ISSN 2385-1376
Testo massima
Ai fini dell’ammissione al passivo dei canoni scaduti e non pagati di un contratto di leasing finanziario, occorre identificare la natura giuridica del contratto di leasing risolto ante fallimento per poi individuare la disciplina che lo regola ed, particolare, stabilire se, in caso di risoluzione del rapporto, trovi applicazione l’art. 1458 cc ovvero l’art. 1526 cc.
Allorquando si accerti che, avuto riguardo alla specifica peculiarità del bene strumentale oggetto del contratto di leasing, secondo la previsione delle parti, lo stesso, alla scadenza del contratto, abbia ancora un residuo valore, significativamente eccedente il prezzo di opzione e che, sulla base di ulteriori indici (previsione di obblighi di custodia, manutenzione e assicurazione), le parti hanno inteso privilegiare il trasferimento del bene piuttosto che la funzione di finanziamento, il contratto è da configurare quale LEASING TRASLATIVO.
Dalla configurazione del contratto di leasing quale leasing traslativo deriva l’applicabilità dell’art.1526 cc, in tema di contratto di vendita con riserva di proprietà, con la conseguenza che, da una parte, il concedente dovrà restituire i canoni percepiti, salvo il diritto all’equo compenso, ove richiesto e che, dall’altra parte, il medesimo concedente non potrà essere ammesso al passivo per i canoni scaduti e non pagati, non trovando applicazione l’art.1458 cc I co, nella parte in cui sancisce l’irretroattività della risoluzione dei contratti a prestazione continuata.
E’ accaduto che una società di leasing ha chiesto di essere ammessa al passivo per i canoni scaduti e non pagati e la domanda è stata rigettata per carenza di documentazione; successivamente è stata proposta l’opposizione allo stato passivo ove si è costituita la curatela.
Il Tribunale di Napoli, Giudice Relatore dott.Stanislao De Matteis, con decreto del 04/12/2012, ha rigettato il ricorso ex art.98 lf, statuendo il principio che, al fine di individuare la disciplina del contratto di leasing, è necessario innanzitutto individuarne la natura giuridica con la conseguenza che possono aversi due ipotesi:
a) ove sia configurabile un LEASING TRADIZIONALE o “DI GODIMENTO“, sarà applicabile l’art.1458 cc co 2° ipotesi e, pertanto, alla società di godimento spetterà il diritto di credito ai canoni maturati fino alla dichiarazione di fallimento, oltre alla restituzione dei beni;
b).ove, invece, sia configurabile un LEASING TRASLATIVO si applicherà l’art.1526 cc, in tema di contratto di vendita con riserva di proprietà, visti gli elementi di analogia con tale figura negoziale, con la conseguenza che al concedente competerà, oltre alla restituzione dei beni, solo il diritto all’equo indennizzo, compensabile con l’obbligo alla restituzione dei canoni eventualmente percepiti.
E’ “questio voluntatis” stabilire a quale delle due figure sia riconducibile un contratto di leasing ed il Tribunale, dopo aver riportato analiticamente il percorso della dottrina e della giurisprudenza sul punto, ha affermato il principio secondo cui si debba far ricorso non soltanto agli indici individuati dalla Suprema Corte, come elementi idonei a consentire la corretta qualificazione del contratto, ma anche alla previsione delle parti circa il valore residuale del bene al momento della scadenza del contratto.
Ove, infatti, avuto riguardo alla specifica peculiarità del bene strumentale oggetto del contratto di leasing, secondo la previsione delle parti, emerga che lo stesso, alla scadenza del contratto, abbia ancora un residuo valore, significativamente eccedente il prezzo di opzione, non può non trasparire la volontà delle pari volta alla vendita e che, pertanto, sulla base anche di ulteriori indici (previsione di obblighi di custodia, manutenzione e assicurazione), le parti hanno inteso privilegiare il trasferimento del bene piuttosto che la funzione di finanziamento, con la conseguenza che il contratto è da configurare quale leasing traslativo.
Il Tribunale di Napoli, pertanto, ritenuto di dover ricondurre il contratto per cui è causa alla figura del LEASING TRASLATIVO, ha applicato la disciplina di cui all’art.1526 cc e di conseguenza ha rigettato la domanda di ammissione per i canoni scaduti, prevedendo la disposizione richiamata solo il diritto all’equo indennizzo, nella fattispecie in esame neanche richiesto dalla società ricorrente.
La decisione in oggetto ha fornito ulteriori elementi, rispetto a quelli già delineati dalla Corte di Cassazione, in merito ai criteri per la individuazione degli aspetti funzionali e strutturali del CONTRATTO DI LEASING, con un approfondimento puntuale dell’istituto, così mettendo in risalto tutte le criticità attualmente esistenti, nel caso di risoluzione del contratto di locazione, nell’ambito dei rapporti dare-avere tra il concedente e l’utilizzatore ed evidenziando, altresì, la necessità che, relativamente ai propri diritti, con specifico riferimento al diritto all’equo indennizzo, il concedente cristallizzi nella domanda di ammissione al passivo la pretesa fatta valere.
Testo del provvedimento
IL TRIBUNALE DI NAPOLI
– VII SEZIONE CIVILE
riunito in camera di consiglio
ha pronunciato il seguente
DECRETO
nella causa iscritta al n. 1961 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell’anno 2012, avente ad oggetto: opposizione allo stato passivo ex art. 98 l.fall., e vertente
TRA
La ALFA Finanziaria S.p.A.,
OPPONENTE
E
Fallimento BETA S.p.A
OPPOSTO
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
La ALFA Finanziaria S.p.A., deducendo di aver stipulato con la fallita società il contratto di leasing n. 14054949, ha proposto domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento BETA S.p.A. chiedendone, tra l’altro, l’ammissione del complessivo credito di 27.219,24.
La domanda di ammissione al passivo per i canoni scaduti veniva dichiarata inammissibile e comunque rigettata “per carenza della documentazione giustificativa“.
La domanda subordinata veniva rigettata “per carenza di prova e per indeterminatezza“.
Proposta l’opposizione allo stato passivo ed instauratosi il contraddittorio, si è costituito in data 31.05.2012 il fallimento opposto, chiedendo la declaratoria di inammissibilità della domanda, il rigetto nel merito e in via ulteriormente gradata l’ammissione con riserva.
A scioglimento della riserva formulata dal giudice relatore all’udienza del 29.11.2012, ritiene il tribunale che la domanda vada rigettata per i motivi di seguito specificati.
L’opponente ha sempre allegato l’intervenuto scioglimento del contratto di leasing ante fallimento (dichiarato il 22.07.2011), giusta la comunicazione del 19.05.2011 ricevuta dalla società in bonis in data 25.05.2011 (doc. sub 5 del fascicolo dell’opponente).
La difesa del fallimento mostra di ritenere inutiliter data quella comunicazione di scioglimento, deducendo che gli effetti risolutori nei confronti del curatore si produrrebbero “solo quando il concedente abbia proposto l’azione di risoluzione prima del fallimento ex art. 72, comma 5, l.fall.“.
Il rilievo è palesemente infondato, limitandosi (la norma invocata dalla curatela) a chiarire espressamente (in discontinuità con certa giurisprudenza: v. Cass.376/1998, secondo cui “È inaccoglibile la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive proposta nei confronti della controparte inadempiente che sia stata, nelle more, dichiarata fallita“) che l’azione di risoluzione promossa prima del fallimento dal terzo contraente in bonis spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, nel mentre è pacifica l’inammissibilità dell’azione di risoluzione proposta dopo il fallimento e basata sull’inadempimento del fallito.
Anzi è la stessa disposizione invocata dalla curatela, in uno a quella del successivo comma 6 (“Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento“), ad imporre di ritenere a tutti gli effetti risolto il contratto nel caso (come nella specie) in cui prima del fallimento la parte non inadempiente abbia comunicato al soggetto poi fallito l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art.1456 cc (conf. Trib. Roma 1.10.2010, www.ilcaso.it)
Ciò premesso, occorre individuare la disciplina del contratto di leasing risolto (come nella specie) ante fallimento dell’utilizzatore.
Secondo parte della dottrina e le prime indicazioni ai curatori di alcune sezioni fallimentari (cfr. Tribunale di Udine “Circolare concernente i criteri di massima da adottare per la gestione delle procedure concorsuali, disciplinate dalla legge fallimentare come novellata dal d.lgs. 09.01.2006, n.5 e dal d.lgs. 12.09.2007, n.169″ del 21.02.2008“) in forza di quanto disposto dal quinto comma dell’art.72 l.fall. – la disciplina delle sorti del contratto di leasing – introdotta con l’art.72 quater ha di fatto creato uno “spartiacque“.
Detta disciplina risulterebbe infatti applicabile solo in presenza di un contratto di locazione finanziaria pendente alla data di dichiarazione di fallimento mentre (cfr. Trib. Mantova 29.01.2008, www.ilcaso.it), in presenza di risoluzione già avvenuta o già avviata a tale data, le sorti del contratto verrebbero disciplinate in via analogica – tenendo in considerazione la distinzione effettuata dalla Corte di Cassazione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente ricorso, in presenza di quest’ultima tipologia, a quanto previsto dall’art. 1526 c.c. in materia di vendita con riserva di proprietà (Trib. Napoli 09.06.2010, in JurisData).
Per stabilire se sulla scorta del contratto di leasing l’opponente va, o meno, ammesso al passivo fallimentare per il credito vantato verso la società fallita a titolo di canoni insoluti ed interessi di mora, è necessario innanzitutto identificare la natura giuridica dei contratti di leasing dedotti in giudizio per poi stabilire la disciplina che li regola: in particolare, occorre stabilire se, in caso di risoluzione del rapporto, trovi applicazione l’art.1458 cc ovvero l’art.1526 cc.
Il problema, come è noto, secondo un primo orientamento dei giudici di legittimità, è stato risolto nel ritenere applicabile al contratto di leasing, unitariamente considerato, le norme sul contratto in generale, con la conseguente operatività, in caso di risoluzione, della norma dell’art.1458, 1° comma, cc, la definitiva acquisizione al concedente dei canoni percetti ed l’inapplicabilità della disposizione dell’art.1526 cc, sia in via indiretta, che in via analogica (cfr. Cass. n.5623/1988; 3023/1986; 6390/1983).
Siffatto orientamento non era stato, però, recepito da un consistente contrario indirizzo della giurisprudenza di merito e da una parte della dottrina.
I giudici di legittimità, attenti alle argomentazioni critiche svolte dall’indirizzo contrario a quello da essi manifestato, nonché alla evoluzione subìta dal nuovo modello contrattuale, con alcune sentenze pronunziate alla fine del 1989, hanno, da un canto, ribadito la validità dell’orientamento espresso in precedenza, ma, dall’altro, identificato nell’ambito del più ampio “genus” del leasing un tipo di contratto che si sottrae ai principi prima enunciati (Cass. n.5570/89; n.5572/89; n.5573/89).
Successivamente sono intervenute ulteriori pronunce della Suprema Corte che hanno confermato e consolidato il nuovo orientamento, esaminando approfonditamente e sotto diverse angolazioni tutta la questione riproposta nel presente giudizio, delineando in modo risolutivo i caratteri e la disciplina della fattispecie in esame (Cass. n.11614/1998, in Foro it. 1999, I, 2608; n.12790/1997; n.7169/1995; 8464/1995; n.2743/1994; n.1731/1994; sez. un. n.65/1993; n.7556/1992; n.2083/1992; n.6357/1991).
Il Collegio ritiene di dover aderire a tale orientamento, condividendo le argomentazioni che lo fondano e senza sia necessaria una loro rimeditazione, non foss’altro perché la società opponente (nel dare per scontata l’applicabilità dell’art.72 quater l.fall.) non ha dedotto alcuna ragione nuova o non esaminata dai giudici di legittimità nelle pronunzie dianzi richiamate che possa indurre pur solo a dubitare della loro correttezza.
Pertanto, è sufficiente ricordare che la Corte regolatrice, all’esito delle ampie ed esaustive motivazioni svolte nelle succitate pronunzie, che qui devono intendersi integralmente richiamate e condivise, ha chiarito come “il leasing finanziario, partendo dalla fattispecie originaria e, per così dire, storica, ha finito per avere espansione in settori diversi, assumendo funzioni economiche distinte da quella iniziale“, sostanziantesi in quella di finanziamento a scopo di godimento del bene (Cass. n.5573/1989).
Accanto a questa figura di leasing c.d. “tradizionale” si è, infatti, sviluppata una seconda figura, definita anche “leasing traslativo”, che “costituisce una deviazione o meglio un superamento dell’originaria locazione finanziaria” (Cass. n.6357/1991), connotata dal costituire la vendita “un elemento caratteristico causale coessenziale con la funzione finanziaria” (Cass. sez. un. n.65/1993, richiamando Cass. n.5573/1989).
Le caratteristiche strutturali del leasing tradizionale o “di godimento” sono state, quindi, così identificate:
a) sotto il profilo causale, dalla funzione di finanziamento;
b) sotto il profilo dell’assetto degli interessi, nell’identificazione di quello del concedente nell’intento di realizzare un impiego remunerativo del capitale e di quello dell’utilizzatore “nell’ottenere non già la proprietà immediata del bene, bensì la disponibilità del bene stesso, senza esborso di capitali rilevanti, con la conseguente acquisizione del valore di consumazione economica e del potere di sfruttamento del bene, da lui stesso prescelto per le esigenze della sua impresa, fino alla pressoché totale obsolescenza di esso“.
Pertanto, in tale figura il trasferimento di proprietà del bene è nella volontà delle parti meramente eventuale, se non addirittura irrilevante: le quote di canone sono determinate non in vista del trasferimento del bene, non incorporano, quindi, ratei di prezzo, ma “soltanto ratei del valore d’uso del bene dalle parti ragguagliato, nell’entità, all’impiego del capitale della società di leasing, oltre all’utile ed all’obsolescenza del bene“.
Ciò significa che, alla scadenza del contratto il bene, a causa dell’obsolescenza tecnica, ha un valore pressoché nullo.
Il contratto è atipico, non ragguagliabile alla vendita ed alla locazione, è regolato dalle norme generali sui contratti, e quindi, dall’art.1458,1° comma, 2^ ipotesi, cc, e, sussistendo una perfetta corrispettività e sinallagmaticità tra le prestazioni delle parti durante lo svolgimento del rapporto, neppure si pone alcun problema di squilibrio in conseguenza del trattenimento di tutti i canoni percetti da parte del concedente.
Diversi sono, invece, gli elementi strutturali del c.d. “leasing traslativo” che presenta le seguenti caratteristiche:
a) la vendita del bene assume rilevanza causale essenziale, essendo il godimento concesso in vista della alienazione, pur se è comunque identificabile la funzione di finanziamento, perché il contratto consente all’imprenditore di acquisire il bene, nonostante egli non abbia capitali adeguati;
b) nell’assetto degli interessi delle parti, l’intento del concedente non differisce di molto da quello del leasing finanziario, ma si accentua la funzione garantistica del bene, mentre, invece, l’interesse dell’utilizzatore è quello di acquisire la proprietà del bene, e ciò perché, alla scadenza del contratto, il valore economico residuo del bene è di gran lunga superiore al prezzo di opzione: i ratei pagati scontano, infatti, non solo il valore di godimento, ma anche il valore del bene e ciascun canone sconta una quota di prezzo ed al termine del rapporto l’acquisto costituisce una “situazione di fatto necessitata per l’utilizzatore“, proprio “avuto riguardo alla sproporzione tra (l’ancor notevole) valore residuo del bene ed il modesto prezzo di opzione“, sempre che non voglia affrontare una perdita economica secca (cfr. Cass. n.2743/1994 cit.); non sussistendo una corrispettività tra le prestazioni, si integra un evidente squilibrio se la società concedente trattiene i canoni e la cosa resta anche in sua proprietà.
Delineata così la figura del leasing traslativo, nei suoi aspetti funzionali e strutturali, appaiono evidenti le analogie con la vendita con riserva di proprietà: “non esiste, infatti, una sensibile differenza nella funzione socio economica tra l’ipotesi in cui, nella previsione negoziale del pagamento del prezzo di un bene, le parti esprimano attualmente la volontà di acquisto e di vendita del bene, condizionando il verificarsi dell’effetto reale al pagamento dell’intero prezzo, e l’ipotesi in cui, sempre nella previsione negoziale del pagamento rateale del prezzo, le parti consentano all’utilizzatore di esprimere la volontà di acquisto del bene al termine del rapporto, nella consapevolezza che, senza concrete alternative, l’utilizzatore dovrà esprimere detta volontà acquisitiva” (Cass. n.2743/1994 cit.).
Questi ed altri elementi di analogia con il contratto di vendita con riserva di proprietà, concernenti la disciplina del rischio di perimento della cosa e dell’esercizio delle azioni che ordinariamente competono al proprietario della cosa, hanno consentito ai giudici di legittimità di affermare l’applicabilità al contratto di leasing traslativo della identica disciplina, ricollegata al dettato dell’art.1526 cc: detta norma è, infatti, finalizzata ad evitare che, in seguito all’inadempimento del compratore, l’equilibrio contrattuale risulti alterato in suo danno e con indebito vantaggio del venditore.
La disposizione dell’art.1526 cc è, quindi, una norma imperativa, che esprime un principio generale di tutela di interessi omogenei a quelli disciplinati dal leasing traslativo, nonché di strumento di controllo negoziale dell’autonomia delle parti.
Naturalmente, l’individuazione dell’uno o dell’altro tipo di leasing non deve avvenire seguendo un criterio di pura e semplice valutazione del valore residuale del bene al momento dell’interruzione del rapporto, accertando se lo stesso superi oppure no l’entità dei canoni versati.
Ciò che rileva è, invece, solo l’originaria previsione di tali valori al momento della stipula dell’atto, non potendosi infatti escludere che la valutazione del bene eseguita al momento dell’interruzione del rapporto sia diversa rispetto a quella risalente al momento della conclusione dell’accordo, e ciò per le cause più disparate ed impreviste, inerenti, ad esempio, alla conservazione ed alla manutenzione del bene stesso (cfr. Cass. n.8454/1992): occorre, pertanto, riferirsi alla volontà negoziale delle parti, e precisamente alla “previsione delle parti circa il valore residuale del bene al momento della naturale scadenza del contratto”, nel senso che “… per la distinzione tra i due tipi contrattuali e la loro correlativa disciplina in caso di risoluzione, ciò che acquista rilievo è il fatto che la previsione di futura utilizzabilità del bene superi la durata del contratto” (Cass. n.12790/1997 cit.; in tal senso anche Cass. n.1731/1994 cit., che espressamente fa riferimento alla “effettiva volontà delle parti contraenti … tradotta nell’accordo negoziale con riguardo al prevedibile scarto finale tra valore del bene e prezzo di opzione“, nonchè Cass. n.11614/1998 cit., che si riferisce al “prevedibile valore residuo del bene alla scadenza del contratto e prezzo di opzione: perchè se il primo sopravanza in modo non indifferente il secondo, ciò sta a significare che i canoni hanno incluso per una parte il corrispettivo del valore d’uso e per un’altra il corrispettivo del valore di appartenenza“).
Delineato in tal modo il quadro giuridico di riferimento, il problema si incentra nella identificare a quale delle due figure prima delineate sia riconducibile il contratto di leasing n. 14054949 intercorso tra l’odierna opponente e la società poi fallita.
Il problema va risolto alla luce delle peculiarità della fattispecie in esame e costituisce una “quaestio voluntatis“.
A tal fine, peraltro, di sicuro e notevole ausilio è il riferimento alla griglia di indici identificati dalla Suprema Corte come elementi idonei a consentire la corretta qualificazione del contratto.
Tra essi, sono di indubbia e particolare significatività quelli concernenti la qualità dei contraenti e l’oggetto del contratto.
La funzione di finanziamento è, infatti, apprezzabile in modo incontrovertibile nel caso in cui l’utilizzatore sia un imprenditore, interessato ad acquisire la disponibilità di un bene strumentale, senza impiegare i capitali necessari per l’acquisto, al quale, del resto, neppure è interessato, posto che l’obsolescenza tecnologica cui è soggetto il bene lo rende inidoneo ad essere proficuamente utilizzato nel processo produttivo alla scadenza del contratto.
La funzione traslativa emerge, invece, con chiara evidenza nel caso in cui l’utilizzatore non sia un imprenditore ed il contratto ha ad oggetto beni standardizzati e di consumo.
Pertanto, la qualità delle parti e l’oggetto del contratto (perché non consistente in un bene strumentale alla conduzione imprenditoriale, ma in un bene standardizzato e di consumo) costituiscono i preliminari, e forse più inequivoci elementi in grado di consentire l’agevole qualificazione del contratto.
Siffatti indici, se pur importanti, ancora non sono però – a giudizio del Tribunale – esaustivi per una corretta esegesi dell’atto negoziale dedotto in giudizio.
Infatti, i beni strumentali non sono affatto sempre necessariamente caratterizzati da una vita economica e tecnologica così effimera da far ritenere che essi finiscano con il perdere ogni reale valore di utilizzo nel più o meno breve arco di tempo coincidente con la durata del contratto.
Inoltre, sovente, per la considerazione da ultimo svolta, ma anche per la mancanza dei capitali necessari a consentire l’immediato acquisto del bene, anche l’imprenditore si determina alla stipulazione del contratto di leasing, ma avendo di mira l’acquisizione definitiva del bene.
Dunque, è necessario, come (già) prima rilevato, avere riguardo alla specifica peculiarità del bene strumentale, accertando se esso si consumi (economicamente e tecnologicamente) alla scadenza del contratto o se, invece, abbia un residuo valore, significativamente eccedente il prezzo di opzione: in tale ultima ipotesi, infatti, non può non trasparire la volontà delle parti volta alla vendita ed all’acquisto del bene, perché la divergenza tra valore residuale e prezzo d’opzione non è altrimenti giustificabile che con la considerazione che i canoni pagati incorporano anche ratei di prezzo.
Tale accertamento è agevolato, poi, da ulteriori indici, che sono espressivi della originaria volontà di privilegiare il trasferimento del bene e puntualmente identificati in:
a) previsione della facoltà dell’utilizzatore di chiedere, anche tacitamente, la proroga del rapporto;
b) obbligo dell’utilizzatore di consegnare il bene in buono stato di manutenzione e di funzionamento.
Trattasi, infatti, di circostanze espressive della consapevolezza delle parti in ordine alla mancata consumazione del bene e dell’avere essi alla scadenza del contratto un significativo valore residuo.
L’equilibrio tra le prestazioni è, quindi, assicurato solo dall’acquisto del bene da parte dell’utilizzatore.
L’applicazione degli indici così delineati consente agevolmente di affermare che il contratto avente ad oggetto biopattumiere, bidoni in polietilene, cassonetti in polietilene, cassonetti portarifiuti in esame è riconducibile alla figura del c.d. leasing traslativo (con conseguente applicabilità dell’art.1526 cc), a nulla rilevando la qualità dell’utilizzatore (un imprenditore) e dei beni oggetto dei contratti (beni strumentali all’impresa), perché, come si è detto, sono indici sì rilevanti, ma non esaustivi al fine della corretta esegesi degli atti in questione.
In tal senso depone, innanzitutto, la considerazione della natura dei beni che ne sono stati l’oggetto, e cioè biopattumiere, bidoni in polietilene, cassonetti in polietilene, cassonetti portarifiuti: trattasi di beni per i quali nozioni di comune esperienza (art.115, comma 2°, cpc) portano ad escludere che rientri tra quelli destinati a consumarsi economicamente e tecnologicamente nell’arco della durata naturale del contratto fissata in anni 5, e ciò specie se si tiene conto del fatto che la utilizzatrice completando, alla scadenza dei 5 anni, il pagamento dei canoni avrebbe corrisposto pressocché residuando quale prezzo del riscatto l’irrisoria somma di 2.205,12 (a fronte del valore della fornitura pari ad 220.511,35).
Inoltre, siffatta conclusione è confortata dalla ricorrenza di ulteriori indici quali la previsione degli obblighi di custodia, manutenzione e di assicurazione (artt.4, 5 e 9): dette clausole sono, infatti, chiaramente espressive della consapevolezza del perdurante valore dei beni alla scadenza del contratto, della sua palese eccedenza rispetto al prezzo d’opzione e della coessenzialità al contratto della causa di trasferimento.
Dalla ritenuta configurabilità del contratto prodotto in giudizio come di leasing traslativo consegue l’applicabilità al caso di specie della norma dell’art.1526 cc.
Infatti, il contratto di leasing, si è sciolto per effetto della mora della società poi fallita e della dichiarazione di volontà della concedente espressa con lettera racc.ta del 19-25.05.2011 ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 del regolamento contrattuale, indipendentemente dal fatto che (poi) la materiale restituzione sia (come nella specie) avvenuta o non per il mancato rinvenimento dei beni de quibus (in termini, cfr. Appello Napoli 8.02.2006, causa F. S.p.A. C. Fallimento C. S.p.A.).
Ne consegue che, a norma dell’art.1526, comma 1°, cc, essendo derivata la risoluzione del contratto dall’inadempimento del compratore, “il venditore deve restituire le rate riscosse…“: ora, nella specie, se da un lato tale norma non può comportare la condanna della società concedente alla restituzione dei canoni percepiti, difettando una domanda riconvenzionale in tal senso della curatela convenuta, dall’altro lato determina, quanto meno, che l’opponente non può essere ammesso al passivo per i canoni scaduti e non pagati, per gli interessi contrattuali calcolati fino alla data del fallimento e per l’indennità di risoluzione, non trovando applicazione, come si è detto, l’art.1458, comma 1°, cc, nella parte in cui sancisce l’irretroattività della risoluzione dei contratti a prestazione continuata (cfr. in tal senso Cass. n.5573/1989: nel caso di risoluzione di un leasing di godimento, alla società concedente spetta il diritto di credito ai canoni maturati fino alla dichiarazione di fallimento, oltre alla restituzione dei beni, mentre nel caso di risoluzione di un leasing traslativo, alla società concedente compete, oltre alla restituzione dei beni, soltanto il diritto all’equo indennizzo, compensabile con l’obbligo alla restituzione dei canoni eventualmente percepiti).
La norma dell’art.1526 cc fa, peraltro, espressamente salvo il diritto della concedente all’equo compenso per l’uso della cosa ed al risarcimento dei danni.
Tali domande a ben vedere, però, non sono state proposte dalla Alfa Finanziaria S.p.A. con la conseguenza che in mancanza di esplicita domanda – nulla può statuire sul punto il tribunale.
In definitiva la domanda (principale e subordinata) della Alfa Finanziaria S.p.A. va rigettata.
Dipendendo il rigetto della domanda da motivi diversi da quelli invocati dalla curatela, sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate le spese di lite.
PQM
Il tribunale di Napoli, sezione fallimentare, pronunciando sulla domanda proposta con ricorso depositato in data 21.03.2012 dalla Alfa Finanziaria S.p.A. nei confronti del fallimento Beta S.p.A., così provvede:
1. rigetta la domanda;
2. compensa integralmente le spese del giudizio.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del 04 dicembre 2012.
Il presidente relatore
(dott. S. De Matteis)
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Numero Protocolo Interno : 254/2012