ISSN 2385-1376
Testo massima
Nella fase precedente alla dichiarazione di fallimento, il diritto di difesa del fallendo va esercitato nei limiti compatibili con le regole del procedimento che ha carattere sommario e camerale. Di talché, non occorre che l’imprenditore compaia per essere sentito dinanzi al Tribunale nella sua composizione collegiale, essendo, in realtà, sufficiente che il medesimo, informato dell’iniziativa assunta nei suoi confronti e degli elementi su cui essa è fondata, compaia dinanzi al Giudice relatore all’uopo designato e sia posto in grado di svolgere compiutamente la propria difesa, eventualmente con l’assistenza di difensori, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione del suo fallimento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2798/2006 proposto da:
ALFA S.R.L.
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ALFA S.R.L.;
– INTIMATO –
avverso la sentenza n. 592/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 15/10/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/12/2012 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La alfa S.R.L. in liquidazione proponeva opposizione alla sentenza del Tribunale di Fermo che, a seguito del rigetto della proposta di concordato preventivo depositata in data 29 gennaio 2001, aveva dichiarato il fallimento della stessa.
A sostegno dell’opposizione, la alfa deduceva la violazione della L. Fall., art.10, la violazione del diritto di difesa, sul rilievo che l’audizione del legale rappresentante della società era avvenuta ad opera del Giudice delegato non del Collegio, la mancanza dello stato di insolvenza, l’errata esclusione delle condizioni obiettive per l’ammissione al concordato preventivo.
La Curatela si costituiva resistendo all’opposizione.
Il Tribunale, con sentenza del 7-10 ottobre 2002, respingeva l’opposizione.
La Corte di appello di Ancona, con sentenza depositata in data 15 ottobre 2005, ha respinto l’impugnazione proposta dalla alfa S.r.l. in liquidazione.
La Corte territoriale, preliminarmente all’esame dei motivi di impugnazione, ha evidenziato che la alfa, la cui attività consisteva essenzialmente nella gestione di un campeggio sito in Montecatini Terme, era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza del 26 luglio 2001, e successivamente lo stesso Tribunale aveva respinto l’opposizione al fallimento; che la Corte territoriale, con sentenza depositata il 21 settembre 2000, passata in giudicato, aveva dichiarato l’incompetenza territoriale del Tribunale di Ascoli Piceno; che a seguito di trasmissione degli atti da quest’ultimo al Tribunale di Fermo, qualificato dalla Corte di appello come competente, era stata iniziata la procedura per la dichiarazione di fallimento, nell’ambito della quale si era inserito il deposito della domanda di concordato preventivo, con conseguente dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Fermo, che con la sentenza n.16 del 2001, aveva ritenuto inammissibile la prospettazione della prestazione di una fideiussione ed insussistenti le condizioni di cui alla L. Fall., art.160, comma 2, n. 2, ultima parte, in particolare, per la inadeguata stima del passivo.
Ciò posto, la Corte territoriale ha ritenuto infondato il motivo d’appello incentrato sul “vizio di incostituzionalità della procedura a causa delle udienze di audizione del debitore effettuate innanzi al G.D. invece che di tutto il Collegio”, richiamando il principio affermato dalla Suprema Corte, secondo cui nella fase che precede la dichiarazione di fallimento il diritto di difesa va esercitato nei limiti compatibili con le esigenze, struttura e regole, del procedimento, che ha carattere sommario e camerale, onde non è necessario che il creditore compaia per essere sentito davanti al Tribunale nella sua composizione collegiale, sufficiente essendo invece che egli, informato dell’iniziativa assunta nei suoi confronti e degli elementi sui quali è fondata, compaia innanzi al Giudice relatore designato e sia in grado di svolgere compiutamente la propria difesa.
Non assumeva rilievo la circostanza che alla pronuncia sull’opposizione di fallimento avesse partecipato lo stesso Giudice che aveva, secondo la prospettazione dell’appellante, promosso la dichiarazione di fallimento, atteso che la fase del giudizio di opposizione da luogo ad un giudizio a cognizione piena, sicchè tale differenza consente di escludere che il secondo giudizio possa rimanere pregiudicato dalla precedente fase sommaria; in ogni caso, nella specie, non era stata fatta valere alcuna ricusazione nei confronti del magistrato, nominato Giudice istruttore nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, da cui l’irrilevanza della proposizione della questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede un obbligo del Giudice che ha partecipato alla dichiarazione di fallimento di astenersi dalla trattazione e dalla decisione del giudizio stesso.
Infondati sono stati ritenuti i rilievi dell’appellante in ordine all’impossibilità di un’effettiva difesa nella fase prefallimentare, atteso che vi era stata l’audizione del legale rappresentante della società, con possibilità di esporre compiutamente le proprie difese, e che la dichiarazione di fallimento era avvenuta a seguito della presentazione della domanda di concordato preventivo da parte della società, e dunque sulla base di una valutazione degli elementi posti a fondamento della domanda stessa. Infondato è stato ritenuto il motivo di gravame incentrato sulla violazione della L. Fall., art.10, in quanto, secondo l’interpretazione manipolativa operata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 319 del 2000, il termine annuale previsto dalla norma decorre per le imprese collettive dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, che nella specie non era pacificamente intervenuta.
La Corte del merito ha ritenuto infondato il motivo di gravame relativo alla qualificazione del concordato come operata dal Tribunale di Fermo: correttamente il primo Giudice ha ritenuto inammissibile la prospettazione di garanzie, nella forma della fideiussione bancaria o assicurativa rimessa alla richiesta eventuale degli organi giudiziari; il riferimento ad ulteriori somme recuperabili non appariva tale da configurare un concordato misto, non trattandosi di garanzia in senso tecnico, ma di ulteriori importi che la società avrebbe, secondo la sua prospettazione, versato a seguito del recupero di spese di giustizia e della cessione di un’azienda campeggio in (OMISSIS) e di beni di sua proprietà, di talchè in realtà si trattava di offerta limitata alla mera consistenza economica del patrimonio del debitore, considerato anche nelle sue potenzialità liquidatorie.
In ogni caso, osserva la Corte del merito, non avendo il Tribunale ritenuto l’istanza puramente e semplicemente inammissibile a cagione della qualificazione del concordato, la questione relativa all’esatta qualificazione perdeva rilievo, dovendosi ritenere la aleatorietà della consistenza patrimoniale offerta, quantomeno con riguardo ai tempi dell’effettivo recupero delle somme, con conseguente incidenza sulla possibilità di una loro utilizzazione ai fini del pagamento dei creditori, quantomeno in tempi compatibili con un conveniente esito della procedura.
Correttamente il Tribunale aveva evidenziato che l’attivo offerto era in sostanza limitato alle somme liquide già disponibili, non potendosi ritenere la probabile realizzazione di cespiti all’esito di azioni giudiziarie in corso o ancora da avviare, ed aveva poi argomentato nel senso che, pur essendo tali somme superiori agli importi attualmente ammessi allo stato passivo, andava tenuto conto del fatto che quest’ultimo non comprendeva i crediti oggetto di opposizione e quelli suscettibili di insinuazione tardiva.
Quanto al motivo di gravame col quale si lamentava l’assenza dello stato di insolvenza, la Corte del merito ha ritenuto che l’insolvenza della società al momento della proposizione della domanda di concordato preventivo era dimostrata dalla circostanza che pur essendo la sua prospettazione basata sulla riduttiva considerazione dei debiti della società rispetto a quella evidenziata dal documento prodotto al Giudice del Tribunale di Fermo dal Curatore nominato nell’ambito della procedura promossa innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, l’offerta era sostanzialmente incentrata sulla cassa contanti, ma non era comunque sufficiente al pagamento integrale dei creditori, senza che le ulteriori offerte, a prescindere dalla qualificazione del concordato, fossero tali da condurre a realistiche prospettive di una tempestiva soddisfazione degli ulteriori crediti rispetto a quelli rientranti nella percentuale concordataria, in considerazione della aleatorietà delle azioni giudiziarie da esperire per la realizzazione di un ulteriore attivo, aventi per oggetto l’annullamento di una vendita di azienda disposta dal Curatore fallimentare, la responsabilità degli organi del Fallimento ed il recupero di spese indebitamente effettuate nel corso della procedura fallimentare.
Nè poteva escludersi lo stato di insolvenza alla luce del fatto che l’importo della cassa contanti fosse superiore ai crediti attualmente ammessi allo stato passivo, in quanto lo stato passivo non comprendeva i crediti avverso i quali pendevano opposizioni e quelli suscettibili di insinuazione tardiva, nè la documentazione prodotta dell’appellante consentiva di ritenere l’effettiva inesistenza di detti crediti: si trattava infatti di alcune sentenze che avevano respinto l’opposizione allo stato passivo, alcune delle quali gravate di appello, nè risultava che la proposta concordataria contemplasse l’accantonamento di somme destinate al soddisfacimento di crediti contestati, se non quelle conseguibili per effetto del recupero di somme o di beni sulla base di azioni giudiziarie caratterizzate da aleatorietà.
Non assumeva rilievo al fine di escludere lo stato di insolvenza la circostanza che la alfa fosse al momento della dichiarazione di fallimento in stato di liquidazione, avendo il Tribunale valutato la situazione della società comparando l’attivo di cassa di cui disponeva, in assenza di altri beni o crediti di sicura ed immediata realizzabilità, con la sua situazione debitoria ed operando una valutazione opportunamente prudenziale, alla luce anche della situazione debitoria emergente dell’elenco dei crediti prodotto dal Curatore del Fallimento già pendente innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno.
Considerazioni analoghe andavano svolte riguardo al motivo di appello concernente l’inesistenza dei presupposti oggettivi per addivenire alla pronuncia di concordato, atteso che la proposta formulata dalla società si concretizzava nella messa a disposizione della somma risultante dalla cassa contanti rapportata al soddisfacimento della percentuale concordataria, in una situazione debitoria prospettata riduttivamente dall’istante, non potendosi prudenzialmente prescindere dalla considerazione dei debiti ancora oggetto di insinuazioni pendenti, e per il resto, le azioni prospettate nella proposta di concordato erano caratterizzate dalla alcatorietà, sia con riguardo al buon esito delle azioni, sia con riguardo ai tempi richiesti. Ricorre avverso detta pronuncia la società Belsito con un unico articolato motivo.
Il Fallimento non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Nell’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nullità della sentenza e del procedimento, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art.360 cpc, nn. 3, 4 e 5, censure che poi specifica nei punti da 1 a 5 del ricorso.
SUB 1), la società ricorrente richiama l’iter che ha portato alla declaratoria di fallimento e denuncia il vizio i di incostituzionalità della procedura, già nella illegittima trasmissione degli atti dal Tribunale di Ascoli Piceno a quello di Fermo, avvenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di revoca del fallimento, dichiarato il 26/7/1991, e si duole:
a)della mancata restituzione alla Belsito del patrimonio, rappresentato dall’attivo decurtato dal legittimo pagamento alla ICCREA, e dei libri sociali al momento del passaggio in giudicato della sentenza di revoca del fallimento della Corte d’appello di Ancona, notificata il 26/10/2000, restituzione avvenuta solo il 23/1/2001 e in modo parziale, visto che il Tribunale di Ascoli ha addebitato le spese della procedura ed il compenso ai periti, al legale ed al curatore;
b)della restituzione parziale del patrimonio sociale, visto che il Tribunale di Ascoli Piceno non ha restituito alle casse del Fallimento dichiarato dal Tribunale di Fermo le spese di procedura ed i compensi al curatore, ai periti ed al legale del Fallimento, pagati indebitamente per L. 500 milioni circa;
c) della mancata tempestiva restituzione dei libri sociali; a causa della tardiva restituzione avvenuta dopo il 16/1/2001, la società non è riuscita a prorogare il termine di scadenza,fissato al 31/12/2000, da cui la liquidazione e l’impossibilità di accedere alla procedura di amministrazione controllate;
d) della perduranza del fallimento anche presso il Registro delle Imprese tenuto dalla CCIA di Ascoli Piceno nonostante la revoca del fallimento, mentre l’annotazione del ritorno in bonis è avvenuta solo il 12/3/2001, da cui l’impossibilità di accedere al credito e di poter aggiungere alla domanda di concordato preventivo garanzie fideiussorie;
e) dell’istanza di fallimento d’ufficio con più avversari e con lesione del diritto di difesa: all’udienza di audizione prefallimentare del 16/1/2001, era stato invitato a comparire il Curatore del fallimento revocato, che non ne aveva titolo, il quale aveva depositato un errato elenco dei debiti, superiore allo stato passivo dichiarato esecutivo dal Tribunale di Fermo, ma la società non aveva potuto difendersi senza i libri sociali e la cassa contanti, non restituiti;
f) della forza della prevenzione: la domanda di concordato non poteva essere valutata oggettivamente dal Tribunale di Fermo, prevenuto, come lo era il G.D., che ha partecipato al Collegio;
g) delle udienze di audizione del debitore effettuate dal solo G.D., in violazione delle regole del giusto processo, ed in contrasto con l’art.6 della CEDU;
h) del fatto che il Collegio che ha dichiarato il fallimento era diverso da quello che aveva disposto la comparizione delle parti sulla domanda di concordato all’udienza del 27/2/01 e a cui il G.D. si era riservato di riferire, da cui la violazione del principio del contraddittorio, e la nullità della sentenza di fallimento;
i) (la parte indica sub 1) della “fine dell’errata prassi rigetto della domanda di concordato = fallimento d’ufficio”, dopo la riforma del concordato preventivo.
SUB 2), la ricorrente denuncia la non fallibilità della società per decorso del termine L. Fall., art.10, essendo avvenuta nel 1996 la vendita all’asta dell’immobile-azienda della società, che avrebbe dovuto portare alla cancellazione definitiva dal Registro delle Imprese.
SUB 3), la alfa si duole della errata valutazione del concordato richiesto, da considerarsi di tipo misto; la società aveva offerto il pagamento del 40% dei creditori chirografari, a mezzo della cassa contanti e previo accantonamento delle somme residue per eventuali ulteriori spese, prospettando solo ad abundantiam l’offerta delle garanzie, anche perchè non necessarie.
I Giudici hanno errato nel dar peso all’assenza di garanzie precostituite, individuate unicamente nelle fideiussioni, mentre possono rientrare nel concordato con pagamento fra le garanzie anche l’aspettativa di crediti e i redditi futuri, sempre che sia documentato, con piano analogo a quello previsto per l’amministrazione controllata, la concreta redditività dell’impresa.
Sub 4), la ricorrente fa valere la presenza delle condizioni oggettive di ammissibilità del concordato. La motivazione che, pur essendo il pagamento della somma di L. 552 milioni, tramite la cassa contanti, superiore agli importi ammessi allo stato passivo, non si poteva prescindere dai crediti non ammessi allo stato passivo oggetto di opposizione e da quelli suscettibili di insinuazione tardiva, è contraddittoria ed apodittica; nel giudizio, sono state prodotte le sentenze di 1^ grado di rigetto delle opposizioni allo stato passivo, nè ci si può nascondere dietro la valutazione prudenziale; la cristallizzazione dello stato passivo si attua al momento della dichiarazione di esecutività dello stesso, da cui la capienza delle somme offerte.
Sub 5), la ricorrente fa valere l’assenza dello stato di insolvenza da sempre, alla data della dichiarazione di fallimento del (OMISSIS) ed al (OMISSIS): non è controverso che la somma di L. 552 milioni offerta per l’adempimento del concordato tramite il pagamento del 40% dei crediti chirografari mediante la cassa contanti oggi consentirebbe il pagamento integrale di tutti i crediti ammessi allo stato passivo dichiarato esecutivo, anche al grado chirografario, mentre nelle sentenze impugnate si sostiene l’insolvenza, richiamando la presunzione di crediti passibili di insinuazione tardiva e/o di ammissione in pendenza di opposizione, sulla base dell’errato elenco dei debiti sociali depositato il 16/1/01 dal Curatore del fallimento revocato.
Il fatto che la società fosse in liquidazione avrebbe dovuto comportare un giudizio diverso: erratamente il Tribunale di Fermo ha fatto riferimento alla idoneità della società a far fronte regolarmente alle passività esistenti, perchè non ha considerato il mutato scopo sociale; la Corte del merito, accortasi dell’errore, nel tentativo di porvi rimedio, ha fatto riferimento alla valutazione prudenziale dei creditori, temendo inesistenti insinuazioni tardive e credendo al fantasioso elenco dei debiti prodotto dal Curatore del fallimento revocato, dando ad esso maggior peso piuttosto che al cristallizzato accertamento del passivo dichiarato esecutivo dal Tribunale di Fermo il 3/7/2001.
2.1.Le doglianze indicate sub 1, lett. a), b), c), d), e) sono inammissibili.
La ricorrente ha invero prospettato dei fatti che non si sostanziano in censure nei confronti della sentenza impugnata, avendo riguardo a circostanze estranee alla sentenza e del tutto incongruenti rispetto all’oggetto del giudizio concluso con la sentenza della Corte d’appello che la parte ha reso oggetto del ricorso.
Le censure sub n. 1, lett. f), g) eh), strettamente correlate, vanno valutate unitariamente e sono da ritenersi infondate, ed anche inammissibile la censura sub h).
Ed invero, come affermato tra le altre nella pronuncia 12029/2004, nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, il diritto di difesa del fallendo va esercitato nei limiti compatibili con le regole del procedimento, che ha carattere sommario e camerale; onde non è necessario che l’imprenditore compaia per essere sentito dinanzi al tribunale nella sua composizione collegiale, essendo, invece, sufficiente che egli, informato dell’iniziativa assunta nei suoi confronti e degli elementi su cui questa è fondata, compaia dinanzi al giudice relatore all’uopo designato e sia posto in grado di svolgere compiutamente la propria difesa, eventualmente con l’assistenza di difensori, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione del suo fallimento. Tale principio si conforma alla sentenza n.141/1970 della Corte costituzionale, che si muove nell’ottica della garanzia effettiva del diritto di difesa sul fondamento dell’art.24 Cost. (il fine), piuttosto che in quella della convocazione personale del debitore dinanzi al collegio e della sua audizione personale (uno dei mezzi possibili di attuazione della garanzia).
Sempre la pronuncia 12029/2004(e conforme la successiva 10900/2010) ha affermato che la sentenza emessa in primo grado nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ai sensi della L. Fall., art.18 e 19, (nel testo previgente, applicabile “ratione temporis”), dallo stesso collegio che ha provveduto alla dichiarazione 1 di fallimento, non è affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice ma, avendo il giudizio di opposizione il carattere e la funzione sostanziale di un giudizio d’impugnazione di secondo grado, integra l’ipotesi di astensione obbligatoria prevista dall’art.51 cpc, n.4, da far valere esclusivamente mediante tempestiva e rituale istanza di ricusazione formulata ai sensi dell’art. 52 cpc, nel corso del procedimento ove si sia verificata l’incompatibilità. Nel resto, la doglianza della ricorrente che la collegialità non sarebbe piena in una “virtuale camera di consiglio” si risolve in una gratuita e del tutto generica insinuazione.
Quanto al rilievo sub h), lo stesso già in tesi infondato, è nel caso specifico precluso dal giudicato interno. Sul principio dell’immutabilità del collegio, relativamente ai Collegi delle Corti d’appello, si è espressa la pronuncia 11295/09 (e vedi anche le pronunce 26820/07 e 4785/07), nel senso che, essendo gli stessi precostituiti ai sensi dell’art.7 – bis dell’ordinamento giudiziario, e dovendo procedere alla trattazione della causa in composizione collegiale anche in fase istruttoria, sono soggetti al principio dell’immutabilità del collegio, il quale, però, in quanto inteso unicamente ad assicurare che i Giudici che pronunciano la sentenza siano gli stessi che hanno assistito alla discussione della causa, trova applicazione dall’apertura della discussione fino alla deliberazione della decisione, con la conseguenza che non è configurabile alcuna nullità nel caso di mutamento della composizione del Collegio nel corso dell’istruttoria.
Nella specie, la censura è peraltro inammissibile, atteso che, trattandosi in tesi di nullità della sentenza del Tribunale, la parte avrebbe dovuto far valere la questione in sede di gravame avanti alla Corte d’appello, rimanendo diversamente la stessa preclusa dal giudicato interno.
Sub lett. l) (i), la ricorrente si limita a prospettare la diversa interpretazione della L. Fall., art.162, dopo la riforma del concordato preventivo, pacificamente inapplicabile ratione temporis, di talchè l’argomentazione addotta non costituisce censura della pronuncia impugnata.
2.2.- La censura SUB 2) è infondata.
Come affermato tra le altre nella pronuncia 17544/03, a seguito della sentenza 21 luglio 2000, n.319 della Corte costituzionale, il termine annuale dalla cessazione dell’attività entro il quale, ai sensi della L. Fall., art.10, può essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore, decorre, per la dichiarazione di fallimento delle società, non più dalla liquidazione effettiva di tutti i rapporti che fanno capo alla società stessa, ma dalla cancellazione di essa dal registro delle imprese; in senso conforme,tra le altre, le pronunce 4105/07, 6655/2012 e 8033/2012.
2.3. – La censura SUB 3) è inammissibile, in quanto priva di decisività.
La Corte del merito ha esplicitamente ritenuto irrilevante la questione della qualificazione del concordato, ritenendo esaminata dal Tribunale nel merito la sussistenza delle condizioni legittimanti l’ammissione alla Procedura.
2.4.- La censura SUB 4) è in parte inammissibile, in parte infondata.
La ricorrente ha inteso censurare la pronuncia per avere rilevato che, pur essendo l’importo di cui alla cassa contanti superiore agli importi ammessi allo stato passivo, non si poteva prescindere dai crediti non ammessi oggetto di opposizione e da quelli oggetto di insinuazione tardiva; secondo la alfa, non si può adottare il criterio della valutazione prudenziale della pendenza delle opposizioni L. Fall., ex art.98, quando si è già cristallizzato lo stato passivo alla data di dichiarazione di esecutività. Orbene, nella censura così argomentata, la ricorrente ha impropriamente inglobato elementi attinenti alla proposta di concordato preventivo e al fallimento, facendo riferimento allo stato passivo, nel frattempo dichiarato esecutivo.
Ed infatti, la parte deduce che la somma della cassa contanti avrebbe soddisfatto tutti i crediti ammessi allo stato passivo del fallimento, mentre avrebbe dovuto far valere specificamente la situazione della società ai fini dell’ammissione al concordato preventivo, e nel caso, dedurre che la valutazione dei beni offerti facesse fondatamente ritenere che potessero essere soddisfatti i creditori chirografari nella percentuale offerta del 40% ed i privilegiati in modo integrale.
La Corte territoriale ha tenuto si presente la situazione debitoria come risultante dallo stato passivo del fallimento nel frattempo dichiarato esecutivo, ma, nella valutazione propria di merito, al fine dell’ammissione al concordato preventivo, ha ritenuto che non potessero escludersi altri crediti, rilevando che alcune delle sentenze che avevano respinto le opposizioni allo stato passivo erano state gravate d’appello (e su tale punto la difesa della odierna ricorrente si limita a dedurre che le opposizioni erano state respinte in primo grado) e che la proposta concordataria non aveva previsto gli opportuni accantonamenti, salvo il riferimento alle somme o ai beni conseguibili con le azioni recuperatorie, sulla base di azioni caratterizzate dall’aleatorietà (e su tali ipotetici recuperi, l’odierna ricorrente non ha insistito).
2.5.- Il quinto motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
La ricorrente sostiene che, oggi, la somma della cassa contanti sarebbe satisfattiva di tutti i creditori ammessi allo stato passivo, anche chirografari; così argomentando, la ricorrente incorre nell’errore prospettico sopra già rilevato, mentre avrebbe dovuto specificamente dedurre e far valere l’idoneità dell’attivo a soddisfare integralmente ed in misura paritaria i creditori.
Nello specifico, inoltre, il Giudice del merito ha fatto riferimento, oltre a quanto risultante dallo stato passivo, anche alle opposizioni allo stato passivo, per alcune delle quali pendeva l’impugnazione, e nel resto ha richiamato la valutazione prudenziale già operata dal Tribunale, anche avuto riguardo alla situazione debitoria emergente dall’elenco dei crediti prodotto dal Curatore del fallimento già pendente avanti al Tribunale di Ascoli Piceno, che costituisce valutazione propria di merito, condotta con motivazione congruamente argomentata.
Di contro a dette argomentazioni, la ricorrente non ha articolato una specifica censura, limitandosi del tutto genericamente a dolersi del fatto che la Corte d’appello abbia dato maggior peso a detto “fantasioso” elenco dei debiti, piuttosto che al cristallizzato accertamento dello stato passivo.
3.1. – Il ricorso va pertanto respinto.
Nulla sulle spese, non essendosi costituito il Fallimento.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
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Numero Protocolo Interno : 441/2013