ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.L. N.
avverso la sentenza n. 2573/2010 CORTE APPELLO di PALERMO, del 24/06/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Svolgimento del processo
1.La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 24 giugno 2011, ha confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Trapani del 22 ottobre 2009 che aveva condannato, tra gli altri, P.L. per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale quale amministratore di fatto della ditta individuale T. F., dichiarata fallita il (OMISSIS).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta:
a)l’inosservanza della legge penale in merito all’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei coimputati T. e F. rese in sede di sommarie informazioni testimoniali alla Guardia di Finanza operante;
b) una violazione di legge e la illogicità manifesta della motivazione in merito all’accertamento della sua penale responsabilità per gli ascritti reati quale amministratore di fatto della ditta fallita;
c) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito alla mancata concessione dell’attenuante della L. Fall., art.219, u.c., e cioè del danno di speciale tenuità;
d) una violazione di legge in merito al mancato accertamento della nullità della sentenza di primo grado per contraddittorietà tra motivazione e dispositivo in merito alla concessione delle attenuanti generiche equivalenti e non prevalenti.
Motivi della decisione
1.Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. Il PRIMO motivo è del tutto pretestuoso in quanto l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato non è avvenuta esclusivamente sulla base delle indicate dichiarazioni testimoniali (vedi pagina 47 della motivazione: “le emergenze processuali sopra illustrate hanno evidenziato la sussistenza della società occulta con il T. e il F. pur prescindendo dalle dichiarazioni rese alla P.G. dal F. e dal T.“) bensì su di un ponderoso compendio istruttorio, tra cui spiccano le medesime dichiarazioni confessorie rese dall’imputato al curatore fallimentare, del tutto utilizzabili come pacificamente affermato da questa stessa Sezione.
Invero, le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art.63 cpp., comma 2, che prevede la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’Autorità Giudiziaria o alla Polizia Giudiziaria da chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di imputato, in quanto il curatore non rientra in queste categorie e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all’art.220 norme coord. cp.p., che concerne le attività ispettive e di vigilanza (v. da ultimo Cass. Sez. 5, 18 aprile 2008 n.36593).
3. Il SECONDO motivo di ricorso mira, da un lato, a dare dei fatti una ricostruzione contraria a quella ritenuta nell’impugnata sentenza, che in questa sede di legittimità non è consentito riesaminare e, d’altra parte, a riprodurre i motivi di appello, già contrastati dalla Corte territoriale.
A ciò si aggiunga come, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trovi dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento possa essere rilevato in sede di legittimità, ex art.606 cpp., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio, asseritamente travisato, sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (v.Cass. Sez. 4, 10 febbraio 2009 n. 20395).
Inoltre, in tema di sentenza di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i Giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo Giudice.
Ed invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (v.Cass. Sez. 2, 15 maggio 2008 n. 19947).
La sentenza di merito non è, poi, tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. Sez. 4, 13 maggio 2011 n. 26660).
Nella specie, la Corte di Appello, proprio nel rispondere ai motivi dell’impugnazione, ha logicamente motivato in merito all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, non solo sulla base delle dianzi evidenziate dichiarazioni del curatore fallimentare ma, altresì, delle deposizioni di numerosi testimoni ( D., C., Pe., Ti., Pi., S., M., B., Ci., A.) per cui non si può chiedere a questa Corte di rileggere l’esperita attività istruttoria.
Anche la questione, relativa alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto, è infondata.
Per la figura dell’amministratore di fatto, accertata in riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicchè si è rilevato che l’amministratore “di fatto“, in base alla disciplina dettata dal novellato art.2639 cc., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto“, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitagli, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art.40 cp., comma 2.
In fatto, questa volta, i Giudici del merito hanno dato logicamente conto dell’attività posta in essere dall’imputato P., ai fini del compimento dell’attività distrattiva, in conseguenza della effettiva posizione di gestore di fatto della ditta decotta (v.pagina 18 della motivazione).
Anche in questo caso, una diversa rilettura delle risultanze processuali non è, però, consentita a questa Corte di legittimità di fronte alla logica motivazione dei Giudici del merito.
4. In tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto, di cui alla L. Fall., art.219, comma 3, deve essere posto in relazione alla diminuzione (non percentuale, ma globale) che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti; nè è necessario che l’entità dell’attivo sia interamente e dettagliatamente ricostruita, essendo sufficiente, al fine di escludere la circostanza attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 3, la distrazione di beni di rilevante entità, idonea di per sè ad incidere, in misura consistente, sul riparto (v. le citate Cass. Sez. 5, 16 gennaio 2008 n. 5300 e Sez. 5, 2 ottobre 2009 n. 49642).
Nell’impugnata sentenza si evidenzia l’entità della somma distratta (v. pagina 3 della motivazione: rimanenze di magazzino per Euro 120.000,00 e distrazione di cassa per Euro 11.500,00; v. pagina 23 della motivazione: Euro 43.427,50 ulteriore attività distrattiva derivante dalla differenza tra incassi ed esborsi della ditta).
Ictu oculi tali somme non possono considerarsi idonee a qualificare il fatto ascritto come di rilevante tenuità.
5. Non sussiste alcuna violazione di legge, come affermato dalla Corte territoriale, nella discordanza meramente lessicale ma senza implicazioni effettive in punto di pena, tra la motivazione della sentenza di prime cure in cui si fa riferimento alla concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti ed il dispositivo in cui si fa di converso cenno all’equivalenza tra circostanze attenuanti e aggravanti.
Infatti nel calcolo effettivo della pena il Giudice di primo grado non ha affatto tenuto conto di un non effettuato giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche (v. pagina 12 della sentenza del Tribunale).
La giurisprudenza di questa Corte ha, poi, reiteratamente affermato che il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi, eventualmente, eliminare la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell’errore materiale della motivazione in base al combinato disposto degli artt.547 e 130 cpp. (v. da ultimo Cass. Sez. 5, 23 marzo 2011 n. 22736).
4. Il ricorso va, in definitiva, rigettato e il ricorrente condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013
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Numero Protocolo Interno : 432/2013