La legittimazione del curatore, alle impugnazioni riguardanti i beni sequestrati, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione degli stessi, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell’attivo fallimentare. Ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nell’art. 42 della legge fallimentare per il quale la dichiarazione di fallimento conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest’ultimo esistenti alla data del fallimento e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro. Non può pertanto essere impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, essi pure facenti parte dell’attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi. Ne consegue che il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini della confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Pres. Carcano – Rel. Zaza, con la sentenza n. 45936 del 13.11.2019.
Il massimo organo giurisprudenziale ha dato risposta al quesito se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento.
Le Sezioni Unite, nella propria motivazione ripercorrendo quelli che sono stati i precedenti della stessa Corte, hanno chiarito che l’affermazione della carenza di legittimazione in capo al curatore è stata limitata ai casi nei quali la dichiarazione di fallimento sia successiva al sequestro, risultando così ammessa la legittimazione del curatore all’impugnazione là dove il sequestro sia invece successivo alla dichiarazione di fallimento. Ciò ricordando la esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare, e quindi in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in questa condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela.
La decisione ricorda poi le pronunce che hanno ritenuta la possibilità della retrodatazione degli effetti del fallimento al momento della domanda di ammissione al concordato preventivo, in applicazione del principio di consecuzione fra le procedure fallimentari.
Le Sezioni Unite hanno individuato un dato certo di carattere normativo, ritenuto determinante per la soluzione della questione. Ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p., in materia di sequestro preventivo, tra i soggetti legittimati a proporre l’impugnazione, viene indicata anche la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Pertanto la persona alla quale le cose sono state sequestrate, e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, sono soggetti diversi e non coincidenti; per cui l’avente diritto alla restituzione può essere individuato in una persona diversa da quella a cui il bene è stato sequestrato.
Tale assunto, sulla qualificazione del curatore come persona avente diritto alla restituzione dei beni, nella sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata, consentono di riconoscere a tale soggetto la legittimazione all’impugnazione in materia di sequestri di beni facenti parte del compendio fallimentare.
Pertanto, sarebbe ingiustificata una limitazione della legittimazione del curatore alle impugnazioni riguardanti beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento, atteso che la legittimazione all’impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell’attivo fallimentare.
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