La presunzione di coincidenza della sede effettiva di una società con la sede legale non opera allorquando al trasferimento all’estero della sede legale non abbia fatto seguito l’effettivo esercizio di attività imprenditoriale nella nuova sede, nonché lo stabilimento presso di essa del centro dell’attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell’impresa.
In questa ipotesi, permane la giurisdizione del giudice italiano a dichiarare il fallimento della società che in Italia abbia avuto il centro effettivo dei propri interessi e della propria attività prima del trasferimento, meramente formale, della sede legale all’estero.
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. unite, Pres. Amoroso – Rel. Ragonesi, con la sentenza n. 5419 del 18.03.2016.
Nel caso di specie, una società ricorreva per Cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Bologna aveva rigettato il reclamo proposto dall’appellante nei confronti della sentenza dichiarativa del suo fallimento, pronunciata dal Tribunale di Parma su istanza di altra società.
Nel giudizio innanzi la Corte di Appello, la società reclamante aveva eccepito, in via preliminare, la nullità della notifica dell’istanza di fallimento, sia presso la sede sociale che presso il rappresentante e la nullità dell’intero procedimento per mancata instaurazione del contraddittorio, nonché il conseguente difetto di giurisdizione del Tribunale di Parma e l’insussistenza dello stato di insolvenza attesa la prosecuzione dell’attività sociale in Romania.
Il fallimento della società si era costituito in giudizio chiedendo il rigetto del reclamo ed assumendo la regolarità della notifica e del contraddittorio, contestando l’asserito difetto di giurisdizione del Tribunale di Parma, deducendo il fittizio trasferimento della sede sociale all’estero e rilevando l’impossibilità della società fallita di soddisfare le obbligazioni assunte, anche alla luce dell’entità del credito vantato dal fallimento società e da altri creditori nei suoi confronti.
La Corte di Appello di Bologna, decidendo sul reclamo, aveva affermato la giurisdizione del giudice italiano, rilevando che le circostanze indicate dalla società, onde sostenere l’effettività del trasferimento all’estero, non erano sufficienti a far ritenere che il centro di interessi principali si trovasse all’estero, in quanto la sede sociale in Romania non era risultata operativa.
Avverso tale sentenza di rigetto, la società fallita proponeva ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi, cui resisteva il fallimento con controricorso.
Con il primo motivo, la ricorrente lamentava la violazione dell’art. 5 L.F., eccependo la mancata notifica dell’istanza di fallimento presso la sede in Romania e l’irregolarità della notifica effettuata in Italia all’amministratore della società, in quanto questi era già cessato dalla carica.
Con il secondo motivo, censurava la decisione in tema di giurisdizione in quanto il trasferimento della sede dell’impresa all’estero era anteriore al deposito del ricorso.
Con il terzo motivo del ricorso, contestava l’insussistenza dello stato di insolvenza perché il credito fatto valere era contestato.
La Suprema Corte rilevava, in primo luogo, che il trasferimento in Romania della sede della società non era coinciso con l’effettivo spostamento del centro principale degli interessi dell’impresa, come dimostrato dalla non operatività della nuova sede, dalla mancata apertura ed utilizzazione di un conto corrente bancario in quel paese, nonché dalla residenza in Italia dell’amministratore della società.
In secondo luogo, il giudice di legittimità accertava la regolarità della notifica eseguita in Romania presso la sede sociale dichiarata nel registro delle imprese all’atto del trasferimento e ricordava che ai fini della dichiarazione di fallimento non è necessario un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, allo scopo di verificare la legittimazione dell’istante.
La Suprema Corte di Cassazione, rinviando all’interpretazione pregiudiziale dell’art. 3, Reg. (CE) 1346/2000 nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo cui, laddove il luogo di amministrazione principale della società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di valori sociali e l’esistenza di attività di gestione degli stessi in uno stato membro diverso da quello della sede statutaria possono essere elementi sufficienti a superare la presunzione di coincidenza tra sede legale e statutaria, a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, in maniera riconoscibile dai terzi, il centro di direzione, controllo e gestione della società è situato in altro stato membro, rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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