ISSN 2385-1376
Testo massima
Non rientra tra gli effetti del fallimento la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare e pertanto, ai sensi dell’art. 120 della Legge Fallimentare, i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore tornato in bonis per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi.
In tema di debiti tributari, l’Amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito nei riguardi del contribuente tornato in bonis, senza che, di per sé, la presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del curatore e del fallito possa comportare l’onere per l’Amministrazione di insinuarsi nel passivo fallimentare.
Sono questi i principi di diritto sottesi all’ordinanza n. 6473 della Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, Sottosezione Tributaria, pronunciata il 6 febbraio e depositata il 20 marzo 2014.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione avverso la decisione della CTR di Ancona che accoglieva l’appello di una contribuente, annullando la cartella di pagamento relativa all’ omesso versamento di imposte emergenti da dichiarazione del reddito di partecipazione conseguito dalla stessa come socia di una Snc, fino alla data della dichiarazione di fallimento della società.
I Giudici di legittimità, chiamati a decidere sul caso de quo, hanno fatto proprio quanto già affermato dalla stessa Cassazione il 15 maggio 2003 nella sentenza n. 7563, confermando come la chiusura del fallimento non sia ragione di estinzione dei crediti rimasti insoddisfatti.
L’art. 120 L.F., infatti, prevedeva, nella versione antecedente alla novella di cui al D.Lgs. 110/2006, che i creditori riacquistassero il libero esercizio della azioni verso il debitore tornato in bonis, non essendo la chiusura del fallimento sufficiente all’estinzione dei crediti rimasti non soddisfatti.
Gli Ermellini, dunque, sulla base del fatto che la disciplina conseguente alla suddetta novella non potesse essere applicata al caso in esame per ragioni cronologiche, ha accolto il ricorso ritenendo legittime le pretese tributarie dell’Erario, in ragione della dichiarazione presentata dal fallito e riguardante crediti che non erano mai stati contestati nella loro esistenza, dopo la chiusura della procedura fallimentare, e quindi senza che vi fosse stata insinuazione nel passivo del fallimento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 11761/2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
L.W., EQUITALIA CENTRO SPA
– intimate –
avverso la sentenza n. 94/1/2011 della Commissione Tributaria Regionale di ANCONA del 10.3.2011, depositata il 24/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati;
Osserva:
La CTR di Ancona ha accolto l’appello di L.W. – appello proposto contro la sentenza n. 118/01/2008 della CTP di Macerata che aveva accolto il ricorso della contribuente – ed ha così annullato la cartella di pagamento relativa ad IRPEF per l’anno 2001 emessa a seguito di iscrizione a ruolo per omesso versamento di imposte emergenti da dichiarazione del reddito di partecipazione conseguito dalla contribuente come socia di tale “Bar Pizzeria J. snc” fino alla data della dichiarazione di fallimento pronunciata il (OMISSIS).
La predetta CTR – dato atto che la contribuente aveva protestato che, trattandosi di debito relativo al periodo precedente alla dichiarazione di fallimento, la pretesa avrebbe dovuto essere avanzata con insinuazione nel passivo fallimentare – ha motivato la decisione evidenziando il curatore avrebbe dovuto presentare la dichiarazione dei redditi anche per i soci falliti personalmente, così che la pretesa dell’Erario sarebbe stata considerata e soddisfatta in sede fallimentare. L’omissione da parte del curatore rendeva perciò illegittimo qualsiasi atto di accertamento o di iscrizione a ruolo di somme a carico del socio tornato “in bonis”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte contribuente non si è difesa.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 42 e 120) la ricorrente si duole che il giudice di merito ha fatto erroneo governo della dianzi richiamata disciplina, supponendo che il debito del socio fallito dovesse essere necessariamente insinuato al passivo del fallimento (previa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del curatore), con conseguente illegittimità della pretesa nei confronti del fallito tornato in bonis.
Il motivo appare fondato e da accogliersi.
Ben vero, l’art. 120, dianzi menzionato prevedeva (nella versione antecedente alla novella del D.Lgs. n. 110 del 2006, novella non applicabile ai fatti di causa per ragione cronologica) che, a seguito della chiusura della procedura fallimentare, i creditori riacquistino il libero esercizio della azioni verso il debitore, non essendo la chiusura del fallimento ragione di estinzione dei crediti rimasti non soddisfatti. Perciò, legittimamente l’Erario ha proposto la sua pretesa nei confronti della contribuente, in ragione della dichiarazione da quest’ultima presentata e per crediti che non sono mai stati contestati nella loro esistenza, dopo la chiusura della procedura fallimentare, sia pure senza che ne fosse avvenuta insinuazione nel passivo del fallimento.
In termini si veda: “Tra gli effetti della chiusura del fallimento non è compresa la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare e, pertanto, ai sensi dell’art. 120 della legge fallimentare, i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore tornato in bonis per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi. Ne consegue che l’amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito tributario nei confronti del contribuente tornato in bonis (salvo che non ne sia decaduta L. Fall., ex art. 94), senza che – di per sè – la presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del curatore (e del fallito) possa aver comportato l’onere per l’amministrazione di insinuarsi nel passivo del fallimento”. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7563 del 15/05/2003).
In considerazione di tanto, codesta Corte potrà – previa cassazione della sentenza che non si è attenuta ai menzionati principi – e senz’altro provvederà anche nel merito (rigettando l’impugnazione del provvedimento di escussione), non necessitando accertamento di ulteriori elementi di fatto.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Roma, 15 settembre 2013.
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite possono essere regolate secondo il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente avverso il provvedimento impositivo. Condanna la parte contribuente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito e compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2014
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Numero Protocolo Interno : 219/2014