ISSN 2385-1376
Testo massima
In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 L. Fall., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.”.
Costituisce un metro giustificativo razionale per verificare la tollerabilità di domande, proposte oltre il termine di “dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo” (art. 101 L. Fall.) quello di valutare il lasso impiegato per proporre siffatte domande, computandolo dalla data dell’insorgenza del credito a quella della sua domanda, e considerando eccessivo il passaggio di quasi due anni senza che sia stata avanzata una specifica giustificazione.
Si è così pronunciata la Corte di Cassazione, Sezione Fallimentare, Pres. Ragonesi Rel. Genovese, con la ordinanza, depositata in data 01.10.2015, con cui il Collegio ha rigettato il ricorso proposto avverso il decreto con cui il Tribunale di Taranto aveva dichiarato inammissibile la domanda tardiva.
In particolare, la domanda, depositata prima dell’esaurimento di “tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare“, era stata dichiarata inammissibile in quanto l’istanza era stata proposta decorsi quasi due anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, termine non ritenuto congruo o ragionevole.
Avverso il decreto del Tribunale, veniva proposto ricorso, sulla base di un unico motivo, con cui si denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 l.f., attraverso l’introduzione di criteri non richiesti dalla norma (la congruità o ragionevolezza del tempo impiegato per presentare la domanda di ammissione rispetto al momento della sua insorgenza).
La Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato in relazione al principio di diritto già affermato dalla stessa Corte, Sezione Prima, con sentenza n. 20686 del 2013, secondo cui “in caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 101 L. Fall., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità“. In virtù di tale principio la Corte ha ritenuto incensurabile il provvedimento impugnato dal lavoratore, ritenendo, correttamente, che il decorso di quasi due anni tra l’insorgenza del diritto e il deposito della domanda supertardiva, è un termine incongruo, tenuto conto, peraltro, che le doglianze del ricorrente si basano esclusivamente su presunti criteri arbitrari utilizzati dal giudice di merito, senza alcun riferimento al ragionamento seguito.
La Corte ha, quindi, precisato che può considerarsi un metro giustificativo razionale per verificare la tollerabilità di domande, proposte oltre il termine previsto dall’art.101 l.f., quello di valutare il lasso di tempo impiegato per proporre siffatte domande, per cui ben può considerarsi eccessivo il decorrere di quasi due anni, senza alcuna valida giustificazione, dalla data di in cui è sorto il diritto di credito.
Questo passaggio argomentativo introduce pertanto ad altra questione: stabilire se, accertata la data in cui il creditore ha avuto notizia del fallimento e possibilità di presentare la domanda, ovvero sia cessata la causa impeditiva, sia identificabile un termine entro cui la domanda deve essere presentata e quale esso sia.
In particolare, la questione si pone perché l’art. 101 l.f., nulla dice in ordine al tempo di presentazione della domanda, in relazione al momento in cui viene meno la causa non imputabile del ritardo. Parte della giurisprudenza di merito cita la perifrasi “entro un termine ragionevole” (presumibilmente 90 giorni), decorrente dal giorno in cui è cessato l’impedimento che le ha dato causa. (Tribunale di Pescara, decr., 10 febbraio 2009); secondo un altro indirizzo, il termine ultimo non è quello fissato per la presentazione della domanda tempestiva, ma coincide con il termine lungo di 12 (o 18 mesi, in caso di procedura complessa), fissato in linea generale per la presentazione delle domande tardive (Tribunale di Udine,decr. 8 maggio 2013).
Quest’ultimo indirizzo è quello preferibile, ed invero, dall’ordinanza in esame, sembrerebbe desumibile una preferenza del Giudice di legittimità per l’accoglimento di tale soluzione, specie perché ha ritenuto che nel caso deciso si era accertato il passaggio di quasi due anni dalla data di insorgenza del credito (che ha indicato nella specie essere stata addirittura posteriore alla data di approvazione dello stato passivo), suscettibile di essere valorizzato come sopra.
Una tale soluzione è dunque preferibile, poiché realizza un ragionevole bilanciamento degli interessi, assicurando adeguata tutela al creditore ed alle esigenze di celerità della procedura ma, nello stesso tempo, fornisce anche le necessarie garanzie di certezza, evitando diversità di soluzioni e disparità di trattamento nell’individuazione del ragionevole termine ultimo entro cui proporre la domanda supertardiva.
Tanto sintetizzato, ai sensi del combinato disposto dall’art. 380 bis c.p.c e art. 375 c.p.c., n.5 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, condividendo sine questio le motivazioni dei giudici di merito con conseguente condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente.
Testo del provvedimento
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