ISSN 2385-1376
Testo massima
“A seguito dell’azione proposta dal curatore fallimentare contro il terzo per la restituzione dei pagamenti eseguiti a suo favore dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento – azione che ha natura di accertamento dell’inefficacia dei pagamenti medesimi – sugli importi in restituzione sono dovuti gli interessi legali dalle date dei singoli pagamenti”.
E’ questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, sezione prima, con sentenza n. 26501 pronunziata in data 27/11/2013 in materia di restituzione dei pagamenti effettuati dal fallito in favore di un terzo, successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Nel caso di specie, la sentenza trae origine dal ricorso proposto dal curatore fallimentare di una società in nome collettivo avverso la decisione della Corte di Appello di Reggio Calabria che aveva dichiarato l’inefficacia, nei confronti del fallimento, del 50%, dei versamenti effettuati da uno dei soci sul conto corrente aperto presso la banca convenuta, e cointestato con la madre.
In particolare, la Corte territoriale ha respinto la tesi della curatela, secondo la quale l’art.44 L. F. comporterebbe, con l’inefficacia dell’intero rapporto di conto corrente, l’obbligo di restituire per intero all’amministrazione fallimentare le somme annotate in conto, siano esse rimesse sul conto, o invece prelievi o pagamenti a terzi, atteso che, in conseguenza di ciò, la banca sarebbe costretta a restituire un importo superiore al doppio di quello versato dal socio, con locupletazione da parte del fallimento.
Alla luce di tali considerazioni, i giudici della Corte di Appello hanno considerato corretta la decisione del primo giudice di limitare l’inefficacia al 50% dei versamenti sul conto cointestato, non essendo stato fornito alcun elemento in base al quale presumere validamente che la quasi totalità delle somme affluite sul conto fossero di pertinenza della fallita, come sostenuto dalla curatela.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha preliminarmente ritenuto infondata la tesi sostenuta dal curatore fallimentare secondo cui le somme dovute dalla banca in restituzione alla curatela sono tutte quelle corrispondenti alle operazioni eseguite dalla fallita sul conto corrente, siano esse di segno positivo (rimesse) o di segno negativo (prelievi e pagamenti a terzi), e quindi pari alla loro somma, in ossequio a quanto disposto dall’art. 44 L.F.
Ed infatti, l’obbligo restitutorio non può andare oltre il limite costituito dalle somme ricevute, e ciò vale per qualsiasi creditore che abbia ricevuto pagamenti da parte del fallito, secondo il dettato normativo del secondo comma dell’art.44 L.F.
Gli ermellini hanno poi ritenuto esistente, nella sentenza impugnata, la violazione dell’art. 44 nel trattamento degli interessi, fatti decorrere dalla domanda invece che dai singoli versamenti, sul presupposto della natura costitutiva dell’azione, scorrettamente equiparata alla revocatoria.
In conclusione, dunque, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata con riguardo al trattamento degli interessi in virtù di quanto statuito dall’art.44 L.F. secondo il quale “tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”, atteso che tale inefficacia è oggetto di un’azione di mero accertamento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3708/2007 proposto da:
FALLIMENTO DELLA ALFA S.N.C. di L.M. e M.L.A. nonchè dei SOCI M.L., MA.LI. A. e M.V., in persona del Curatore dott. S.F.,
(OMISSIS);
– ricorrente –
contro
BANCA
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 282/2005 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 15/12/2005;
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 21 luglio 2003, il Tribunale di Locri, accogliendo parzialmente la domanda proposta dal Fallimento della ALFA s.n.c. di M.L. e M.L. A., nonchè dei soci M.L., Ma.Li.A. e M.V., contro la Banca, dichiarò l’inefficacia nei confronti del fallimento, a norma della L. Fall., art. 44, del 50%, dei versamenti effettuati da Ma.Li. sul conto corrente aperto presso la banca convenuta, e cointestato con la madre di lei, Mu.Ro., oltre agli interessi.
2. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza 15 dicembre 2005, ha respinto, per quel che qui rileva, il gravame del fallimento. In particolare la corte territoriale, premesso che non vi era prova dell’uso del conto corrente per lo svolgimento di una nuova attività d’impresa da parte di Ma.Li., ha respinto la tesi della curatela, secondo la quale la L. Fall., art. 44, comporterebbe, con l’inefficacia dell’intero rapporto di conto corrente, l’obbligo di restituire per intero all’amministrazione fallimentare le somme annotate in conto, siano esse rimesse sul conto, o invece prelievi o pagamenti a terzi. Non potrebbe sostenersi, infatti, che la banca è tenuta a restituire alla massa un importo pari all’ammontare complessivo dei movimenti del conto, siano essi di segno positivo che negativo, perchè in tal caso la banca sarebbe costretta a restituire un importo superiore al doppio di quello versato dalla Ma., con locupletazione da parte del fallimento. La corte ha poi giudicata incomprensibile la tesi del curatore, che per il pagamento degli assegni sarebbe stato utilizzato anche un fido di Euro 10.000.000.
La corte ha infine considerato corretta la decisione del primo giudice di limitare l’inefficacia al 50% dei versamenti sul conto cointestato, non essendo stato fornito alcun elemento in base al quale presumere validamente che la quasi totalità delle somme affluite sul conto fossero di pertinenza della fallita, come sostenuto dalla curatela.
3. Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorre la curatela del Fallimento, in persona del suo curatore S. F., con cinque mezzi d’impugnazione, illustrati anche con memoria.
Resiste la banca con controricorso.
Motivi della decisione
4. Con il PRIMO motivo di ricorso, la curatela denuncia la violazione della L. Fall., artt. 42 e 44, artt. 1206 e 1719 c.c..
Sostiene che le somme dovute dalla banca in restituzione alla curatela sono tutte quelle corrispondenti alle operazioni eseguite dalla fallita sul conto corrente, siano esse di segno positivo (rimesse) o di segno negativo (prelievi e pagamenti a terzi), e quindi pari alla loro somma, perchè la L. Fall., art. 44, sancisce l’inefficacia di qualsiasi atto di natura patrimoniale effettuato dal fallito dopo la sua dichiarazione di fallimento.
5. La censura è infondata. Vero è che i prelievi dal conto fatti della correntista fallita, e i pagamenti eseguiti dalla banca a terzi sullo stesso conto sono inefficaci rispetto ai creditori. Ciò esclude che tali atti possano essere addotti dalla banca a giustificazione dell’uso fatto dei versamenti in conto, quale provvista dei pagamenti eseguiti a favore di terzi o dello stesso fallito, sicchè la stessa banca non è liberata dall’obbligo di restituire agli organi della procedura concorsuale quanto ricevuto dal fallito a qualsiasi titolo. E’ stato infatti chiarito che la deduzione dal debito restitutorio dei pagamenti eseguiti a terzi per conto del correntista fallito suppone la prova, gravante sulla banca, che le rimesse costituissero proventi di un’attività d’impresa. In ciò sta appunto la differenza tra le ipotesi contemplate nell’art. 42 e nella L. Fall., art. 44, giacchè solo nel caso dell’art. 42 – e non anche in quello della L. Fall., art. 44, la banca può sottrarre dal debito restitutorio l’importo dei pagamenti eseguiti per conto del fallito: in questi casi, la curatela ha facoltà di appropriarsi dei risultati positivi dell’indicata attività, “dedotte le passività incontrate” (L. Fall., art. 42 cpv.), e può reclamare dalla banca la restituzione soltanto del saldo attivo del predetto conto corrente (non già dei versamenti sul conto), corrispondente all’utile dell’impresa (Cass. Sez. un. 10 dicembre 1993 n. 12159).
Nel caso dell’art. 44 cit., la facoltà della banca di dedurre i prelievi del correntista e i pagamenti a terzi è invece esclusa, e la regola è stata correttamente applicata anche nel presente giudizio. Questo comporta, inoltre, che la banca, pur essendo venuta meno la provvista, in conseguenza della restituzione alla curatela, non avrebbe alcun titolo per l’insinuazione al passivo del fallimento delle somme prelevate dal conto da parte del correntista fallito o pagate dalla banca a terzi per conto del medesimo correntista.
L’obbligo restitutorio, tuttavia, non può andare oltre il limite costituito dalle somme ricevute, e ciò vale per qualsiasi creditore che abbia ricevuto pagamenti da parte del fallito, secondo quanto dispone la L. Fall., art. 44, comma 2.
A sostegno della sua tesi il fallimento ricorrente cita un precedente di questa corte (Cass. 1 agosto 1992 n. 9167), che non è tuttavia pertinente. In quel caso, infatti, non era in giudizio il fallimento, trattandosi di un pagamento fatto al terzo per conto di un soggetto fallito, ed essendo in giudizio soltanto il solvens e l’accipiens.
Non essendovi alcuna sopravvenienza da recuperare al fallimento, ma solo un pagamento eseguito dalla banca in forza di un ordine inefficace del fallito, e perciò in proprio, veniva in considerazione un indebito alla cui ripetizione non poteva che essere legittimato il suo autore. Ciò non implica che la banca dovesse pagare alla curatela fallimentare quanto aveva versato al terzo in mancanza di provvista, e quindi con mezzi propri.
6. Con il SECONDO motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 42 e 44, avendo la corte territoriale erroneamente omesso di dichiarare che il fido concesso dalla banca costituiva ab origine atto pregiudizievole L. Fall., ex art. 44, per il ceto creditorio, trattandosi di anticipazione di somme di pertinenza della procedura.
7. Il motivo non ha alcun fondamento. Dalla premessa che il fido, concesso dalla banca al soggetto fallito, è inefficace nei confronti della massa deriva bensì che la banca non ha titolo per trattenere i versamenti ricevuti nè per chiedere il pagamento del saldo passivo derivante dall’esecuzione del contratto; non deriva, invece, che il fallimento possa esigere le prestazioni di credito dovute dalla banca in forza dello stesso contratto inefficace.
8. Con il TERZO motivo la curatela sostiene che l’inefficacia giuridica del rapporto di conto corrente comporta l’inapplicabilità degli artt. 1854 e 1298 c.c., e ciò avrebbe la conseguenza che il fallimento assorbirebbe l’intero attivo, mentre gli altri cointestatari sarebbero onerati di far valere le loro pretese in sede fallimentare.
9. Anche questa tesi è infondata. L’inefficacia, invocata a fondamento di essa, riguarda le rimesse del solo fallito, che hanno depauperato il patrimonio della massa, e non c’è ragione per la quale dovrebbero essere inefficaci per i creditori le rimesse fatte dal cointestatario non fallito sul conto bancario. Nè poi l’inefficacia del contratto stipulato dal fallito giustifica la presunzione che tutte le somme versate sul conto corrente siano imputabili a luì piuttosto che al cointestatario, autorizzando il fallimento ad acquisire tutto quanto versato sul conto anche dal cointestatario.
10. Con il QUARTO motivo si denuncia la violazione dell’art. 44 nel trattamento degli interessi, fatti decorrere dalla domanda invece che dai singoli versamenti, sul presupposto della natura costitutiva dell’azione, scorrettamente equiparata alla revocatoria.
11. Il motivo è fondato. La L. Fall., art. 44, comporta l’inefficacia originaria degli atti compiuti dal fallito, e tale inefficacia è oggetto di un’azione di mero accertamento. Non si tratta dunque, in questo caso, di azione costitutiva, che come tale non potrebbe operare retroattivamente con riferimento a data anteriore alla domanda.
12. Con l’ultimo motivo si censura il mancato riconoscimento del maggior danno da svalutazione. Si sostiene che per tale credito non sarebbe necessaria una prova specifica, ma soccorrono le comuni presunzioni.
13. Il motivo è infondato. Trattandosi nella specie di ritardato adempimento di un’obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva solo qualora, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali (Cass. Sez. un. 16 luglio 2008 n. 19499). Questa circostanza doveva essere allegata, e occorrendo dimostrata dall’attore, e non è censurabile la decisione del giudice di merito che rigetta la relativa domanda la quale, senza allegare tali elementi, pretenda di fondarsi genericamente su presunzioni semplici.
14. In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo quarto, accolto. La causa, inoltre, può essere decisa anche nel merito, non richiedendosi a tal fine ulteriori indagini in fatto, con l’applicazione del seguente principio di diritto:
a seguito dell’azione proposta dal curatore fallimentare contro il terzo per la restituzione dei pagamenti eseguiti a suo favore dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento – azione che ha natura di accertamento dell’inefficacia dei pagamenti medesimi – sugli importi in restituzione sono dovuti gli interessi legali dalle date dei singoli pagamenti.
15. In ordine alle spese, il criterio seguito dalla corte territoriale, di compensarle in ragione della reciproca soccombenza, è applicabile anche in questa sede e si estende all’intero giudizio.
PQM
La Corte accoglie il quarto motivo e rigetta nel resto il ricorso;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito determina la decorrenza degli interessi sulle somme dovute al fallimento dai singoli pagamenti; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2013
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Numero Protocolo Interno : 718/2013