Il fideiussore, una volta effettuato il pagamento del capitale, gli interessi e le spese in favore del debitore principale, è surrogato nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore, a norma dell’artt. 1949 e art.1203 n.3 cc, e diviene altresì titolare di una specifica azione di regresso. La surrogazione da luogo ad un fenomeno successorio, ponendo il fideiussore nella medesima posizione del creditore che sia stato da lui soddisfatto mediante il pagamento. Il fideiussore che abbia pagato il creditore comune dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale può insinuare al passivo il proprio credito di rivalsa fornendo la prova dell’avvenuta verificazione della condizione prescritta dalla Legge Fallimentare, art.61, comma 2, relativa alla INTEGRALE SODDISFAZIONE DELL’INTERO CREDITO. Nel caso di specie non è stata ritenuta ammissibile la domanda proposta de un fideiussore che ha chiesto l’ammissione al passivo sul presupposto di aver provveduto ad un PAGAMENTO PARZIALE del credito.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VIOLA LILLA;
RICORRENTE
CONTRO
BANCA
CONTRORICORRENTE
E
FALLIMENTO GIALLO SRL
INTIMATO
avverso a sentenza della Corte di Appello di Torino n. 171/07, pubblicata il 7 febbraio 2007;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – VIOLA LILLA avendo prestato fideiussione per i debiti della GIALLO SRL in favore della BANCA a seguito del fallimento della debitrice principale corrispose la somma di Lire 270.000.000. in virtù di un accordo intervenuto con la creditrice. senza però ottenere da quest’ultima la cessione del credito, nel frattempo ammesso al passivo del fallimento.
Propose quindi domanda di insinuazione tardiva, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n.267, artt.62 e 101, chiedendo l’ammissione al passivo del proprio credito, in via chirografaria.
Nel giudizio, fu autorizzata la chiamata in causa della BANCA la quale, premesso di avere ottenuto l’ammissione al passivo di un credito di Lire 378.964.266. riconobbe di aver ricevuto dall’attore e dagli altri fideiussori, escussi successivamente alla dichiarazione di fallimento, la somma complessiva di Lire 398.864.600. precisando di averla imputata agli interessi convenzionali maturati nelle more e di vantare ancora un credito residuo di Lire 221.206.072. 1.1.
Con sentenza dell’8 settembre 2004, il Tribunale di Torino rigettò la domanda.
2. – L’impugnazione proposta dallo VIOLA LILLA è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Torino con sentenza del 7 febbraio 2007.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto irrilevanti le considerazioni svolte dall’appellante in ordine alla misura degl’interessi dovuti a seguito del fallimento del debitore principale e della rinuncia del creditore a richiedere gl’interessi convenzionali, avendo il Tribunale accertato l’esistenza di un residuo credito della Banca anche in caso di applicazione del tasso legale.
Quanto alle critiche rivolte all’accertamento del credito compiuto in sede fallimentare, ha osservato che il decreto di esecutività dello stato passivo, avendo efficacia esclusivamente endo-fallimentare. non spiega effetti nei confronti dei soggetti rimasti estranei al fallimento, e quindi neppure nei confronti dei coobbligati del fallito, precisando comunque che nella specie non si versava neppure nella predetta ipotesi, non avendo la BANCA preteso di far valere nei confronti del fideiussore il provvedimento di ammissione al passivo, ma avendo transatto con lo stesso la sua posizione, con riserva di agire nei confronti degli altri obbligati per il recupero dell’intero credito.
Ha inoltre escluso la possibilità di una surrogazione parziale, ai sensi dell’art.1949 cc, e art.1203 cc, n.3, richiamando la disciplina dettata dalla Legge Fallimentare, artt.61 e 62, avente portata derogatoria rispetto a quella di diritto comune e volta a rafforzare la posizione del creditore nel fallimento, dalla quale si desume l’irrilevanza dei pagamenti parziali eseguiti dal condebitore solidale dopo la dichiarazione di fallimento del coobbligato insolvente, ai tini della riduzione del credito ammesso al concorso.
3. – Avverso la predetta sentenza VIOLA LILLA propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.
Resiste con controricorso la BANCA.
Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il PRIMO MOTIVO d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art.24 Costituzione, dell’art.2909 cc, e della Legge Fallimentare, artt.98 – 102, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui. pur avendo affermato che la facoltà del fideiussore di far valere il credito in via di surroga nel fallimento è subordinata alla soddisfazione integrale del creditore, ha escluso la sua legittimazione a contestare la somma per la quale la Banca era stata ammessa al passivo, in virtù dell’efficacia endoprocessuale del relativo accertamento.
A suo avviso, infatti, la Legge Fallimentare art.100, riferisce la predetta efficacia ai soli creditori già ammessi al passivo, e non è quindi applicabile al fideiussore che abbia pagato dopo la dichiarazione di fallimento, in quanto il suo credito di regresso sorge successivamente all’apertura della procedura e la possibilità di surrogarsi al creditore soddisfatto dipende dall’esattezza del provvedimento di ammissione al passivo, per la cui contestazione egli non dispone di alcuno strumento processuale.
2. – Con il SECONDO MOTIVO, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art.1203 cc, n. 3, e art.1949 cc, e della Legge Fallimentare, artt.61 e 62, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’ammissibilità di una surrogazione parziale del fideiussore al creditore, con corrispondente riduzione del credito di quest’ultimo originariamente ammesso al passivo.
Tale riduzione, intatti, non solo non arreca alcun danno al creditore parzialmente soddisfatto, ma esclude anche la possibilità che quest’ultimo riceva due volte il pagamento del medesimo importo, in tal modo evitando un’ingiustificata locupletazione del creditore a danno del fideiussore che ha pagato, il quale. ove non si ammetta la surroga, può far valere le proprie ragioni esclusivamente sui beni del tallito che eventualmente residuano dopo la chiusura del fallimento.
3. – I DUE MOTIVI devono essere esaminati congiuntamente, avendo ad oggetto la comune problematica relativa all’ammissibilità dell’azione di rivalsa del fideiussore escusso nell’ambito del fallimento del debitore principale.
Com’è noto, il fideiussore, essendo obbligato in solido con il debitore principale, ai sensi dell’art.1944 cc, una volta effettuato il pagamento è surrogato nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore, a norma dell’artt.1949 e art.1203 n.3, e diviene altresì titolare di una specifica azione di regresso nei confronti di quest’ultimo, a norma dell’art.1950, ancorchè il debitore principale non fosse consapevole della prestata fideiussione.
Le due azioni sono concorrenti e non cumulabili, nel senso che il fideiussore ha facoltà di scegliere alternativamente l’una o l’altra, e si differenziano sia per presupposti che per contenuto, in quanto il diritto al regresso sorge in via originaria dall’effettuato pagamento e comprende il capitale, gli interessi e le spese che il fideiussore ha sostenuto in favore del debitore principale, mentre la surrogazione da luogo ad un fenomeno successorio, ponendo il fideiussore nella medesima posizione del creditore che sia stato da lui soddisfatto mediante il pagamento.
L’acquisto del diritto in via derivativa comporta inoltre, nel caso della surrogazione, che al fideiussore sono opponibili le medesime eccezioni che avrebbero potuto essere opposte ai creditore originario, diversamente da quanto accade in caso di esercizio dell’azione di regresso, nel quale il fideiussore fa valere un diritto proprio (cfr. Cass., Sez. 1′, 12 ottobre 2007. n.21430; 11 settembre 2007, n. 19097).
3.1. – L’esercizio delle predette azioni in caso di fallimento del debitore principale trova la sua disciplina nella Legge Fallimentare, artt.61 e 62, i quali regolano i rapporti con l’azione spettante al creditore per la riscossione dell’eventuale residuo credito e con le azioni di regresso spettanti ad altri condebitori, distinguendo l’ipotesi in cui il pagamento del coobbligato solidale sia stato effettuato in data anteriore alla dichiarazione di fallimento da quella in cui esso abbia avuto luogo successivamente.
Nel primo caso, l’art.62 attribuisce al creditore che abbia ricevuto dal coobbligato in solido o da un fideiussore un pagamento parziale il diritto di concorrere nel fallimento per la parte non riscossa, prevedendo inoltre che il coobbligato che ha diritto di regresso nei confronti del fallito può concorrere nel fallimento per la somma pagata, fermo restando il diritto del creditore di farsi assegnare la quota di riparto spettante al coobbligato fino a concorrenza di quanto ancora dovutogli, nonchè, qualora rimanga ancora insoddisfatto, di agire nei confronti del coobbligato.
In riferimento al secondo caso, invece, l’art.61 riconosce al creditore il diritto di concorrere nel fallimento per l’intero credito, stabilendo al secondo comma che il diritto di regresso tra i coobbligati può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l’intero credito.
Quest’ultima disposizione, pur regolando espressamente i soli rapporti interni tra i coobbligati falliti, viene comunemente ritenuta riferibile anche al caso in cui l’azione di regresso sia esercitata nei confronti del tallito da un coobbligato in bonis, identica essendo, in entrambi i casi, la ratio che giustifica l’applicazione della disciplina in esame, volta ad evitare che il medesimo credito sia consideralo due volte nel passivo, mediante l’esclusione dal concorso del coobbligato o del fideiussore che, avendo pagato dopo la dichiarazione di fallimento, trova cristallizzata la situazione esistente al momento in cui il creditore aveva insinuato il suo credito al passivo per l’intero ammontare (cfr. Cass. Sez. 1′, 12 luglio 1990. n. 7222;5 luglio 1988, n.4419).
3.2. – E’ pur vero che. come fa rilevare il ricorrente, la più recente giurisprudenza di legittimità ha ridimensionato la portata del principio di cristallizzazione, sottoponendo a revisione le conseguenze che ne venivano tradizionalmente desunte in tema di ammissione al passivo del credito fatto valere dal fideiussore in via di surrogazione o regresso.
In ordine all’azione di surrogazione, si è infatti osservato che, poichè la stessa comporta un mutamento meramente soggettivo nella persona del creditore, ma non incide in alcun modo sulla qualità o quantità del credito, deve per ciò solo escludersi che l’insinuazione al passivo del fideiussore che abbia agito in via di surroga possa porsi in contrasto con il principio della cristallizzazione dei crediti determinata dall’apertura della procedura concorsuale (cfr. Cass. Sez. 1′, 12 ottobre 2007, n.21430, cit.). li credito azionato in via di surroga da parie del fideiussore che ha pagato è un credito sorto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, nella cui titolarità avviene semplicemente la successione di un soggetto diverso, senza che si produca novazione; la cristallizzazione della massa passiva non può incidere sulla sua ammissione, poichè esso ha natura concorsuale fin dal suo sorgere, e non può perdere tale natura soltanto in virtù del subingresso di un diverso soggetto nella sua titolarità (cfr. Cass. Sez. 1′, 11 settembre 2007, n.19097, cit.).
Sulla base di tali considerazioni, si è pertanto escluso che l’insinuazione in via condizionale, ai sensi della Legge Fallimentare, art.55, comma 3, costituisca un prerequisito per l’ammissione del credito del fideiussore che intenda sostituirsi al creditore soddisfatto, richiamandosi l’orientamento che. nei casi di subingresso di un soggetto ad un altro nella titolarità di un credito concorsuale già ammesso al passivo, subordina l’ammissione al passivo del subentrante alla presentazione di una domanda di insinuazione tardiva (cfr. Cass., Sez. 1′, 26 luglio 2002, n. 11038;2 luglio 1998, n. 6469; 22 febbraio 1995, n. 1997), ed osservandosi che in ogni caso la successione nella titolarità del credito non riesce di pregiudizio ai creditori concorrenti, dal momento che il creditore principale non è soddisfatto con denaro della massa, ma del fideiussore, con la conseguenza che nel concorso nulla viene a modificarsi per quanto riguarda i rapporti tra i creditori, verificandosi soltanto la sostituzione di un creditore insinuato con un altro (cfr. Cass. Sez. 1′, 11 settembre 2007, n. 19097).
Analogamente, in tema di regresso, una recente pronuncia ha riesaminato l’orientamento secondo cui il fideiussore che ha pagato il creditore prima del fallimento del debitore principale dev’essere considerato creditore condizionale ed ha pertanto l’onere di chiedere l’ammissione al passivo con riserva, la quale potrà ritenersi sciolta soltanto se e quando si sia verificato l’integrale soddisfacimento delle ragioni del creditore nel corso della procedura fallimentare, non soccorrendo, ai fini dell’esercizio dell’azione in esame, l’insinuazione tardiva, non riferibile alle ragioni creditorie sorte dopo la dichiarazione di fallimento, ma all’ammissione tardiva degli stessi crediti previsti dalla Legge Fallimentare art.52, (cfr. Cass., Sez. 1′, 3 maggio 2000, n. 5510; 27 giugno 1998, n. 6355; 12 luglio 1990, n. 7222).
E’ stato infatti sottoposto a critica lo stesso presupposto da cui muoveva tale orientamento, e cioè l’affermazione secondo cui l’equiparazione del credito di regresso ad un nuovo diritto, avente la propria fonte nel pagamento estintivo dell’originaria obbligazione, escluderebbe la possibilità di considerare concorsuale il credito quando il pagamento da parte del coobbligato sia stato effettuato dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale.
Premesso che la tesi criticata finisce con il cadere in contraddizione, in quanto il credito o è concorsuale, ed allora la sua insinuazione prescinde dal momento in cui avviene il pagamento, o non lo è, ed allora non può essere insinuato neppure con riserva, si è osservato che il credito di regresso, pur avendo la sua causa diretta nel pagamento eseguito dal consorte in bonis, sostituisce in pratica nella massa passiva quello del creditore comune, mutuando dallo stesso il connotato della concorsualità.
L’azione di regresso spettante al debitore solidale che abbia effettuato il pagamento è in sostanza un’azione di surrogazione mediante la quale egli subentra nei diritti del creditore soddisfatto, di modo che, se il creditore non poteva più agire nei confronti dei condebitori solidali, per il verificarsi di una prescrizione o di una decadenza, il fatto estintivo può essere opposto anche al condebitore attore. L’esercizio di tale azione da parte del fideiussore che abbia pagato dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale non contrasta con il principio di cristallizzazione, non comportando alcun illegittimo incremento del passivo, dal momento che il credito del fideiussore dev’essere ammesso negli stessi limiti in cui era stato ammesso, o avrebbe potuto essere ammesso, quello del creditore, e che alla collocazione sul ricavato del credito di regresso corrisponde l’esclusione dal diritto al riparlo del creditore originario (cfr. Cass., Sez. 1′, 17 gennaio 2008. n. 903).
3.3. – Alla stregua di tali decisioni, può dunque ritenersi acquisita nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui il principio della cristallizzazione della massa passiva non si oppone, in linea di massima, alla sostituzione del credito spettante, in via di surrogazione o regresso, al coobbligato solidale che abbia pagato in data successiva alla dichiarazione di fallimento del debitore principale a quello già insinuato o che avrebbe potuto essere insinuato al passivo dal creditore comune, operando il pagamento come causa estintiva del credito vantato da quest’ultimo nei confronti del debitore principale, con la conseguente esclusione di qualsiasi duplicazione di credili.
Tale affermazione, dalla quale si trae il corollario che il coobbligato non è tenuto ad insinuare al passivo il proprio credito con riserva, potendo farlo valere in sede fallimentare con l’ordinaria istanza di ammissione, tempestiva o tardiva, non consente peraltro di concludere, come vorrebbe la difesa del ricorrente, per l’ammissibilità della surrogazione anche nel caso in cui il pagamento effettuato dal coobbligato o dal fideiussore non risulti interamente satisfattivo della pretesa del creditore.
A tale conclusione osta infatti l’art.61, comma 2, il quale, nel subordinare l’esercizio dell’azione di rivalsa alla condizione che il creditore comune sia stato soddisfatto per l’intero credito, ove il pagamento sia stato effettuato successivamente alla dichiarazione di fallimento, detta una disposizione applicabile non solo all’azione di regresso, specificamente contemplata dalla norma in esame, ma anche a quella di surrogazione.
Si è osservato in proposito che la portata precettiva dell’art.61, apparentemente coincidente con quella dell’art.1299 cc (tanto da far ritenere che. se la prima disposizione non avesse una precisa funzione connessa alla sedes materiae, sarebbe meramente ripetitiva del generale principio stabilito dal codice civile, e come tale del tutto pleonastica), è in realtà diversa, trattandosi di una norma speciale che introduce un’eccezione al principio dell’opponibilità al creditore comune dei pagamenti parziali ricevuti, in tal modo completando la tutela apprestata dal comma 1, al creditore predetto, il quale viene sottratto al concorso con il credito di regresso del fideiussore, che pure fosse esercitabile da costui sulla base della disciplina di diritto comune.
Essa risponde all’esigenza di assicurare la stabilità della situazione esistente al momento della dichiarazione di fallimento, mantenendola ferma lino a che il credito principale non scompaia per intero dal passivo, onde evitare che si creino, per effetto dei pagamenti da parte dei coobbligati e dell’esercizio dell’azione di regresso contro i falliti, duplicazioni di concorso dello stesso credito nel passivo, con conseguenti duplicazioni di accantonamenti in sede fallimentare a favore di una stessa pretesa creditoria, tali da comportare una diminuzione della massa ripartibile fra gli altri creditori (cfr. Cass. Sez. 1′, 10 gennaio 1966, n. 188; 4 aprile 1962, n. 703).
Se questa è la ratio della norma in esame, occorre peraltro ammettere che essa è comune tanto alla fattispecie del regresso quanto a quella della surrogazione, non assumendo alcun rilievo, al riguardo, la diversità del meccanismo giuridico attraverso il quale, per effetto del pagamento. il coobbligato o il fideiussore diviene titolare dell’azione nei confronti del debitore fallito, e tendendo anzi a dissolversi tale diversità nell’ottica della più recente giurisprudenza di questa Corte, la quale pone in rilievo l’identità dell’effetto sostitutivo che si verifica in entrambi i casi, circoscrivendo le differenze alla misura del credito azionabile in via di rivalsa.
Non merita dunque consenso la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui il principio della cristallizzazione della massa passiva non impedirebbe la surrogazione parziale de fideiussore che ha pagato successivamente alla dichiarazione di fallimento al creditore che non sia risultato interamente soddisfatto.
Ciò che conta, d’altronde, ai fini dell’ammissibilità tanto della surrogazione quanto del regresso, non è la circostanza che attraverso il pagamento il coobbligato abbia totalmente assolto la propria obbligazione, ma che l’adempimento risulti integrale ex parie creditoris, cioè idoneo ad estinguere la pretesa che il creditore comune abbia insinuato o possa insinuare al passivo del fallimento.
Diversamente opinando, potrebbe risultare pregiudicato lo stesso diritto del creditore comune di vedere soddisfatto sul ricavato il credito che residua all’esito del pagamento effettuato dal coobbligato o dal fideiussore, in contrasto con il principio, ribadito dall’art.61, comma 1, per l’ipotesi di fallimento di uno o più coobbligati e dall’art.62, comma 1, per l’ipotesi di pagamento parziale eseguito anteriormente alla dichiarazione di fallimento, secondo cui nelle obbligazioni solidali il creditore può agire nei confronti di ciascuno dei coobbligati fino alla completa soddisfazione del proprio credito.
3.4. – Neppure può condividersi, poi. l’assunto emergente dal primo motivo d’impugnazione, secondo cui la subordinazione dell’esercizio in sede fallimentare dell’azione di regresso o di surrogazione all’integrale soddisfazione del creditore implica necessariamente il riconoscimento, in favore del coobbligato o del fideiussore che abbia pagato successivamente alla dichiarazione di fallimento, della legittimazione a contestare l’ammissione al passivo del credito insinuato dal creditore comune, al fine di ottenere l’accertamento della sua estinzione.
L’esclusione della predetta legittimazione è stata correttamente giustificata dalla Corte d’Appello mediante l’affermazione dell’efficacia meramente endofallimentare del provvedimento di ammissione al passivo, conformemente all’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accertamento dei crediti risultante dal decreto con cui il giudice delegato dichiara esecutivo io stato passivo, ai sensi della Legge Fallimentare art.97, preclude ogni ulteriore contestazione in ordine all’esistenza del credito ammesso, alla sua entità, all’efficacia del titolo da cui deriva ed all’esistenza di cause di prelazione, ma solo nell’ambito della procedura concorsuale, non avendo valore di giudicato al di fuori di essa (cfr. Cass., Sez. 1′, 9 giugno 2011, n.12638; 15 settembre 2006, n.19940; Cass. Sez. lav. 15 giugno 2006, n. 13778), neppure nei rapporti tra il creditore ed altro soggetto coobbligato del fallito (cfr. Cass., Sez. 1′, 11 marzo 2003, n. 3550; 22 febbraio 2002, n. 2573).
Tale affermazione non impedisce peraltro al coobbligato o al fideiussore che abbia pagato il creditore comune dopo la dichiarazione di fallimento del debitore principale di insinuare al passivo il proprio credito di rivalsa, fornendo la prova dell’avvenuta verificazione della condizione prescritta dalla Legge Fallimentare, art.61, comma 2.
L’impossibilità di riconoscere autorità di giudicato al provvedimento di ammissione al passivo del credito insinuato dal creditore comune fa anzi apparire superflua, a tal fine, l’impugnazione di detto provvedimento da parte del coobbligato, privando di qualsiasi fondamento anche i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla difesa del ricorrente per l’ipotesi in cui non si intenda riconoscere ai coobbligato o al fideiussore neppure la legittimazione a proporre l’impugnazione di cui alla Legge Fallimentare, art.100.
La spettanza di della legittimazione ai soli creditori insinuati al passivo ed a quelli che. avendo visto respinta la propria domanda di ammissione, abbiano proposto opposizione allo stato passivo, trova infatti fondamento nelle finalità endofallimentari dell’impugnazione in esame, volta a conseguire l’eliminazione di creditori concorrenti sull’attivo per un accrescimento della misura del dividendo fallimentare; essa non può quindi trovare giustificazione nei confronti di soggetti che, essendo rimasti estranei alla procedura concorsuale, non sono destinati a subire gli effetti preclusivi del provvedimento di ammissione.
Non colgono quindi nel segno le critiche mosse dal ricorrente alla decisione della Corte d’Appello, la quale, pur escludendo la legittimazione dello VIOLA LILLA all’impugnazione del provvedimento di ammissione al passivo della BANCA, non si è sottratta al compito di verificare se il pagamento da lui eseguito in adempimento della transazione stipulata con la Banca Antonveneta (che aveva incorporato la creditrice) fosse sufficiente a soddisfare integralmente il credito insinuato al passivo, ma ha preso in esame specificamente le censure sollevate in proposito dall’appellante, in tal modo pervenendo alla conferma del giudizio negativo espresso dalla sentenza di primo grado.
4. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. Nei confronti del curatore del fallimento, che non ha svolto attività difensiva, non occorre invece provvedere al regolamento delle spese processuali.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, e condanna S.A. al pagamento in favore della delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, ivi compresi Euro 4.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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