuridico di quei fatti.
L’approvazione ex art. 1832 c.c., da parte della banca, non ha avuto l’effetto di rendere incontestabile la spettanza della somma oggetto di annotazione in conto, giacché la controversia non ha investito la verità storica dell’operazione di accreditamento (che è, in sé, del tutto pacifica), quanto il dato della mancata spettanza di una parte della somma attribuita ai controricorrenti (e ciò per effetto dell’asserito errore in cui l’odierna istante sarebbe incorsa allorquando procedette alla contabilizzazione delle somme dovute agli investitori).
Invero, ciò di cui si controverte è la conformità o meno dell’attuata liquidazione degli strumenti finanziari allo statuto che ne disciplinava il rendimento: sicché, in definitiva, la contestazione concerne l’insussistenza del titolo giuridico posto a fondamento dell’accreditamento operato in favore dei correntisti (o meglio: l’assenza del titolo che potesse giustificare una parte di tale accreditamento).
Per le suddette ragioni gli Ermellini hanno accolto il ricorso proposto dalla banca, hanno cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa al Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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