Nel sistema vigente, alla luce del disposto di cui all’art. 95, primo comma, ultima parte, L.F., va riconosciuta la possibilità per il curatore di utilizzare la revocatoria nell’ambito del procedimento di verifica del passivo fallimentare al fine di eccepire l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione e ciò anche se è prescritta la relativa azione. In particolare, l’utilizzabilità di quello strumento in sede di opposizione non risulta in qualche modo condizionata da una sua preventiva enunciazione in sede di ammissione al passivo o dal suo inserimento nel programma di liquidazione, come pure dalla proposizione in via autonoma della corrispondente azione. Pur tuttavia, la sua utilizzabilità in quella sede risulta limitata alla proposizione di un’eccezione revocatoria, senza potersi più spingere sino al dispiegamento di una riconvenzionale revocatoria, secondo quanto si riteneva invece possibile nel regime anteriore alla riforma di cui al D. Lgs. 5/2006 in quanto l’attuale sistema forgiato dagli artt. 98 e ss. L.F. non tollera in linea generale l’introduzione di domande riconvenzionali da parte della curatela, con il conseguente abbandono della tradizionale qualificazione dell’intervento così promuovibile dal curatore negli ampi termini di «revocatoria incidentale» e con la pure conseguente restrizione del raggio di azione del curatore alla sola richiesta di paralizzare la pretesa creditoria, il giudice non dichiarando l’inefficacia del titolo del credito o della garanzia, né disponendo la restituzione, ma limitandosi ad escludere il credito o la prelazione, a ragione della revocabilità del relativo titolo, con effetti limitati all’ambito della verifica dello stato passivo al quale la richiesta del curatore è strettamente funzionale.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, VI sez. civ. -1, Pres. Acierno – Rel. Dolmetta, con l’ordinanza n. 26870 del 26 novembre 2020.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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