ISSN 2385-1376
Testo massima
In assenza del decreto del GD ex art.46, comma 2, L.F., non può essere dichiarata l’inefficacia ex art.44 L.F. dei pagamenti di ratei pensionistici fatti dall’INPS al fallito, con riferimento alla porzione dei ratei pensionistici strettamente necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita.
L’interesse dei creditori concorsuali a soddisfarsi sull’intero patrimonio del fallito non può prevalere al cospetto dei più basilari diritti della personalità di quest’ultimo, tra cui certamente rientra quello di non vedersi sottratti i mezzi economici strettamente necessari alle esigenze di vita sue e della sua famiglia.
E’ quanto disposto dal Tribunale di Napoli, sezione settima, in persona del dott. Angelo Napolitano, con l’ordinanza ex art. 702 ter cpc, resa in data 31/05/2013.
Nel caso de quo, il curatore del fallimento di una società ha chiesto accertarsi l’inefficacia dei pagamenti effettuati dall’Inps, a titolo di pensione di invalidità, in favore dei falliti, assumendone la ripetibilità, sul presupposto che, dalla data della dichiarazione di fallimento, tutti i beni del fallito, compresi i crediti, sono attratti al fallimento e tutti i pagamenti effettuati nelle mani del fallito sono inefficaci nei confronti dei creditori ex art.42 l.f. per cui possono e devono essere ripetuti nei confronti della curatela.
A sostegno delle proprie ragioni, il curatore ha argomentato che se è vero che le pensioni di invalidità civile, ai sensi dell’art.46 l.f., sono esentate dallo spossessamento, le stesse rientrerebbero nell’ambito di applicazione del secondo comma dell’art.46 lf, che limita tale esenzione a quanto strettamente necessario al mantenimento del fallito e della sua famiglia.
Con la conseguenza che, in mancanza del decreto del Giudice Delegato ex art.46, comma 2, L.F., tutti i pagamenti effettuati dopo la dichiarazione di fallimento devono essere versati nelle mani del curatore, sotto pena di inefficacia.
Il Tribunale è stato, pertanto, chiamato a pronunciarsi sulla questione se, in assenza del decreto del GD ex art. 46, comma 2, L.F., possa essere dichiarata l’inefficacia ex art. 44 L.F. dei pagamenti di ratei pensionistici fatti dall’INPS al fallito, con riferimento alla porzione dei ratei pensionistici strettamente necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita.
Orbene, il Tribunale, muovendo dall’esame della ratio dell’art.2740 cc, quale norma che contempera la responsabilità patrimoniale del debitore con il diritto del debitore a vedere comunque preservato un piccolo nucleo di beni necessari alla sussistenza propria e della sua famiglia- diritto tutelato anche da importanti norme costituzionali (artt.2, 38) ha ritenuto di risolvere negativamente la questione.
In particolare, il Tribunale afferma come tra i beni del debitore che soddisfano dei suoi interessi essenziali ben possa rientrare quantomeno una porzione degli emolumenti corrisposti dall’INPS, che hanno la funzione di garantire al soggetto lavoratore la percezione di somme in caso di eventi che ne compromettano la capacità reddituale.
A questo punto, il Tribunale procede ad un attento esame del rapporto tra i limiti alla responsabilità patrimoniale del debitore con il regime dei beni sottratti al fallimento, anche alla luce dell’art.46 L.F. (cfr. nn.1, 2 e 5 del primo comma), giungendo a ritenere che la parte dei ratei pensionistici strettamente necessaria alle esigenze di vita del debitore sia pacificamente sottratta alla responsabilità patrimoniale e, dunque, alla soddisfazione dei creditori (C. Cost. n. 506/2002).
Sulla base di tale articolata motivazione, il Tribunale afferma il principio per cui l’interesse dei creditori concorsuali a soddisfarsi sull’intero patrimonio del fallito non può prevalere al cospetto dei più basilari diritti della personalità di quest’ultimo, tra cui certamente rientra quello di non vedersi sottratti i mezzi economici strettamente necessari alle esigenze di vita sue e della sua famiglia.
Circa la necessità che l’azione ex art.44 e 46 comma secondo L.F. sia preceduta dal decreto che fissi i limiti all’apprensione da parte del fallito dei ratei stipendiali o pensionistici, si segnala la sentenza della Corte di Cassazione n.18843/2012, richiamata dal Tribunale.
In conclusione, il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda del fallimento, affermando il principio che in assenza del decreto del GD ex art.46, comma 2, L.F., non può essere dichiarata l’inefficacia ex art. 44 L.F. dei pagamenti di ratei pensionistici fatti dall’INPS al fallito, con riferimento alla porzione dei ratei pensionistici strettamente necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita.
Con la ordinanza in esame, il Tribunale di Napoli ha affrontato una questione scarsamente approfondita in precedenza, fornendo una soluzione che è il frutto di un attento esame dei limiti della responsabilità patrimoniale del debitore, alla luce dei diritti costituzionalmente garantiti ed in relazione, altresì, ai principi previsti dalla legge falliemntare in tema di tutela dell’interesse dei creditori concorsuali.
Testo del provvedimento
IL T R I B U N A L E D I N A P O L I
Sezione civile VII
in composizione monocratica, nella persona del dott. Angelo Napolitano
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA EX ART.702 TER CPC
nella causa tra:
Fallimento di C.A., C.L. e C.R
ATTORE
I.N.P.S. Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rapp.te p.t.;
CONVENUTO CONTUMACE
Oggetto: inefficacia di pagamenti ex art.44 L.F.
Conclusioni: come da verbale di udienza del 9/5/2013, che qui si abbiano per ripetute e trascritte.
Motivi in fatto e in diritto della decisione
Con ricorso ex art.702 bis cpc, ritualmente notificato insieme con il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, la curatela del fallimento dei soci e della società di fatto tra essi ha premesso quanto segue.
Con sentenza n.617 del 15/9/1993 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato il fallimento di C.A., poi esteso con sentenza in data 22/7/1994 a tutti i soggetti indicati in epigrafe in proprio e alla società di fatto corrente tra di loro.
Da verifiche effettuate dal fallimento era emerso che i signori C.A., C.L. e C.R. sono titolari di una pensione di invalidità civile le cui somme sono state erogate dall’Istituto Nazionale della previdenza Sociale (Inps) nella seguente misura: euro 33.150 in favore di C.A. dal 2010 al 2012; euro 38.574 in favore di C.L.dal 2003 al 2012; euro 22.145 in favore di C.R. dal 2008 al 2012.
L’erogazione di tali somme risultano dalla stessa certificazione operata dall’Inps su richiesta della curatela fallimentare.
Dette somme, per un ammontare complessivo pari ad euro 93.869, sono state percepite dai falliti successivamente alla dichiarazione di fallimento, e sarebbero state sottratte alla procedura e all’apprezzamento del G.D. ed al relativo decreto ex art.46 L.F., che fissa i limiti entro i quali gli emolumenti di carattere alimentare non vengono compresi nel fallimento, ma sono lasciati nella disponibilità del fallito, tenuto conto della condizione personale di quest’ultimo e della sua famiglia.
In base al disposto del secondo comma dell’art.44 L.F., dunque, la curatela ha dedotto l’inefficacia dei pagamenti fatti dall’Inps a titolo di ratei pensionistici in favore dei falliti, assumendone la ripetibilità.
Per la curatela, dalla data della dichiarazione di fallimento tutti i beni, compresi i crediti, del fallito sono attratti al fallimento.
E tutti i pagamenti effettuati nelle mani del fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci nei confronti della massa dei creditori, ex art.42, secondo comma, L.F., sicché ogni pagamento può e deve essere ripetuto ei confronti della curatela.
Senonché, la tutela delle aspettative satisfattorie dei creditori concorsuali deve essere coordinata con l’art.46 L.F., che pone dei limiti all’acquisizione del patrimonio del fallito da parte del curatore, prevedendo che i beni ed i diritti di natura strettamente personale sono lasciati nella disponibilità del fallito, seppure “entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia”.
Tra i beni esclusi dalla generale e integrale acquisizione alla massa fallimentare rientrano anche le pensioni di invalidità, che assolvono ad una funzione reintegratrice della permanente riduzione della capacità di guadagno del lavoratore in occupazione a causa di infermità o di difetto fisico o mentale.
Argomenta la curatela che le pensioni di invalidità civile percepite dai C. rientrano nell’ambito di applicazione dell’art.46, secondo comma, L.F., in quanto tali emolumenti sono ricollegabili alla riduzione della capacità lavorativa dei beneficiari e, conseguentemente, alla riduzione della loro capacità reddituale.
Dunque le pensioni di invalidità civile sono “esentate dallo spossessamento”.
Tuttavia, il legislatore avrebbe limitato tale esenzione “a quanto strettamente necessario al mantenimento del fallito e della sua famiglia”.
Infatti il G.D., in base ad una valutazione discrezionale e su richiesta del fallito, provvede con decreto alla determinazione della quota di reddito per stipendi o pensioni disponibile per il fallito e della quota di essi da destinare alla soddisfazione dei creditori.
In mancanza della richiesta del fallito, e quindi in mancanza del decreto del G.D. ex art.46, secondo comma, L.F., tutti i pagamenti, nessuno escluso, effettuati dopo la dichiarazione di fallimento devono essere necessariamente versati nelle mani del curatore, sotto pena di inefficacia.
Sicché, in mancanza del decreto del Giudice delegato di cui all’art.46, comma secondo, L.F., in quanto non richiesto dai falliti, l’intero ammontare della pensione di invalidità percepita dai signori C. dopo la dichiarazione di fallimento dovrebbe rientrare nel fallimento, con il corrispondente obbligo in capo all’Inps di pagare nuovamente il relativo importo nelle mani del curatore (Cass. n.2738/1964; Trib. Roma 28/4/1997; Cass. n.17751/2009; Trib. SMCV 8/11/2002).
Su tali basi argomentative, la curatela ha chiesto che fosse accertata l’inefficacia dei pagamenti effettuati dall’Inps a titolo di pensione di invalidità civile in favore dei falliti C.A., per la somma di euro 33.150, percepita dall’anno 2010 al 2012; C.L., per la somma di euro 38.574, percepita dall’anno 2003 al 2012; C.R., per la somma di euro 22.145, percepita dal 2008 al 2012.
Ha chiesto inoltre che l’Inps fosse condannato al pagamento in favore del fallimento della complessiva somma di euro 93.869, oltre interessi e rivalutazione fino al soddisfo, ed oltre alle spese del giudizio.
L’Inps è rimasto contumace.
All’udienza del 9/5/2013 il Giudice si è riservato di decidere.
Le questioni cruciali sulle quali poggia la decisione della causa sono: stabilire la natura del decreto del GD che fissa i limiti entro i quali i ratei pensionistici (per quel che in questa sede rileva) sono esclusi dalla procedura fallimentare; stabilire se spetta esclusivamente al GD fissare i detti limiti, e come debba essere interpretata l’omessa fissazione di quei limiti da parte del GD; stabilire quale incidenza abbia nell’interpretazione del n.2) del comma 1 dell’art.46 L.F. l’esclusione dalla procedura fallimentare, disposta dal n.5 del comma 1 dello stesso articolo, delle cose che per disposizione di legge non possono essere pignorate.
Orbene, il n. 2) del comma 1 dell’art.46 L.F. stabilisce la regola che la porzione dei ratei pensionistici necessaria per il mantenimento del fallito e della sua famiglia è sottratta alla procedura fallimentare, nel senso che è esclusa dalla massa attiva del fallimento, sulla quale possono soddisfarsi i creditori concorsuali.
A ben vedere, inoltre, dalla citata norma si ricava una regola che sta a monte di quella appena espressa: almeno una parte (che la legge demanda alla determinazione del GD) del rateo pensionistico deve servire alla soddisfazione delle esigenze di mantenimento del fallito e della sua famiglia.
Orbene, se il GD non provvede a determinare (e non necessariamente lo deve fare su istanza del fallito) i limiti entro i quali il rateo pensionistico è escluso dalla procedura fallimentare, potrebbe coerentemente concludersi che il GD abbia scelto di non apporre alcun limite all’esclusione dal fallimento del rateo pensionistico, evidentemente perché quel rateo è di ammontare talmente basso da essere esso stesso necessario al mantenimento del fallito e della sua famiglia.
Questa conclusione, però, obiettivamente contrasta col fatto che il GD ha autorizzato l’azione di inefficacia dei pagamenti fatti dall’INPS al fallito, aventi ad oggetto l’intero ammontare dei ratei pensionistici a lui corrisposti, implicitamente aderendo alla tesi che senza l’indicazione del limite ex art.46, comma 2, L.F. da parte sua, l’intero ammontare dei ratei pensionistici di cui il fallito sia titolare è attratto alla massa fallimentare.
In ogni caso, pur assumendo questo Giudice che, per come è formulato il primo comma, n.2, dell’art.46 L.F., una porzione del rateo pensionistico deve necessariamente assolvere alla funzione di mantenimento del fallito e della sua famiglia, deve affrontarsi la questione se, pure in assenza del decreto del GD ex art.46, comma 2, L.F., questo Giudice, chiamato a pronunciarsi sull’inefficacia ex art.44 L.F. dei pagamenti di ratei pensionistici fatti dall’INPS al fallito, possa escludere detta inefficacia con riferimento alla porzione dei ratei pensionistici strettamente necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita.
A giudizio dello scrivente, la risposta alla domanda che tale questione pone deve essere positiva.
La disposizione di cui all’art.2740 cc esprime la tensione dell’ordinamento di fronte a due interessi contrapposti ed egualmente rilevanti: quello dei creditori a potersi soddisfare sui beni costituenti l’intero patrimonio del loro debitore; e quello del debitore a veder comunque preservato un piccolo nucleo di beni necessari alla sussistenza propria e della sua famiglia.
L’esclusione di alcuni beni e diritti dalla responsabilità patrimoniale ripete la sua legittimità in alcune importanti norme costituzionali (artt.2, 38).
In particolare, può ben dirsi che alcuni beni del patrimonio del debitore soddisfano dei suoi interessi essenziali, che sostanziano diritti della personalità.
Tra questi beni vi è senza dubbio quantomeno una porzione degli emolumenti corrisposti dall’INPS che hanno la funzione di garantire al soggetto lavoratore la percezione di somme in caso di eventi che ne compromettano la capacità reddituale.
Orbene, tale funzione ha la pensione di invalidità riconosciuta dall’INPS al fallito, il pagamento dei cui ratei è oggetto della presente azione di inefficacia.
Deve notarsi che la parte dei ratei pensionistici strettamente necessaria alle esigenze di vita del debitore è pacificamente sottratta alla responsabilità patrimoniale e, dunque, alla soddisfazione dei creditori (C. Cost. n.506/2002).
Lo stretto nesso tra beni sottratti al fallimento, beni di natura strettamente personale e beni impignorabili per disposizione di legge (cui devono aggiungersi i dispositivi delle sentenze di illegittimità costituzionale emesse dal Giudice delle leggi) emerge dallo stesso testo dell’art.46 L.F. (cfr. nn.1, 2 e 5 del primo comma).
Né potrebbe ragionevolmente spiegarsi per quale ragione per il fallito, a differenza del semplice debitore, in assenza di un decreto di determinazione della porzione di ratei pensionistici necessari al mantenimento suo e della sua famiglia, non debba valere il principio, riveniente da cogenti norme costituzionali, della sottrazione alla procedura fallimentare degli assegni pensionistici per la parte strettamente necessaria alla soddisfazione delle primarie esigenze di vita.
L’interesse dei creditori concorsuali a soddisfarsi sull’intero patrimonio del fallito non può prevalere al cospetto dei più basilari diritti della personalità di quest’ultimo, tra cui certamente rientra quello di non vedersi sottratti i mezzi economici strettamente necessari alle esigenze di vita sue e della sua famiglia.
Né potrebbe sostenersi che il fallito, cui il GD non abbia riconosciuto l’ “intangibilità” della porzione “vitale” del rateo pensionistico, sia tutelato dalla disposizione dell’art.47 L.F.
L’art.46 e l’art.47 L.F., infatti, operano su piani diversi: il primo si occupa di stabilire quali sono i beni non compresi nel fallimento; il secondo si occupa di stabilire il potere del GD di attribuire un sussidio alimentare al fallito nel caso in cui questi e la sua famiglia siano privi dei mezzi di sussistenza.
Ma vi è di più.
Per il principio di efficienza dell’azione amministrativa, cui è soggetto anche l’Inps, l’ente di previdenza non può, prima di corrispondere i ratei mensili delle pensioni di invalidità civile, attendere sine die che il Giudice delegato emetta il decreto con cui fissi ex art.46 comma 2 L.F. il limite entro cui gli assegni pensionistici debbono essere pagati direttamente al fallito.
Né esiste un onere per l’ente previdenziale di sollecitare l’emanazione di tale decreto.
Sicché, qualora tale decreto non sia mai stato emesso, l’Inps non può essere costretto a pagare di nuovo alla curatela gli importi dei ratei pensionistici corrisposti ai falliti, visto, tra l’altro, che l’assenza di un decreto di fissazione dei limiti ex art.46, secondo comma, L.F., può legittimamente aver indotto nell’Istituto il ragionevole convincimento che nessun limite gli organi fallimentari avessero voluto apporre alla percezione da parte del fallito dei ratei pensionistici di cui egli godeva (cfr. per considerazioni circa la necessità che l’azione ex art.44 e 46 comma secondo L.F. sia preceduta dal decreto che fissi i limiti all’apprensione da parte del fallito dei ratei stipendiali o pensionistici, Cass. n.18843/2012).
Il decreto ex art.46 comma secondo L.F., infatti, costituisce una limitazione della regola, ricavabile dal primo comma del citato art.46 L.F., della esclusione dal fallimento degli assegni stipendiali, alimentari e pensionistici, sicché, senza quella espressa e sollecita limitazione non può tramutarsi in sanzione per l’Inps (nel caso che ci occupa) l’aver esso regolarmente corrisposto al fallito dei ratei di pensione di invalidità civile anche dopo la dichiarazione di fallimento del titolare, vieppiù se si considera che nessun onere ha l’Istituto di sollecitare la fissazione di quei limiti.
Deve essere, in conclusione, il curatore, appena insidiatosi, a verificare se il fallito sia titolare di trattamenti stipendiali o pensionistici, per poi provocare dal G.D. l’emissione del decreto di fissazione dei limiti entro i quali i ratei possono continuare ad essere pagati nelle mani del fallito.
In mancanza del decreto, l’Inps legittimamente corrisponde i ratei stipendiali o pensionistici al soggetto al quale spettano.
Ne consegue che il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Vista la mancata costituzione nel giudizio dell’Istituto di previdenza, non vi è luogo a provvedere sulle spese.
PQM
Rigetta la domanda del fallimento.
Nulla sulle spese.
Napoli, 31/5/2013
Il Giudice
Dott. Angelo Napolitano
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Numero Protocolo Interno : 342/2013