ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art.2395 c.c., il terzo è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione ( di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall.
È quanto stabilito dalla Cassazione Civile, prima sezione, con la sentenza n. 8458 del 10/04/2014.
La vicenda all’esame della Suprema Corte riguarda una operazione di “spin-off” a seguito della quale la società “madre” era fallita dopo essere stata posta in liquidazione.
Ebbene, un creditore della società fallita agiva in giudizio contro gli ex amministratori della stessa per ottenere il risarcimento del danno ex art. 2395 c.c, per avere, gli stessi, posto in essere una serie di condotte tese al sostanziale svuotamento del patrimonio della debitrice. La Corte d’Appello adita dagli amministratori, però, riformava la sentenza di primo grado sostenendo che la domanda era fondata sull’allegazione di un fatto (lo svuotamento del patrimonio) non riconducibile alle previsioni di cui all’art. 2395 c.c. ma piuttosto a quelle ex art. 2394 c.c., disponendo l’inefficacia del sequestro conservativo.
La società debitrice proponeva, dunque, ricorso per cassazione deducendo l’erroneità dell’interpretazione della Corte Territoriale e chiedendo ai giudici di legittimità di chiarire come l’operazione di spin-off fosse rilevante sotto il profilo dell’art. 2395 c.c. qualora:
– a seguito della cessione vengono trasferite alla newco tutte le attività e le passività ad eccezione di una sola rilevante posizione debitoria che rimane in capo alla bad company;
– a seguito della cessione, e per effetto della medesima, la bad company successivamente fallisce con conseguente incapacità del patrimonio, inesistente, a soddisfare le pretese dell’unico creditore;
– se il creditore danneggiato sia legittimato ad agire ex art. 2395 c.c.
1.Le operazioni di spin-off: profili economico aziendali e responsabilità degli amministratori
Sotto il profilo economico-aziendale le operazioni di spin-off sono destinate a realizzare svariate finalità che spaziano da valutazioni di ordine strategico a valutazioni di tutela del patrimonio. A titolo esemplificativo si ricorre ad operazioni di questo genere per realizzare operazioni di concentrazione, per ottimizzare l’assetto organizzativo-produttivo, per operazioni di ristrutturazione finanziaria, per la liquidazione di imprese strutturalmente in perdita.
Tuttavia lo strumento può essere utilizzato anche per finalità personali dei soci. Così è possibile ricorrere ad operazioni della specie per sottrarre parte del patrimonio al rischio d’impresa. L’esempio classico è quello mirante a costituire una cassaforte di famiglia ove la società conferente trattiene il patrimonio immobiliare e conferisce alla newco il complesso aziendale. L’operazione è perfettamente legittima e, salvo ipotesi particolari, in caso di successivo fallimento di quest’ultima non si hanno conseguenze in capo alla società madre.
Ovviamente, se l’operazione è fraudolentemente posta in essere per colpire gli interessi di una parte, essa può essere sindacata e dare diritto al risarcimento del danno in applicazione del generale principio del neminem laedere in base al quale tutti sono tenuti al dovere (generico) di non ledere l’altrui sfera giuridica.
Laddove, pertanto, dovesse acclararsi che l’operazione è stata posta in essere con intento lesivo, sorge il problema di capire quali siano gli strumenti di tutela approntati dalla nostra legislazione.
Sul piano civilistico, il nostro codice regola diversi profili di responsabilità degli amministratori distinguendo quella verso la società amministrata da quella verso i creditori sociali, verso i soci e verso i terzi.
In particolare, l’art. 2394 c.c. disciplina la responsabilità verso i creditori sociali laddove il comportamento degli amministratori abbia contribuito a far si che la società procurasse un danno a terzi e che questi ultimi non abbiano potuto soddisfarsi a causa dell’insufficienza del patrimonio della società stessa.
L’art. 2395 c.c., invece, disciplina la responsabilità verso i soci o i terzi a condizione che siano stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, si tratta di una responsabilità extracontrattuale (aquiliana) che da diritto al risarcimento del danno ma che richiede di provare la colpa o il dolo in capo a chi esercita l’azione
Il primo presupposto per l’esercizio dell’azione ex art. 2394 c.c. è costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento del credito e appare come una conseguenza del generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Si tratta, allora, di individuare il nesso causale che lega l’incapienza del patrimonio a soddisfare l’obbligazione sociale al comportamento colposo o doloso degli amministratori. Già da tempo la Cassazione ha affermato il principio per cui la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali “si ricollega ad una insufficienza del patrimonio sociale, imputabile a colpa degli amministratori” (Cass., S.U., 6 ottobre 1981, n. 5241).
Naturalmente, a seguito dell’accertata incapienza patrimoniale determinata dal fatto negligente compiuto, si determina l’aggressione del patrimonio personale dell’amministratore. Ciò non può portare, tuttavia, a ritenere censurabili gli atti degli amministratori solo per effetto della successiva incapienza patrimoniale, essendo necessario che il singolo comportamento contrasti con gli obblighi posti a carico degli amministratori e sia la causa diretta della sopravvenuta insufficienza patrimoniale. Oltretutto il giudice non può essere chiamato “a sindacare ex post le scelte imprenditoriali ma solo censurare le violazioni di obblighi giuridici da essi eventualmente commesse” (App. Milano, 14 gennaio 1992).
In ordine all’onere della prova, non pare dubbio che il creditore sociale che esercita l’azione di cui all’art. 2394 c.c. debba fornire la prova della violazione colposa degli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale e la dimostrazione del nesso di causalità tra inadempimento e danno.
L’azione di cui all’art. 2395 c.c. disciplina la responsabilità conseguente ad atti dolosi o colposi degli amministratori che abbiano arrecato in via diretta un danno al patrimonio dei soci o dei terzi. Il presupposto delle due azioni (ex 2394 c.c. o 2395 c.c.) sta nella diversa incidenza del danno causato dagli amministratori nel senso che se il danno incide sul patrimonio sociale, e i soci subiscono indirettamente il danno derivante dall’incapienza patrimoniale, si ha l’azione ex art. 2394; viceversa, se il danno incide direttamente sul patrimonio del socio o del terzo, si ha l’azione individuale ex art. 2395 c.c. Per l’esercizio dell’azione individuale occorre, quindi, che il danno sia diretto e che si trovi in un rapporto di consequenzialità diretta con il fatto illecito degli amministratori come recentemente sostenuto anche da Cass. 22 marzo 2011 n. 6558.
2.La sentenza della Cassazione n. 8458 del 10 aprile 2014
Nel merito della vicenda, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso riprendendo il principio di carattere generale della giurisprudenza di legittimità secondo cui il terzo è legittimato all’azione individuale ex art. 2395 c.c. “in conseguenza di atti dolosi o colposi
.solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall.”.
Ora, se il principio espresso dalla Suprema Corte appare conforme ai principi di diritto oramai di generale accettazione, qualche perplessità sorge allorquando la stessa nel ritenere corretta la lettura dei fatti fornita dalla Corte d’Appello, ne censura la conclusione addotta ritenendo che si sia sottratta all’esame necessario al fine di ritenere o meno applicabile l’art. 2395 c.c.
In conclusione, quindi, la decisione in commento conferma i principi generali sopra delineati in ordine alle fattispecie regolate dagli articoli 2394 e 2395 c.c. Tuttavia dalla lettura della sentenza non può sostenersi che sia stata riconosciuta la tesi della curatela che ha ritenuto l’operazione di spin-off effettuata solo con l’intento di ledere quell’unico creditore rimasto insoddisfatto e incapace di agire nei confronti della newco, giacché la Cassazione ha solo ritenuto non sufficiente l’indagine esperita dalla Corte d’Appello per verificare se l’operazione straordinaria fosse esclusivamente finalizzata all’obiettivo lesivo specifico di sottrarsi all’obbligo dell’adempimento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fallimento D s.r.l.
– ricorrente –
CONTRO
EP, MS, VN
– controricorrente –
nonché sul ricorso incidentale condizionato proposto da:
EP MS , VN
-ricorrenti incidentali-
nei confronti di
Fallimento D s.r.l.
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova emessa in data 29 novembre 2006 e depositata il 6 dicembre 2006, R.G. n. 1836/2005
Rilevato che
1. Il Fallimento della D s.r.l. in liquidazione ha agito davanti al Tribunale di Genova nei confronti di M S V N e E P ex amministratori della M s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Venezia con sentenza del 20-23 dicembre 2003, per ottenere la loro condanna, ex art. 2395 c.c., al risarcimento dei danni subìti dalla D s.r.l. e quindi dal suo fallimento, a seguito di una serie di condotte intese al sostanziale svuotamento del patrimonio della M s.r.l., alla fraudolenta sottrazione della società, da loro amministrata, al fallimento e quindi al trasferimento di clientela e avviamento alla New M s.r.l.
2. Il Fallimento ha dedotto che la D s.r.l. aveva acquistato nel 1987 dalla M una partita di coils di acciaio (nastri di acciaio in rotoli per un peso di oltre 3.000 tonnellate) che la società venditrice aveva omesso di consegnare, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Venezia del 25 febbraio 1997, confermata in appello e passata in giudicato, con la quale era stata dichiarata la risoluzione del contratto di acquisto e pronunciata la condanna della M s.r.l. al pagamento in favore del fallimento D s.r.l. della somma capitale di 459.220.803 lire oltre interessi e rivalutazione. Dopo aver tentato inutilmente di ottenere il pagamento della predetta somma mediante azioni esecutive risultate infruttuose, il Fallimento aveva ottenuto dal Tribunale di Genova, con decreto del 28 luglio 2004, confermato con ordinanza del 15 settembre 2004, autorizzazione al sequestro conservativo sui beni e crediti dei predetti amministratori della M , fino a concorrenza di 1.400.000 euro e aveva quindi agito proponendo il giudizio di merito in cui accertare la responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c. con conseguente condanna in solido al risarcimento dei danni.
3. Si sono costituiti i convenuti e hanno eccepito l’incompetenza per territorio del Tribunale di Genova in favore del Tribunale di Venezia, la prescrizione del diritto fatto valere in giudizio e l’infondatezza della domanda proposta in base al disposto dell’art. 2395 c.c.
4. Il Tribunale di Genova ha accolto la domanda e ha condannato i convenuti al pagamento della somma di euro 1.400.000 a titolo di risarcimento del danno, con rivalutazione e interessi ulteriori, e al pagamento delle spese del giudizio.
5. La Corte di appello ha accolto l’appello degli ex amministratori della M s.r.l. ritenendo che la domanda era fondata sulla allegazione di un fatto (lo svuotamento del patrimonio e delle risorse di M s.r.l.) non riconducibile alla previsione dell’art. 2395 c.c. ma piuttosto a quella dell’art. 2394 c.c. La Corte distrettuale ha dichiarato l’inefficacia del sequestro conservativo e ha disposto la cancellazione della trascrizione effettuata. Ha compensato interamente le spese processuali dei due gradi del giudizio “in considerazione dei profili tecnici della ratio decidendi e degli aspetti di equità sostanziale inerenti alla fattispecie concreta”.
6. Ricorre per cassazione il Fallimento di D s.r.l. in liquidazione con unico motivo di ricorso con il quale deduce l’erroneità dell’interpretazione della Corte di appello e pone alla Corte di Cassazione i seguenti quesiti di diritto: a) se il comportamento degli amministratori di una società di capitali che procedono a una operazione di svuotamento delle attività sociali, attraverso una cessione senza corrispettivo delle stesse a favore di un’altra società, di cui essi stessi sono amministratori e soci, sia rilevante sotto il profilo dell’art. 2395 c.c. qualora: i) a seguito di detto comportamento tutte le attività e passività aziendali vengano trasferite ad altro soggetto, meno una sola ed unica rilevante posizione debitoria che viene fatta restare dentro la società originaria; ii) detto comportamento determini’ il fallimento della società creditrice; iii) il patrimonio di detta società si appalesi pertanto del tutto inesistente e incapace di soddisfare le pretese dell’unico rilevante creditore del fallimento per rilevante importo; b) se conseguentemente il creditore danneggiato dall’incapienza del patrimonio sociale determinata dall’anzidetto comportamento degli amministratori possa agire nei confronti dei soggetti responsabili con l’azione diretta ex art. 2395 c.c.
7. Si difendono con controricorso ed eccepiscono l’inammissibilità dell’impugnazione E P, V N e M S i quali propongono altresì ricorso incidentale condizionato basato su un unico motivo con il quale deducono la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il rigetto dell’eccezione di prescrizione sollevata nel giudizio di merito.
Ritenuto che
8. L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata.
In quanto la contestazione del fallimento ricorrente appare puntuale e specifica e consiste nell’aver recepito una nozione eccessivamente ristretta dell’art. 2345 c.c. Tale contestazione appare chiarita ulteriormente daí quesiti di diritto proposti dal ricorrente.
9. Va respinto anche il ricorso incidentale dei controricorrenti. In merito alla mancata prova del compimento del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria la motivazione della Corte di appelli appare puntuale e coerente nell’affermare che il fatto lesivo dal quale prende a decorrere il periodo quinquennale al quale si riferisce l’art.2947 c.c. deve intendersi nella sua complessità e va fatto coincidere con il compimento dell’evento lesivo che, nella specie, in assenza di una prova contraria, che incombeva sugli odierni ricorrenti incidentali, deve essere fatto corrispondere con la messa in liquidazione della società debitrice. A tale motivazione i ricorrenti incidentali non muovono delle critiche specifiche e pertinenti limitandosi a richiamare le prove in atti da cui poteva evincersi come l’incapienza della società da loro amministrata si fosse concretizzata in periodo antecedente alla messa in liquidazione. Tali osservazioni, oltre che generiche, non appaiono pertinenti perché l’evento lesivo qualificante ai fini della proposizione dell’azione risarcitoria ex art. 2345 c.c. non poteva che consistere in quello identificativo di una condotta degli amministratori diretta specificamente a pregiudicare la società creditrice.
10. Il ricorso principale è fondato. Secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Casa. civ., prima sezione, n. 6870 del 22 marzo 2010) in tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 cod. civ., il terzo è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 cod. civ., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall.
11. La Corte distrettuale genovese pur muovendo da una corretta e articolata identificazione della natura e delle funzioni delle norme dettate dal codice civile in tema di responsabilità degli amministratori perviene poi a una conclusione incoerente laddove, pur dando atto della ricostruzione, operata in primo grado dal Tribunale, della vicenda considerata lesiva dal fallimento D e cioè il progressivo svuotamento della società con l’intento della sottrazione non della generale garanzia a favore del ceto creditorio ma della garanzia di adempimento dello specifico credito della D , ne ha escluso la rilevanza, ai fini della applicabilità dell’art. 2395 c.c., in quanto tale comportamento, ascrivibile agli amministratori, era comunque consistito in una azione lesiva nei confronti della società da loro amministrata che aveva solo derivatamente prodotto un danno nei confronti della società D
12. Attraverso tale applicazione della norma in questione la Corte distrettuale si è venuta però a sottrarre all’esame, necessario in quanto prospettato dalla società attrice, della natura del danno subìto dalla società M e cioè se tale danno fosse da considerarsi meramente apparente, laddove avesse avuto ) realmente la funzione di tenere indenni sia i soci che gli altri creditori dalle conseguenze negative che sarebbero derivate dall’adempimento del debito nei confronti della società D In tale prospettiva l’esame del merito della controversia doveva condurre, al fine di ritenere o meno applicabile l’art. 2395 del codice civile, a ritenere o escludere che il danno subito dalla prima società M a seguito del suo svuotamento e della sua “duplicazione” nella società New M fosse esclusivamente finalizzato all’obiettivo lesivo specifico di sottrarsi all’adempimento nei confronti della D
13. Per questi motivi va respinto il ricorso incidentale e accolto quello principale con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Genova che, in diversa composizione, regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale e accoglie il principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Genova che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre 2013.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 311/2014