ISSN 2385-1376
Testo massima
Se prima del fallimento di uno dei debitori solidali il creditore non ha ricevuto alcun pagamento e si è insinuato al passivo fallimentare per l’intero suo credito, il subentro a lui, in quello stato passivo, del coobligato in solido sarà possibile solo se quest’ultimo abbia adempiuto all’intera obbligazione nei confronti di quel creditore.
E’ quanto disposto dal Tribunale di Napoli, Sezione Fallimentare, Giudice estensore, dott. Napolitano, a seguito di una istanza di insinuazione al passivo con riserva, proposta dai fideiussori del fallito.
In particolare, nella fattispecie di cui alla sentenza in esame, i ricorrenti fideiussori e/o concedenti garanzie reali a favore della società di seguito fallita, hanno chiesto l’ammissione al passivo con riserva dei crediti da regresso, alias dei crediti che sorgeranno in capo a loro dopo che saranno soddisfatti i creditori che avevano concesso i relativi finanziamenti.
Il Tribunale, dopo aver illustrato lo strumento dell’ammissione al passivo con riserva ex art. 96 lf dei crediti condizionali sub art. 55 lf, compie una attenta ed analitica disamina della detta normativa, anche in relazione ai successivi articoli 61 e 62 lf.
In particolare, viene correttamente evidenziato come l’art. 55 lf annoveri tra i crediti condizionali quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non dopo la infruttuosa escussione di un obbligato principale, qual è il caso del fallimento del fideiussore con beneficio di escussione del debitore principale o del fallimento di un obbligato sussidiario.
Diversa è, invece, l’ipotesi della fattispecie di cui alla sentenza in esame, ove il fallito è l’obbligato principale e i relativi fideiussori intenderebbero ottenere l’ammissione al passivo in via condizionata dei loro crediti da regresso, per il caso in cui le azioni esecutive intraprese dai creditori andassero a buon fine.
Il Tribunale, correttamente, rileva come tale fattispecie rientri nella previsione dell’art. 61 lf II comma, secondo cui “Il regresso tra i coobbligati falliti può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l’intero credito“.
Vi è, poi, la disposizione dettata dal primo comma secondo cui “il creditore di più coobligati in solido concorre nel fallimento di quelli tra essi che sono falliti, per l’intero credito in capitale e accessori, sino al totale pagamento“.
Da tale norma si possono, pertanto, evincere i seguenti principi:
nel caso in cui vi siano debitori tenuti in solido, il creditore può insinuarsi al passivo dei debitori falliti per l’intero suo credito;
le azioni di regresso verso il debitore fallito nascenti da adempimenti (pagamenti) successivi alla dichiarazione di fallimento non potranno essere esercitate (mediante l’insinuazione al passivo del credito di regresso) finché il creditore non sia stato soddisfatto per l’intero credito.
Il Tribunale, a questo punto, ritenuto che tale previsione normativa debba essere a sua volta distinta da quella del successivo art. 62 lf, relativa alla ipotesi in cui prima del fallimento il creditore abbia ricevuto da un coobligato in solido con il fallito un pagamento, ha statuito il seguente principio: “se prima del fallimento di uno dei debitori solidali il creditore non ha ricevuto alcun pagamento e si è insinuato al passivo fallimentare per l’intero suo credito, il subentro a lui, in quello stato passivo, del coobligato in solido sarà possibile solo se quest’ultimo abbia adempiuto all’intera obbligazione nei confronti di quel creditore.”
Muovendo da tale iter motivazionale, non essendo emersi dal ricorso e non essendo stata fornita prova che i crediti garantiti con ipoteca e con fideiussioni da parte degli odierni ricorrenti siano stati già integralmente soddisfatti, il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda di ammissione al passivo.
La decisione in oggetto ha fornito un attento esame delle diverse ipotesi che possono ricorrere nel caso di un creditore di più coobligati solidali, con una puntuale e corretta disamina della normativa vigente in caso di fallimento.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IL TRIBUNALE DI NAPOLI
SEZIONE VII
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
in composizione collegiale, nelle persone dei giudici:
dott. Lucio Di Nosse Presidente
dott. Giuseppe Dongiacomo Giudice
dott. Angelo Napolitano Giudice rel. est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
NELLA CAUSA TRA
S. D., S. DA., F.B., T.A
RICORRENTI
E
FALLIMENTO ALFA, in persona del curatore
INTIMATO CONTUMACE
Oggetto: insinuazione tardiva di credito
Conclusioni: come da verbale di udienza del 25/10/2012, che qui si abbiano per ripetute e trascritte.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con il ricorso introduttivo del giudizio i ricorrenti hanno premesso che il sig. S.G., rispettivamente marito e padre dei ricorrenti F.B., S.D. E S.DA., nonché questi ultimi, erano entrati a far parte della società ALFA ed avevano altresì acquisito la comproprietà dell’immobile nel quale veniva esercitata l’attività imprenditoriale.
In particolare, ai figli dei CONIUGI S. era toccata la nuda proprietà della terza parte delle quote sociali oltre che la nuda proprietà di un terzo dell’immobile aziendale; ai CONIUGI S., sugli stessi beni e nella stessa misura, l’usufrutto con diritto di accrescimento.
Gli altri soci e gli altri comproprietari dell’immobile erano i CONIUGI M. (per un terzo) ed il sig. T.A. (per l’altro terzo), anch’egli ricorrente nella presente sede.
L’immobile era stato concesso in locazione alla società per un canone di favore.
Dopo il sorgere di liti tra i soci, sfociate anche in contenziosi giudiziari, si era tentato di dare nuovo slancio all’attività imprenditoriale, tentativo consistito nel porre in essere una serie di operazioni.
Nel dettaglio, i ricorrenti hanno esposto quanto segue.
In data 19.4.2002 veniva stipulato un primo contratto di mutuo fondiario con il quale la BANCA concedeva alla società conduttrice l’importo di euro 2.583.000.
A garanzia del rimborso delle rate i soci si costituivano fideiussori e concedevano ipoteca di primo grado per euro 5.166.000 sull’immobile aziendale, di loro personale proprietà.
Il credito della banca era stato ceduto, in data 25.9.2008, alla sig. I.M. che, previa concessione del decreto ingiuntivo n.1352/2008, provvisoriamente esecutivo, reso, dalla sezione distaccata di Pozzuoli dell’intestato Tribunale, in danno anche degli odierni ricorrenti, pignorava l’immobile aziendale, che era anche di titolarità dei ricorrenti quali fideiussori e terzi datori d’ipoteca.
Contro il decreto ingiuntivo pende opposizione, tuttora in corso.
Veniva poi stipulato in data 23.4.2003 un contratto di finanziamento con il quale la banca concedeva alla società ALFA poi fallita, l’importo complessivo di 2.000.000 euro, anch’esso previa garanzia fideiussoria da parte degli istanti, oltre che iscrizione ipotecaria di secondo grado sull’immobile aziendale per l’importo di euro 3.560.000.
Anche in relazione a tale mutuo era stato emesso un decreto ingiuntivo da parte della sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale di Napoli contro i ricorrenti odierni, contro il quale tuttora pende opposizione.
Venivano, inoltre, stipulati cinque contratti di leasing tra BETA s.p.a. e la ALFA S.R.L. garantiti con fideiussioni anche dai ricorrenti. Il credito riveniente da tali contratti era stato ceduto alla GAMMA S.P.A. che aveva ottenuto in danno dei fideiussori il decreto ingiuntivo n.78/2009, reso dalla sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale di Napoli per un importo di euro 297.651,06, decreto avverso il quale pende tuttora opposizione.
Inoltre, la ALFA S.R.L. acquistava beni strumentali all’esercizio dell’azienda alberghiera da una società per un importo di euro 298.979,52, a credito.
Tale credito era garantito da cambiali sottoscritte dalla società ALFA S.R.L., poi fallita, ed avallate dai ricorrenti.
Il credito, poi, era stato ceduto alla DELTA S.R.L., alla quale erano state anche cedute le cambiali, in forza delle quali erano stati intrapresi dei processi di espropriazione forzata sia ai danni dei CONIUGI S., sia ai danni del sig. T.A.
Tutti i crediti garantiti risultano, per stessa deduzione dei ricorrenti, ammessi allo stato passivo del fallimento.
Inoltre, hanno dedotto i ricorrenti che la società fallita si era sottratta fin dall’inizio al pagamento dei canoni di locazione dell’immobile aziendale, tant’è che i ricorrenti avevano proposto azione di sfratto per morosità dinanzi alla sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale di Napoli.
I ricorrenti, poi, erano venuti a conoscenza che l’amministratrice della società fallita aveva affittato l’azienda alberghiera alla GAMMA S.P.A., riconducibile al gruppo imprenditoriale M.-C., con contratto del 30/3/2006.
Dopo la dichiarazione di fallimento della ALFA s.r.l., richiesta anche dagli odierni ricorrenti, la curatela fallimentare, previa risoluzione del precedente contratto di affitto del 30/3/2006, aveva nuovamente affittato l’azienda alberghiera alla GAMMA, con contratto del 27/7/2006.
La curatela fallimentare della ALFA s.r.l. aveva comunicato agli odierni ricorrenti l’affitto dell’azienda solo in data 25/9/2007, dopo cioè oltre un anno dalla stipulazione del contratto di affitto tra la curatela medesima e la GAMMA s.p.a.
Secondo i ricorrenti, l’affitto dell’azienda non sarebbe mai stato accompagnato dalla distinta cessione del contratto di locazione dell’immobile aziendale, ditalché la cessione avrebbe riguardato l’azienda, ma non anche l’immobile nel quale era esercitata l’attività alberghiera.
Sul punto, affermano i ricorrenti che il subentro nel contratto di locazione dell’immobile aziendale non discenderebbe direttamente e automaticamente dal contratto di affitto d’azienda, essendo necessaria l’adozione di un apposito e distinto patto volto a porre in essere la cessione del contratto di locazione.
Tale autonomo patto difetterebbe nel caso di specie, come, a dire dei ricorrenti, sarebbe stato affermato anche dalla curatela con una sua nota, allegata alla produzione dei ricorrenti, oltre che dal Giudice della sezione distaccata di Pozzuoli che ha pronunciato l’ordinanza di rilascio dell’immobile in data 9/6/2008.
I canoni di locazione immobiliare non pagati, dunque, si estenderebbero lungo l’intero rapporto locatizio, fino alla data del pignoramento dell’immobile aziendale locato, notificato in data 30/12/2008 ad istanza della sig. M.I..
I canoni di locazione, inoltre, sarebbero stati adeguati, negli importi, con deliberazione assembleare del 30/3/2003, che sarebbe munita di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Tanto premesso, i ricorrenti hanno chiesto l’ammissione al passivo del fallimento intimato, e non costituitosi nel presente giudizio, per i seguenti importi relativo a ciascuno degli istanti creditori:
1) la sig. F.B., “in prededuzione ex art.111 n.2 L.F. ed in via privilegiata ex art.2764 cc“, la complessiva somma di euro 381,292,03 oltre interessi, specificata dettagliatamente nelle conclusioni dell’atto introduttivo del presente giudizio;
2) il sig. T.A., “in prededuzione ex art.111 n.2 L.F. ed in via privilegiata ex art.2764 cc“, la complessiva somma di euro 381.292,03 oltre interessi, specificata dettagliatamente nelle conclusioni dell’atto introduttivo del presente giudizio;
3) i sigg. S.D., S.DA, F.B. E T.A., “in via chirografaria e per crediti condizionali da ammettersi con riserva per l’eventuale esercizio dell’azione di regresso nei confronti del debitore fallito“, per l’importo complessivo di euro 5.498.234,89, importo dettagliatamente specificato nelle conclusioni dell’atto introduttivo del presente giudizio.
4) I ricorrenti, nella contumacia della curatela fallimentare, hanno depositato memorie istruttorie ex art.183, sesto comma, cpc.
All’udienza del 25/10/2012 essi hanno precisato le loro conclusioni ed il Giudice ha assegnato la causa a sentenza concedendo il termine di sessanta giorni per il deposito di una comparsa conclusionale.
Il ricorso è infondato con riferimento ad entrambe le causae petendi sulle quali esso si fonda.
In particolare, quanto ai canoni locatizi insoluti, si osserva quanto segue.
Deve premettersi che l’ordinanza di rilascio dell’immobile aziendale pronunciata dal Giudice della sezione distaccata di Pozzuoli del Tribunale di Napoli in data 9/6/2008 non fa stato, in alcuna sua statuizione, nella presente sede giurisdizionale.
Essa, infatti, è stata caducata implicitamente con la sentenza n.11089/2011 emessa dalla stessa sezione settima del Tribunale di Napoli, in composizione monocratica.
Con quella sentenza, infatti, si è dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse ad agire della domanda di risoluzione del contratto di locazione immobiliare stipulato in data 6/11/1997, domanda proposta nelle forme di cui agli artt.658 ss. cpc.
Il custode giudiziario nominato dal G.E. dell’espropriazione immobiliare avente ad oggetto proprio il detto immobile ha risolto il contratto di locazione in corso con la curatela per stipularne un altro ex novo con la GAMMA S.P.A., facendo venir meno, dunque, il rapporto contrattuale di cui i S.-F. e il T.A. avevano chiesto giudizialmente la risoluzione, oltre che il titolo giudiziale (l’ordinanza ex art.665 cpc) in base al quale gli originari locatori avrebbero potuto ottenere il rilascio dell’immobile.
Ne è conseguita, dalla citata sentenza n.11089/2011, la implicita revoca dell’ordinanza di rilascio dell’immobile pronunciata dal Giudice della sezione distaccata di Pozzuoli, sicché nessuna delle affermazioni in quell’ordinanza contenute può essere fatta valere nella presente sede contenziosa.
Sgombrato il campo da ogni possibilità che la citata ordinanza di rilascio sia ancora giuridicamente esistente e possa fare stato nel presente giudizio, deve inoltre rilevarsi che con sentenza n.2288/2012 di questa settima sezione, in composizione collegiale, si è deciso che il rapporto di locazione iniziato in data 6/11/1997 tra i proprietari dell’immobile aziendale (locatori) e la società poi fallita (conduttrice) era passato in capo alla GAMMA S.P.A con contratto di affitto di azienda del 27/7/2006, azienda di cui l’immobile era parte integrante.
Con quella stessa sentenza del 2012, inoltre, si è deciso che la cessione del contratto di locazione era avvenuta contestualmente al contratto di affitto di azienda, e che l’opposizione, contro la cessione del contratto di locazione, proposta dai locatori odierni ricorrenti era infondata, per l’insussistenza dei gravi motivi di cui all’art.36 L. n.392/78.
Ebbene, il Collegio non può che confermare, anche in questa sede, quelle statuizioni, condividendone l’approdo e il percorso argomentativo.
Tra le statuizioni della richiamata sentenza del 2012, che espressamente il Collegio condivide, vi è anche quella che riguarda la mai avvenuta modificazione del canone fissato nel contratto di locazione stipulato nel 1997.
La misura di quel canone, infatti, si sarebbe potuta modificare solo con un accordo tra il rappresentante della società fallita e la parte (complessa) locatrice, a nulla valendo un atto interno alla società con il quale si fosse espressa la volontà unilaterale di modificarla.
Inoltre deve ribadirsi che, proprio per il fatto che l’ordinanza di rilascio dell’immobile aziendale è venuta giuridicamente meno in seguito alla sentenza del 2011 di questa stessa sezione, non fa stato in questo giudizio l’affermazione in essa contenuta secondo la quale la cessionaria del contratto di locazione, cioè la GAMMA S.P.A., si sarebbe rifiutata di adempiere integralmente l’obbligazione di pagare i canoni che non erano stati pagati dalla società fallita cedente, sicché si sarebbe concretizzata la condizione (inadempimento del pagamento dei canoni da parte del soggetto cessionario) alla quale l’art.36 L. n.392/78 subordina la richiesta di pagamento al soggetto cedente.
In realtà, il citato articolo stabilisce un “beneficium ordinis” a favore del soggetto cedente, in base al quale il locatore ceduto può rivolgersi a lui per l’adempimento dei canoni scaduti ed insoluti, esercitando contro di lui anche le relative azioni, solo dopo aver chiesto invano l’adempimento al cessionario del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, n.9486/2007).
Orbene, nella produzione degli odierni ricorrenti non vi è alcun atto di messa in mora indirizzato alla GAMMA S.P.A. anteriormente alla proposizione dell’odierno ricorso, sicché non può dirsi rispettata la condizione alla quale l’art. 36 della legge n.392/78 subordina l’esercizio della presente azione nei confronti della società fallita che con il contratto del 27/7/2006 aveva ceduto il contratto di locazione dell’immobile aziendale alla GAMMA S.P.A., cui aveva affittato l’azienda alberghiera.
Il rilievo del mancato rispetto del beneficium ordinis da parte degli odierni ricorrenti può essere esercitato dal Giudice d’ufficio, in base all’ormai consolidato orientamento delle sezioni unite della Suprema Corte (cfr. da ultimo SS.UU. n.4213/2013) secondo il quale le eccezioni rimesse esclusivamente alla parte interessata debbono essere limitate ai casi espressamente previsti dalla legge.
Basterebbe il rilievo del mancato rispetto del beneficium ordinis, dunque, per rigettare la domanda di ammissione al passivo dei ricorrenti con riferimento ai canoni di locazione insoluti.
Ma vi è di più.
La cessione del contratto di locazione immobiliare è avvenuta contestualmente alla stipulazione del contratto di affitto di azienda in data 27/7/2006 intervenuta tra la curatela del fallimento della ALFA S.R.L. e la GAMMA S.P.A.
Con la sentenza n.2288/2012 di questa stessa sezione, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, il Tribunale ha già statuito l’insussistenza dei gravi motivi su cui era fondata l’opposizione formulata avverso la cessione del contratto di locazione avvenuta contestualmente all’affitto d’azienda intercorsa tra la curatela del fallimento e la GAMMA S.P.A.
In verità, sebbene l’accertamento giudiziale della sussistenza dei gravi motivi non fosse stata principaliter chiesto dai ricorrenti di allora (i sigg. S. e la sig. F.), tuttavia quell’accertamento si è imposto, ed è stato effettuato per decidere sulla fondatezza della domanda di insinuazione tardiva di credito, proposta dagli allora ricorrenti, basata anche quella su due distinte causae petendi, una delle quali costituita da crediti per canoni locatizi asseritamente non corrisposti dalla ALFA S.R.L. in bonis e, successivamente, dalla curatela fallimentare.
Senza entrare in questa sede nella complessa tematica dei limiti oggettivi del giudicato civile, il cui esame con riferimento alla sentenza n.2288/2012 di questa sezione, peraltro, sarebbe prematuro, considerato che avverso la stessa pende tuttora gravame, il Collegio osserva che, essendo chiamato anche in questa sede alla decisione di una domanda di insinuazione tardiva di credito nel passivo fallimentare fondata, per una delle due causae petendi, su canoni locatizi asseritamente insoluti e relativi ad un rapporto di locazione immobiliare ceduto contestualmente alla stipulazione di un contratto di affitto di azienda in cui l’affittante era l’originaria conduttrice, non può esimersi dallo statuire sulla sussistenza dei gravi motivi dell’opposizione a suo tempo spiegata (ex art.36 L. n.392/78) avverso la cessione del rapporto di locazione operata dalla curatela in favore della GAMMA S.P.A., al fine di individuare anche in questa sede il soggetto tenuto ad adempiere all’obbligazione del pagamento dei canoni locatizi dovuti ai proprietari locatori dell’immobile aziendale ed asseritamente insoluti.
Ebbene, ritiene il Collegio di doversi riportare alle considerazioni fatte nella citata sentenza del 2012, condividendone, per la parte che qui rileva, cioè quella relativa al problema della sussistenza o meno dei gravi motivi a sostegno della opposizione spiegata dagli odierni ricorrenti alla cessione del rapporto locatizio dalla curatela a GAMMA S.P.A., il percorso argomentativo e l’approdo finale.
In definitiva, ribadisce il Collegio che quei gravi motivi non sussistono e che la cessione del rapporto locatizio è pienamente opponibile ai proprietari originari locatori.
Ciò chiarito, il Collegio ritiene indispensabili alcune precisazioni in merito alla portata dell’art.36 della legge n.392/78 ed in merito al rapporto intercorrente tra la disciplina recata dal citato articolo e quella generale sulla cessione del contratto recata dal capo VIII del titolo II del libro quarto del codice civile, intitolato alla cessione del contratto.
In particolare, occorre chiedersi quale sia il regime della responsabilità del cedente nei confronti del ceduto per le obbligazioni non adempiute e di quale tipo sia questa responsabilità, se cioè essa sia una responsabilità solidale “uguale” a quella del cessionario o sia una responsabilità sussidiaria rispetto a quella di quest’ultimo.
Ritiene il Collegio che la disciplina dettata dall’art.36 della legge n.392/78 sia in rapporto di specialità con la disciplina codicistica della cessione del contratto.
In particolare, e per quel che in questa sede rileva, gli elementi di specialità sono: la irrilevanza dell’accettazione della parte ceduta per il perfezionamento della fattispecie di cessione del contratto di locazione ex art.36 L. n.392/78, parte ceduta che ha solo una facoltà di proporre una opposizione invalidante rispetto ad una cessione che strutturalmente prescinde dal suo consenso; la mancata produzione, con la cessione di cui all’art.36 L. n.392/78, dell’effetto liberatorio del cedente, salva la dichiarazione di liberazione proveniente dal ceduto.
In particolare, quanto a quest’ultimo elemento di specialità evidenziato, non può non mettersi in evidenza, per quanto riguarda la posizione del cedente, il capovolgimento del rapporto tra liberazione dalle obbligazioni e conservazione delle stesse nel trapasso dalla disciplina generale di cui all’art.1408 cc alla disciplina speciale di cui all’art.36 L. n.392/78.
In particolare, la regola che si desume dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art.1408 cc è che, in caso di cessione del contratto, il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto, salvo che il contraente ceduto abbia dichiarato di non liberare il cedente, nel qual caso il ceduto può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte.
Inversa è la regola che si desume dal primo comma dell’art.36, primo comma, della legge n.392/78.
Secondo questa disposizione, “nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte“.
Nel caso di cessione del contratto di locazione contestuale all’affitto di azienda, dunque, il cedente non è liberato, salva la dichiarazione di liberazione da parte del locatore ceduto.
La diversità di disciplina dettata dall’art.36 della legge n.392/78 è coerente con la struttura della cessione della locazione.
Se, infatti, da un lato, per agevolare le vicende circolatorie dell’azienda intesa come “universitas“, la cessione del contratto di locazione unitamente all’affitto dell’azienda, di cui il bene oggetto della locazione faccia parte, non ha bisogno, come elemento costitutivo, dell’accettazione del locatore ceduto (salva la sua opposizione per gravi motivi, oggetto di vaglio giurisdizionale), dall’altro lato il locatore ceduto recupera protezione sul versante della tutela del suo credito, potendo contare, in caso di inadempimento, sia sulla responsabilità patrimoniale del cessionario, sia sulla responsabilità patrimoniale del cedente, a meno che lo stesso ceduto non abbia dichiarato di liberare quest’ultimo.
Deve notarsi, quanto alla specifico versante della responsabilità del cedente, che essa, sia nell’ambito della disciplina generale della cessione del contratto (art.1408 cc), sia nell’ambito della disciplina speciale della cessione della locazione, è delineata allo stesso modo, quale responsabilità sussidiaria rispetto a quella del cessionario.
Non ignora il Collegio che un recente arresto della Suprema Corte ha stabilito che “in caso di affitto di azienda con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda stessa è esercitata, la L. n.392 del 1978, art.36 non deroga al principio, ricavabile dall’art.1408 cc, per cui nei contratti ad esecuzione continuata o periodica il cedente risponde delle obbligazioni divenute esigibili anteriormente alla cessione ed inadempiute, in quanto prevede la responsabilità sussidiaria del cedente per le obbligazioni successive alla cessione del contratto di locazione che il cessionario non abbia adempiuto, ma non esime il cedente medesimo dall’adempimento delle obbligazioni sue proprie e già scadute alla data della cessione” (10964/2010, espressamente richiamata da Cass. n.25250/2011).
Tuttavia, il Collegio intende discostarsi da quest’insegnamento.
Dalla disposizione dell’art.1408 cc, infatti, non si ricava assolutamente il principio secondo il quale nei contratti ad esecuzione periodica o continuata la responsabilità sussidiaria del cedente varrebbe solo con riferimento alle obbligazioni maturate o scadute in data successiva alla cessione del contratto e non adempiute dal cessionario.
In vero, l’unico presupposto per l’applicazione della normativa codicistica sulla cessione del contratto è che il contratto oggetto di cessione sia a prestazioni corrispettive, e che queste ultime non siano state ancora eseguite (art.1406 cc).
Non è tratteggiata alcuna differenza di disciplina, quanto alla cessione del contratto, tra contratti ad esecuzione istantanea e contratti ad esecuzione periodica o continuata.
Né potrebbe sostenersi che il locatore, al momento della cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, abbia già adempiuto alle sue obbligazioni, sicché quella cessione comporterebbe un semplice accollo da parte del cessionario dei canoni non pagati da parte del cedente, con conseguente responsabilità solidale paritetica tra cedente e cessionario (cfr. art.1273, III comma, cc).
Tra le obbligazioni del locatore, infatti, vi è anche quella, di carattere positivo e permanente, di “mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto e di garantirne il pacifico godimento durante la locazione” (art.1575 cc).
Sono, queste, obbligazioni non frazionabili temporalmente, che richiedono un adempimento costante per tutta la durata della locazione e che non possono dirsi integralmente adempiute fino a che non sia scaduto il termine finale di efficacia della locazione.
In altri termini, all’atto della cessione del contratto di locazione, non può dirsi che il locatore abbia già integralmente adempiuto alle sue obbligazioni contrattuali, in quanto egli continua ad essere obbligato all’adempimento delle obbligazioni di cui ai nn.2 e 3 dell’art.1575 cc.
Ne consegue che sia per il pagamento dei canoni scaduti prima della cessione, sia per quelli scaduti dopo la cessione, è responsabile il cessionario e, in caso di suo inadempimento, il cedente.
In ogni caso, si deve dire che, nella fattispecie che ci occupa, non spetterebbero ai ricorrenti le somme da loro chieste a titolo di canoni locatizi, a prescindere dall’avvenuta messa in mora della gamma S.P.A. o dal suo rifiuto di adempimento.
Essi, infatti, hanno chiesto l’insinuazione delle somme per canoni locatizi nella misura asseritamente riveniente dalla delibera assembleare del 30/3/2003.
Ebbene, si è già detto, sia in questa sede che nella sentenza del 2012, che il contenuto di quella delibera è rimasto un “internum corporis” che non è mai stato trasfuso in un contratto tra le parti (locatrice e conduttrice) di modificazione della misura del canone.
Né vi è stata alcuna occupazione abusiva foriera per la società fallita o per la curatela fallimentare di responsabilità per danni.
Quanto all’altra ragione di credito di cui si è chiesta l’insinuazione nel passivo fallimentare di ALFA S.R.L., deve osservarsi quanto segue.
Gli odierni ricorrenti hanno chiesto l’ammissione con riserva dei crediti che sorgeranno in capo a loro dopo che saranno stati soddisfatti i creditori che hanno concesso finanziamenti alla società fallita, rispetto ai quali creditori essi ricorrenti si sono costituiti fideiussori e/o hanno concesso garanzie reali.
Risulta dallo stesso ricorso che i crediti da finanziamento sono stati ammessi allo stato passivo.
Sicché gli odierni istanti hanno chiesto l’ammissione dei loro crediti da regresso per il caso in cui le azioni esecutive intraprese dai creditori andassero a buon fine con la soddisfazione dei diritti di credito di questi ultimi.
Anche tale istanza di insinuazione è infondata.
Ai sensi dell’art.96 L.F., sono ammessi al passivo con riserva i crediti condizionati e quelli indicati nell’ultimo comma dell’art.55 L.F.
Orbene, i crediti condizionati sono quelli sottoposti a condizione sospensiva (lo si argomenta dal disposto dell’art.113 bis), nonché quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale.
Tra i crediti condizionati (o condizionali) non rientrano i crediti da regresso di cui i ricorrenti attuali chiedono l’insinuazione nel presente giudizio, in quanto per crediti condizionali debbono intendersi i crediti la cui esistenza è condizionata sospensivamente al verificarsi di un evento futuro e incerto.
I crediti di cui gli odierni ricorrenti hanno chiesto l’insinuazione nello stato passivo fallimentare, invece, dovrebbero nascere dal pagamento di crediti già esistenti e già insinuati nello stato passivo, sicché si pone il problema se nel sistema fallimentare vigente può ammettersi la coesistenza di più ammissioni al passivo nello stesso fallimento per crediti che abbiano la stessa radice causale.
La risposta è negativa.
Innanzitutto, si osserva come l’ultimo periodo del terzo comma dell’art.55 L.F. annovera tra i crediti condizionali, da ammettersi con riserva, quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non dopo la infruttuosa escussione di un obbligato principale.
E’ il caso, ad esempio, del fallimento del fideiussore con beneficio di escussione del debitore principale, o del fallimento di un obbligato sussidiario rispetto ad un obbligato principale.
Non vi rientra, pertanto, il caso che ci occupa, in quanto nella presente fattispecie il fallito è l’obbligato principale (ALFA S.R.L.), e nel fallimento già sono stati ammessi i crediti al cui soddisfacimento gli odierni istanti vorrebbero condizionare l’ammissione dei loro crediti da regresso.
Viceversa, nella fattispecie che ci occupa rileva la disposizione di cui al secondo comma dell’art.61 L.F.: “Il regresso tra i coobbligati falliti può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l’intero credito“.
A sua volta, il primo comma del testé citato articolo dispone che il creditore di più coobligati in solido concorre nel fallimento di quelli tra essi che sono falliti, per l’intero credito in capitale e accessori, sino al totale pagamento.
Ebbene, il principio espresso dalle citate disposizioni normative è quello che nel caso in cui vi siano debitori tenuti in solido, il creditore può insinuarsi al passivo dei debitori falliti per l’intero suo credito.
Le azioni di regresso verso il debitore fallito nascenti da adempimenti (pagamenti) successivi alla dichiarazione di fallimento non potranno essere esercitate (mediante l’insinuazione al passivo del credito di regresso) finché il creditore non sia stato soddisfatto per l’intero credito.
E proprio in ciò è la differenza tra il disposto dell’art.61 LF e quello dell’art.62 LF: che se prima del fallimento di uno dei debitori solidali il creditore non abbia ricevuto alcun pagamento e si sia insinuato al passivo fallimentare per l’intero suo credito, il subentro a lui, in quello stato passivo, del coobligato in solido sarà possibile solo se quest’ultimo abbia adempiuto all’intera obbligazione nei confronti di quel creditore (cfr. Cass. civ., sez. I, n.903/2008).
Sicché, non emergendo dal ricorso e non essendo stata fornita prova che i crediti garantiti con ipoteca e con fideiussioni da parte degli odierni ricorrenti siano stati già integralmente soddisfatti, la domanda di ammissione con riserva dei loro rispettivi crediti di regresso deve essere anch’essa rigettata.
In conclusione, il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Non avendo svolto la curatela attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Napoli,
Il Giudice estensore Dott. Angelo Napolitano
Il Presidente Dott. Lucio Di Nosse
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