ISSN 2385-1376
Testo massima
“L’art. 560 comma 3° c.p.c. è norma del codice di rito compatibile con la liquidazione fallimentare prevista dall’art. 107 comma 2° L.F.;
l’ordine di liberazione dev’essere emesso dal Giudice Delegato (investito della liquidazione ex art. 107 comma 2° L.F.) al più tardi al momento dell’aggiudicazione del bene;
non necessariamente l’alienazione dell’immobile adibito a casa del fallito deve seguire la liquidazione degli altri cespiti;
in caso di liquidazione dell’immobile destinato ad abitazione del fallito, l’ordine di liberazione può essere emesso anche prima dell’aggiudicazione, purché sia iniziata la liquidazione di tale bene“.
Così si è pronunciato il dott. Giovanni Fanticini, nella qualità di Giudice delegato, della sezione fallimentare del Tribunale di Reggio Emilia, in data 26/10/2013 su richiesta del curatore il quale aveva optato per la vendita del bene immobile appartenente al fallito in sede fallimentare.
In particolare il curatore aveva chiesto l’emissione di un ordine di liberazione del cespite occupato dal fallito ponendo in tal modo una questione sulla eventuale antinomia tra l’art. 47 comma 2° L.F. (per la quale “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività“) e l’art. 560 comma 3 cpc che prevede l’obbligatorietà dell’emissione dell’ordine di liberazione, al più tardi al momento dell’aggiudicazione dell’immobile.
Il Giudice ha ben chiarito che il maggiore fattore disincentivante per le vendite giudiziali è rappresentato dalla occupazione del bene ragion per cui il legislatore, con la novella del 2006, ha inteso sanare tale criticità con l’introduzione dell’art. 560, terzo comma al fine di tentare una parificazione del mercato delle vendite immobiliari giudiziali con quelle private, recependo le prassi più virtuose.
Le innovate disposizioni del codice di procedura civile (dal 2006) rendono difatti obbligatoria l’emissione dell’ordine di liberazione e lasciano al giudice solo un margine di discrezionalità sul momento in cui emanare tale provvedimento, fermo restando il termine finale dell’aggiudicazione (atto esecutivo comunque antecedente al decreto di trasferimento, momento conclusivo della liquidazione).
La norma in questione, osserva l’adito Giudicante, è perfettamente compatibile al sistema fallimentare atteso che, l’art. 560 comma 3° c.p.c. è norma successiva all’art. 47 comma 2° L.F. (il testo originario del 1942 è rimasto indenne alle riforme) e già questo può essere individuato come motivo sufficiente per rilevare che lex posterior derogat priori: ciò significa che l’ordine di liberazione ben può essere emesso anche prima della conclusione della liquidazione dell’immobile adibito a casa del fallito (cioè, prima della sua vendita a terzi).
La decisione e la motivazione adottata dal Giudice delegato nella procedura concorsuale in oggetto è senza dubbio apprezzabile per aver individuato, in modo logico e coerente, gli effetti che tale norma produce in sede fallimentare.
In conclusione riprendendo quanto sopra esposto:
“l’art. 560 comma 3° c.p.c. è norma del codice di rito compatibile con la liquidazione fallimentare prevista dall’art. 107 comma 2° L.F. e l’ordine di liberazione dev’essere emesso dal Giudice Delegato al più tardi al momento dell’aggiudicazione del bene. In caso di liquidazione dell’immobile destinato ad abitazione del fallito, l’ordine di liberazione può essere emesso anche prima dell’aggiudicazione, purché sia iniziata la liquidazione di tale bene (che non necessariamente deve seguire la liquidazione degli altri cespiti).“
La mancata liberazione del bene immobile, salvo casi eccezionali, è da considerare senza dubbio il principale fattore disincentivante delle vendite sia per i costi e i tempi necessari per ottenere il rilascio del bene e sia per l’innegabile “condizionamento ambientale” generato dall’occupazione da parte del fallito il quale, com’è noto e notorio, spesso finisce per “devastare” l’immobile al momento della liberazione con la conseguenza che l’immobile acquistato giammai sarà conforme a quello riportato in perizia.
Per tutti questi motivi la liberazione del bene dovrebbe essere obbligatoria prima della vendita come avviene in tutti gli ordinamenti europei.
Testo del provvedimento
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
SEZIONE FALLIMENTARE
FALLIMENTO: Edil G.S. di P. G. Snc e dei soci P. G. e P. S. N. 2/2011
GIUDICE DELEGATO: Giovanni Fanticini
Vista l’istanza n. 3271/2013 presentata dal Curatore avv. Z. G. in data 15/10/2013
Il Giudice Delegato emette il seguente provvedimento
L’immobile destinato a casa di abitazione del fallito è stato da tempo posto in vendita e il Curatore ha optato per il metodo di liquidazione previsto dall’art. 107 comma 2° L.F., secondo cui la vendita è disciplinata “dalle disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”.
La questione da esaminare per provvedere sull’istanza del Curatore – che richiede l’emissione di un ordine di liberazione del cespite, occupato dal fallito – concerne l’apparente antinomia tra l’art. 47 comma 2° L.F. (norma che impedisce che “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, [possa] essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività“) e l’art. 560 comma 3° c.p.c. (disposizione che prevede l’obbligatorietà dell’emissione dell’ordine di liberazione, al più tardi al momento dell’aggiudicazione dell’immobile).
In primo luogo si osserva che la più recente giurisprudenza ha escluso che il riferimento alla “liquidazione delle attività” comporti l’alienazione della casa del fallito come ultimo atto della liquidazione (legittimando così il godimento sino a che non sono stati ceduti tutti gli altri cespiti dell’attivo); una simile interpretazione frustrerebbe le esigenze di efficienza e celerità che caratterizzano la procedura concorsuale riformata; appare preferibile, dunque, ritenere che l’immobile possa essere liquidato non appena si realizzino le condizioni favorevoli al miglior soddisfacimento dei creditori.
Del resto, diversamente opinando si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina della liquidazione fallimentare e quella dell’esecuzione individuale contro il fallito avente ad oggetto i medesimi beni. Infatti, sol che il Curatore prosegua un’esecuzione individuale pendente (ex art. 107 comma 6° L.F.) o che si verifichi l’ipotesi dell’art. 41 comma 2° T.U.L.B. (esecuzione promossa dal creditore fondiario contro il fallito, in deroga all’art. 51 L.F.), il fallito non potrebbe validamente invocare l’art. 47 comma 2° L.F. per ottenere un arresto del processo esecutivo o un suo rinvio.
Le innovate (dal 2006) disposizioni del codice di procedura civile rendono obbligatoria l’emissione dell’ordine di liberazione e lasciano al giudice solo un margine di discrezionalità sul momento in cui emanare tale provvedimento, fermo restando il termine finale dell’aggiudicazione (atto esecutivo comunque antecedente al decreto di trasferimento, momento conclusivo della liquidazione).
Si era infatti constatato che – oltre alla mancanza di un custode con incarico di fungere da “primo referente per gli interessati all’acquisto” e di collocare utilmente il bene (ruolo che spetta, nel fallimento, al curatore) – l’altro importante fattore che aveva determinato l’inefficienza delle procedure esecutive e la netta (e nociva) separazione tra il mercato delle vendite giudiziarie dal normale mercato immobiliare era costituito dall’incertezza sui tempi e sui costi della liberazione del cespite pignorato, incertezza che costituiva un “potente fattore disincentivante”: le cosiddette “prassi virtuose” (alle quali il legislatore della Legge 80/2005 ha attinto) avevano previsto, come snodo fondamentale, la liberazione del bene “a cura della procedura“, inserendo l’ordine di rilascio in un provvedimento autonomo rispetto al decreto di trasferimento (la cui natura di titolo esecutivo ex art. 586 comma 2° c.p.c. per ottenere l’effettivo possesso e godimento dell’immobile non era affatto idonea a scongiurare le esitazioni dei potenziali interessati all’acquisto). Il legislatore – proprio nell’intento di avvicinare, anche sotto il profilo dell’immediata disponibilità del bene, la vendita coattiva alla vendita volontaria – ha inequivocamente stabilito (all’art. 560 comma 3° c.p.c.) che “il giudice dispone … la liberazione dell’immobile pignorato” (sulla chiarezza di tale voluntas legis, si veda Cass. 22747/2011).
La norma menzionata, dunque, costituisce un punto fondamentale della liquidazione individuale (la previsione dell’ordine di liberazione è parte organica della disciplina della vendita, come lo sono – ad esempio – le norme che disciplinano le forme della pubblicità o il pagamento del prezzo mediante finanziamento bancario) ed è finalizzata a favorirla: non vi è motivo alcuno per ritenerla incompatibile con le disposizioni della Legge Fallimentare.
Peraltro, l’art. 560 comma 3° c.p.c. è norma successiva all’art. 47 comma 2° L.F. (il testo originario del 1942 è rimasto indenne alle riforme) e già questo può essere individuato come motivo sufficiente per rilevare che lex posterior derogat priori: ciò significa che l’ordine di liberazione ben può essere emesso anche prima della conclusione della liquidazione dell’immobile adibito a casa del fallito (cioè, prima della sua vendita a terzi).
Tuttavia, per dare compiuta motivazione di questo provvedimento, pare opportuno esaminare la locuzione “fino alla liquidazione delle attività“, contenuta nell’art. 47 comma 2° L.F., la quale segna il termine prima del quale non è possibile distrarre la casa del fallito da tale uso.
La liquidazione concorsuale è disciplinata nel titolo II, Capo VI (“Dell’esercizio provvisorio e della liquidazione dell’attivo“), Sezione II della Legge Fallimentare: la liquidazione delle attività è preceduta dal programma di liquidazione (art. 104-ter L.F.), si svolge con le forme previste dagli artt. 105 ss. L.F. e si conclude con l’alienazione dei cespiti; può, quindi, individuarsi un atto prodromico alle attività di liquidazione, le quali hanno inizio con la determinazione del curatore sulle specifiche modalità di alienazione e terminano (nel caso disciplinato dall’art. 107 comma 2° L.F.) con il decreto di trasferimento dell’immobile.
Non esiste una valida ragione per ritenere che il legislatore abbia voluto concedere al fallito la prosecuzione del godimento dell’abitazione sino al momento finale della liquidazione delle attività (decreto di trasferimento); anzi, le medesime ragioni di efficienza che hanno condotto alla ricezione delle “prassi virtuose” formatesi nelle esecuzioni individuali (motivazioni che non sono meno pregnanti nelle procedure concorsuali) suggeriscono l’opposta interpretazione: la dizione “fino alla liquidazione delle attività” può essere interpretata nel senso che “fino all’inizio della liquidazione delle attività” la casa del fallito non può essere distratta da tale uso.
Da ultimo, si è già accennato alle ipotesi di esecuzione individuale pendente proseguita dal Curatore (ex art. 107 comma 6° L.F.) o dal creditore fondiario (che, ai sensi dell’art. 41 comma 2° T.U.L.B., ha anche il potere di promuoverla ex novo). Non vi è dubbio che in queste fattispecie trovino integrale applicazione le norme del codice di rito (per l’esecuzione continuata dal curatore, l’art. 107 comma 6° L.F. stabilisce che “in tale caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile“, senza dettare alcuna riserva di compatibilità con la Legge Fallimentare; per le espropriazioni del creditore fondiario l’applicabilità è ovvia): deve ritenersi pienamente applicabile, dunque, anche l’art. 560 c.p.c. (che – si ripete – esclude categoricamente un rinvio dell’ordine di liberazione alla fase finale della vendita) e – salvo voler introdurre irrazionali disparità di trattamento non giustificabili (identici sono il cespite e il debitore e l’uso a cui il bene è destinato) – ciò vale ulteriormente a confortare la tesi secondo cui la casa del fallito può essere liberata anche prima del momento conclusivo della liquidazione (i.e., del decreto di trasferimento).
Riassumendo:
– l’art. 560 comma 3° c.p.c. è norma del codice di rito compatibile con la liquidazione fallimentare prevista dall’art. 107 comma 2° L.F.;
– l’ordine di liberazione dev’essere emesso dal Giudice Delegato (investito della liquidazione ex art. 107 comma 2° L.F.) al più tardi al momento dell’aggiudicazione del bene;
– non necessariamente l’alienazione dell’immobile adibito a casa del fallito deve seguire la liquidazione degli altri cespiti;
– in caso di liquidazione dell’immobile destinato ad abitazione del fallito, l’ordine di liberazione può essere emesso anche prima dell’aggiudicazione, purché sia iniziata la liquidazione di tale bene.
§§§
Venendo all’istanza del Curatore, si rileva che l’immobile di via R.Iotti 9/2 a Roncocesi (Reggio Emilia) non ha trovato aggiudicatari nei precedenti esperimenti di vendita e che lo stesso è tuttora abitato dal fallito: è ragionevole presumere che la prosecuzione dell’occupazione costituisca ostacolo alla liquidazione del cespite.
Alla luce di quanto sopra esposto, può quindi emettersi l’ordine di liberazione ex art. 560 comma 3° c.p.c. richiesto dalla Curatela.
P.Q.M.
visti gli art. 107 L.F. e 560 c.p.c.,
ORDINA
a P. S., nonché a chiunque altro occupi l’unità immobiliare sita in via R.I. 9/2 a Roncocesi (Reggio Emilia) di consegnare immediatamente tale bene, libero da persone e cose, al curatore del Fallimento Avv. G. Z..
L’esecuzione del presente ordine avviene a cura del curatore nelle forme previste dagli artt. 605 ss. c.p.c.
Reggio Emilia, li 26/10/2013
Il Giudice Delegato
(Giovanni Fanticini)
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Numero Protocolo Interno : 615/2013