LA MASSIMA:
In caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi dell’art.43 co.3 1. f., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art.305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 1. f. per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’art.176 co.2 c.p.c., va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima.
Questo il principio di diritto espresso dalla Cassazione Civile, Sez. Un., Pres. Spirito – Rel. Ferro con la sentenza n. 12154 del 07 maggio 2021, con cui è stato risolto il contrasto giurisprudenziale creatosi in relazione al dies a quo dal quale calcolare il termine per la riassunzione del giudizio conseguente alla dichiarazione di fallimento.
IL CONTESTO NORMATIVO:
ART. 43 L.FALL (REGIO DECRETO 16 MARZO 1942, N. 267) |
Testo originario – In vigore dal fino al 16/7/2006 |
Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore.
Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge. |
Testo modificato ex D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 – In vigore dal 17/7/2006 |
Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore.
Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge. L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo. |
Testo modificato ex D.L 27 giugno 2015, n. 83 – In vigore dal 21/8/2015 |
Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore.
Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge. L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo. Le controversie in cui è parte un fallimento sono trattate con priorità. Il capo dell’ufficio trasmette annualmente al presidente della corte di appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un fallimento e alla loro durata, nonché le disposizioni adottate per la finalità di cui al periodo precedente. Il presidente della corte di appello ne dà atto nella relazione sull’amministrazione della giustizia |
ART. 305 CODICE DI PROCEDURA CIVILE |
Testo originario – in vigore fino al 3/7/2009 |
Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue. |
Testo modificato ex L. 18 giugno 2009, n. 69 – in vigore dal 4/7/2009 |
Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue. |
IL CASO:
Una banca impugnava la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che aveva rigettato il suo appello avverso la sentenza del Tribunale di Siena la quale, in accoglimento della domanda di della società cliente, l’aveva condannata alla restituzione di interessi usurari e anatocistici indebitamente versati.
Il giudizio di appello veniva interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento dell’appellata e con l’atto di riassunzione la Banca insisteva nel gravame ma il Fallimento, costituendosi, ne eccepiva la tardività, invocando la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio stesso.
La Corte condivideva l’eccezione di intempestività della citazione in riassunzione, ritenendo che:
a) l’apertura del fallimento, ai sensi dell’art.43 co.3 L.f., determina l’interruzione del processo in modo automatico, cioè prescindendo dalla dichiarazione del procuratore della parte costituita;
b) la individuazione del dies a quo, da cui far decorrere il termine per la riassunzione in capo alla parte non colpita dall’evento interruttivo, coincide con la effettiva conoscenza legale dello stesso e, nella specie, troverebbe applicazione il regime trimestrale dell’art.305 c.p.c., come novellato dall’art.46 co.14 della legge 18 giugno 2009, n.69, in ragione della introduzione dell’appello dopo l’entrata in vigore della riforma;
c) a seguito del fallimento della società cliente pronunciato il 16 aprile 2014, la banca aveva ricevuto l’avviso ex art.93 l.f. [in realtà 92 l.f.] in data 3 maggio 2014, così insinuandosi al passivo il 10.6.2014;
d) il ricorso in riassunzione veniva depositato in data 29 aprile 2015, cioè posteriormente alla dichiarazione d’interruzione e notificato al curatore il 25 giugno 2015;
e) la predetta automaticità interruttiva trovava luogo nella vicenda, cui si applicava il precetto dell’art.43 co.3 l.f., norma processuale introdotta dal d.lgs. n.5 del 2006 e comunque come tale riferibile anche a fallimenti dichiarati successivamente alla riforma, posto che la disposizione s’imponeva a prescindere dal fatto che nel giudizio fosse stato parte sin dal suo sorgere il curatore o solo la società poi fallita;
f) non risultava essere stata specificamente contestata dalla banca la maturata conoscenza legale del fallimento della cliente alla data dell’avviso, avendo l’appellante circoscritto l’opposizione all’eccezione della curatela ad un rilievo di “inammissibile estensione della domanda“, senza prendere meglio posizione sul punto, così potendosi sostenere che, ai sensi dell’art.115 c.p.c., la predetta conoscenza risultava altresì “nello stesso processo in cui la relativa eccezione è stata fatta valere“;
g) era comunque esclusa la necessità, ai fini estintivi, di una conoscenza legale, nel senso di “acquisita non in via di mero fatto“, ma necessitante di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento, “assistita da fede privilegiata“, poiché la banca, ricevendo l’avviso dal curatore e poi insinuandosi al passivo, era a conoscenza dell’interruzione, oltre che del processo in cui essa operava;
h) di nessun rilievo, allo scopo d’invocare una costituzione del fallimento, erano le attività del procuratore della società cliente espletate con la dichiarazione del relativo fallimento, trattandosi di obbligo enunciativo scaturente dal mandato e diretto solo a far valere la declaratoria di fallimento a fini interruttivi, altro essendo il soggetto-curatore;
La Banca ricorreva per cassazione censurando:
a) con il primo motivo l’errata o falsa applicazione dell’art. 43, co. 3, l.f., in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., contestando che la comunicazione dell’avviso effettuata dal curatore alla banca, nella qualità di creditrice, e non invece al suo difensore, integri gli estremi della conoscenza legale, da cui far decorrere i termini per la riassunzione (peraltro pari a 6 e non a 3 mesi), posto che l’istituto, in una lettura costituzionalmente corretta, implica che l’esternazione dell’evento o la sua notifica avvengano formalmente nell’ambito del processo coinvolto dall’interruzione e da riassumere, in parallelo a quanto sostenibile, a parti inverse, ove sia il curatore interessato ad analoga iniziativa di ripresa del processo;
b) con il secondo motivo la violazione o falsa applicazione dell’art. 305 c.p.c., come modificato dall’art. 46, co. 14, legge n. 69 del 2009, avendo errato la corte a non considerare che il termine di tre mesi presente nella nuova formulazione dell’art. 305 cit. opera solo per i giudizi instaurati in primo grado dopo il 4 luglio 2009 e che, ai fini della tempestività della riassunzione, il riferimento è al momento del deposito del ricorso proposto dalla parte interessata a riattivare il procedimento e non all’atto di notifica del ricorso alla curatela;
c) con il terzo motivo l’errata o falsa applicazione dell’art. 11 preleggi e dell’art. 24 Cost., con riferimento al testo dell’art. 43, co. 3, l.f., dolendosi dell’affermazione del giudice distrettuale secondo cui la citata norma sarebbe di immediata applicazione, dunque idonea a regolamentare la discussa interruzione, nonostante il relativo giudizio civile sia stato introdotto nel 2002, dunque prima della già menzionata disposizione novellatrice del 2006;
d) con il quarto motivo l’errata o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., laddove la corte ha equivocato la condotta della banca che, non contestando il ricevimento dell’avviso del curatore, quale circostanza di fatto, ha comunque ed in realtà avversato il significato giuridico che da essa se ne voleva trarre, senza dunque alcuna acquiescenza all’eccepita estinzione;
La Prima Sezione civile, con ordinanza interlocutoria del 12 ottobre 2020, n.21961, ha quindi rimesso alle Sezioni Unite la questione della individuazione del dies a quo del termine di decadenza per riassumere, a cura della parte non colpita da fallimento, il processo che sia stato interrotto ai sensi dell’art.43 co.3 l.f.,; nella medesima pronuncia il Collegio ha altresì sottolineato l’esigenza di individuare quali atti o fatti siano idonei a concretizzare il dies a quo allorchè la prosecuzione del giudizio investa l’iniziativa del curatore fallimentare.
LA MOTIVAZIONE:
Il Supremo Collegio, nel pronunciarsi per l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, ha preliminarmente chiarito che, con riferimento alla modifica dell’art. 43, co. 3, l.f. il precetto era già vigente all’epoca della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento resa dal Tribunale di Ascoli Piceno il 16.4.2014 nei confronti della società e che, nella specie, doveva piuttosto effettuarsi una ricognizione temporale dei diversi eventi idonei al computo della decorrenza del termine per riassumere il processo interrotto in conseguenza del fallimento di una parte, con riferimento al regime processuale applicabile in rapporto alla riforma dell’art.305 c.p.c..
Ciò premesso, la Suprema Corte ha rilevato che nella fattispecie la Corte d’Appello aveva erroneamente computato un termine di tre anziché di sei mesi ai fini del proprio giudizio sulla causa di estinzione per mancata riassunzione, in quanto predetto termine “breve” è stato introdotto solo con la Legge 18 giugno 2009, n.69, la quale trova applicazione solo quanto ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, fissata al 4 luglio 2009.
A tal fine il “giudizio instaurato” – secondo orientamento costante della giurisprudenza di legittimità – non può che essere quello di primo grado (nella specie introdotto nel 2002), «restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio» poiché la disposizione esige che «il relativo giudizio sia stato ab initio instaurato» in epoca successiva alla citata entrata in vigore della novella.
Accolto quindi il secondo motivo di ricorso, la Corte ha esaminato le attività di riassunzione svolte dalla banca con riferimento al deposito in cancelleria del suo ricorso (avvenuto il 29 aprile 2015) rispetto alla dichiarazione giudiziale del fallimento della società cliente (pronunciata in causa il 9 dicembre 2014), puntualizzando che non è da ritenersi rilevante la più tardiva notifica alla curatela dell’atto di riassunzione, avvenuta il successivo 25 giugno 2015, dato che, “…il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 cod. proc. civ., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice”.
Definiti gli ambiti di rilevanza fattuale della controversia, il Supremo Collegio ha quindi specificato che:
– laddove il dies a quo per la riassunzione del processo fosse coinciso con la ricezione da parte del curatore dell’avviso destinato ai creditori (3 maggio 2014), o dall’insinuazione al passivo (10 giugno 2014), il termine semestrale dell’art.305 c.p.c. non avrebbe potuto dirsi rispettato, derivandone la tardività della riassunzione;
– laddove invece il dies a quo del termine semestrale per la riassunzione del giudizio fosse stato individuato nell’emissione della dichiarazione dell’interruzione del processo (avvenuta all’udienza del 9 dicembre 2014, dunque ivi conosciuta ex art.176 co.2 c.p.c.), attuata con il menzionato deposito del ricorso, l’estinzione non sarebbe dovuta essere dichiarata.
Sul punto i Giudici di legittimità hanno osservato che le modifiche introdotte prima all’ art 43 L. Fall, poi all’ art 305 c.p.c. hanno teso, da un lato, ad attenuare la durata dei fallimenti e dall’altro lato, ad istituire regole di trattazione selettiva per tutti i processi in cui assuma la qualità di parte l’organo concorsuale e che a fronte di tale contesto lo strumento individuato è consistito nella assimilazione della dichiarazione di fallimento ai comuni eventi interruttivi per i quali gli artt. 299 co.1, 300 co.3, 301 co.1 c.p.c. sanciscono che il processo è interrotto. Trattandosi di un effetto attrattivo che avviene ipso iure, ne discende che lo stesso si determina automaticamente con la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento.
Tuttavia il novellato art.43 co.3 l.f., non indica quale sia l’evento da cui decorre il termine per la riassunzione e dunque, finora, la tempestività dell’attività di parte è stata valutata alla luce dell’evoluzione interpretativa dell’art. 305 c.p.c..
Solo con il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, al comma 3 dell’art. 143 l.f., è previsto che il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice.
Rilevato ciò, la Suprema Corte ha quindi tentato di armonizzare le predette disposizioni al fine di determinare con esattezza da quale momento decorre il termine per la riassunzione.
Tale operazione ermeneutica è partita dal rilievo per cui la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità dell’art. 305 c.p.c., in relazione ai parametri degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui fa decorrere dalla interruzione del processo per l’apertura del fallimento, anziché dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo, il termine per la riassunzione ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita e dai soggetti che hanno partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento, con sentenza interpretativa di rigetto n. 17 del 2010 ha dato continuità ai princìpi espressi nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 305 c.p.c. in relazione alle ipotesi di interruzione ipso iure previste dagli artt. 299, 300 co.3, 301 c.p.c. ed ha aggiunto che, secondo consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità che ne era seguito, il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui di tale evento abbia avuto conoscenza «in forma legale» la parte interessata alla riassunzione, con la conseguenza che il relativo dies a quo «può ben essere diverso per una parte rispetto all’altra».
Posto che, dunque, la presa di conoscenza «in forma legale» dell’evento interruttivo automatico costituisce il fatto cui ancorare il dies a quo del termine per la riassunzione o prosecuzione del processo, la Corte ha dovuto determinare quali siano gli atti idonei ad integrare la suddetta conoscenza.
Dopo aver ripercorso i vari indirizzi giurisprudenziali alternatisi sul punto, i Supremi Giudici hanno osservato che dal confronto della disciplina interruttiva, non automatica, del processo secondo la regolazione dell’art.300 ai commi 1, 2 e 4 c.p.c., rispetto all’interruzione automatica prevista per il fallimento, si ricava che nella prima, ricorre un tradizionale rigore che si estrinseca nella irrilevanza di atti diversi da quelli tipici, nella seconda, invece, le forme di produzione della conoscenza dell’evento interruttivo in capo alla parte interessata a riassumere o proseguire il giudizio, non risultano, in generale, predeterminate dalla legge processuale.
A conclusione dell’articolato percorso argomentativo il Collegio, superando l’orientamento espresso dalla giurisprudenza della Corte con la sentenza 31010/2018, ha ritenuto fondato anche il primo motivo di impugnazione affermando l’inidoneità della comunicazione ex art. 92 l.f. dell’avviso al creditore (tanto più se personalmente attinto dall’atto) e non contenente uno specifico riferimento al processo in cui era parte il fallito, a costituire dies a quo per la riassunzione del medesimo, integrando il relativo termine, invece, la dichiarazione giudiziale d’interruzione pronunciata in udienza e, nella fattispecie, risultando tempestivo l’atto di riassunzione.
LA DECISIONE:
In conclusione, le Sezioni Unite Civili, con la pronuncia in commento hanno accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione la quale dovrà decidere sulla base del seguente principio di diritto: «in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo (con oggetto i rapporti di diritto patrimoniale) che ne deriva ai sensi dell’art.43 co.3 1. f., il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art.305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 1. f. per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, ove già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza ai sensi dell’art.176 co.2 c.p.c., va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata – ai predetti fini – anche dall’ufficio giudiziario, potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima».
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
QUAL È IL MOMENTO DA CUI DECORRE IL TERMINE PER LA RIASSUNZIONE DI UN PROCESSO IN CASO DI FALLIMENTO DI UNA DELLE PARTI?
Ordinanza | Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Cristiano – Rel. Falabella | 12.10.2020 | n.21961
TERMINE RIASSUNZIONE: DECORRE DALLA CONOSCENZA LEGALE DEL FALLIMENTO
IRRILEVANTE IL MOMENTO DELLA FORMALE DICHIARAZIONE DI INTERRUZIONE DEL GIUDIZIO
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, Dott. Gianluigi Morlini | 14.09.2017 | n.903
RIASSUNZIONE PROCESSO: IL DIES A QUO NON COINCIDE CON LA DATA DI APERTURA DEL FALLIMENTO
IL TERMINE DECORRE DAL MOMENTO IN CUI IL CURATORE HA AVUTO CONOSCENZA DEL GIUDIZIO DA INTERROMPERE
Ordinanza | Tribunale di Como, dott. Marco Mancini | 25.09.2015
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