Testo massima
Ai sensi e per gli effetti
dell’art. 111, comma 7 della Costituzione: “Contro le sentenze e contro i
provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali
ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di
legge”.
Il riferimento alla libertà
personale sembrerebbe limitare la portata dell’istituto al campo penale, ma da
sempre la Corte Suprema di Cassazione estese tale concetto ai procedimenti
civili, facendovi rientrare la libertà fisica ed in particolare ai diritti soggettivi dei cittadini, cioè
tutto il mondo di cose e diritti che si muovono intorno alla persona e
contribuiscono alla sua personalità, lesi da provvedimenti giurisdizionali.
I motivi per i quali è consentito
l’accesso al rimedio sono la violazione di legge ed il difetto di motivazione
(inteso come motivazione talmente scarna da impedire perfino l’individuazione
della ratio decidendi del provvedimento
impugnato).
Tanto premesso, l’argomento di
disquisizione in oggetto e confermato con la sentenza Cass. Civ., Sez. I del 13
marzo 2015, n. 5094 potrebbe sintetizzarsi in un’unica efficace perifrasi: NESSUN RICORSO STRAORDINARIO IN CASSAZIONE PER IL CURATORE REVOCATO.
In dettaglio, con la sentenza
5094/15 la S.C. conferma il proprio orientamento, formatosi prima della riforma
della legge fallimentare, in virtù del quale il decreto della Corte d’Appello,
con cui è confermato il provvedimento del Tribunale fallimentare che revoca il
curatore, non è ricorribile per cassazione, stante la natura meramente
ordinatoria del ruolo del curatore (chiarisce la Cassazione, trattasi “di atto
di amministrazione interno”).
In sintesi, contro il decreto di revoca,
emesso dal Tribunale di Napoli, dall’incarico di curatore del Fallimento della
Gestin Sud s.a.s, dichiarato nel 2009 e di altri dieci incarichi di curatore di
altrettante procedure concorsuali (otto delle quali iniziate prima dell’entrata
in vigore del d.lgs. n. 5/06), il ricorrente, dott. G.A., propose undici
distinti reclami che, previa precisazione formulata dal collegio giudicante
dell’intrinseca pluralità dei procedimenti, furono riuniti e decisi dalla Corte
d’Appello di Napoli con decreto del 28.03.2011. La corte esaminò nel merito, e
respinse, il reclamo proposto da G.A. contro il decreto di revoca dall’incarico
di curatore del Fallimento Gestin; mentre quanto ai reclami con i quali il
ricorrente si doleva della revoca dagli ulteriori incarichi, dichiarò
inammissibili quelli proposti contro i provvedimenti, non impugnabili, assunti
dal tribunale nell’ambito dei fallimenti soggetti alla disciplina anteriore all’entrata
in vigore del D.lgs. 5/06, mentre accolse quelli proposti contro i
provvedimenti assunti nei due fallimenti soggetti alla disciplina riformata.
Da qui, il ricorso straordinario
per cassazione, ex. art. 111, 7 comma Cost. avverso il decreto e affidato a tre
motivi di doglianza, ultimo dei quali volto a contestare l’esistenza dei presupposti
di fatto e di diritto per la revoca dall’incarico di curatore del Fallimento.
Il Fallimento della Gestin s.a.s.
ha replicato con controricorso con il quale ha eccepito in via preliminare
l’inammissibilità del ricorso.
Gli altri Fallimenti intimati non
hanno svolto attività difensiva.
All’uopo la Corte di Cassazione,
in accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, svolta in via
preliminare dal Fallimento Gestin, ha espresso il principio di diritto oggetto
di argomentazione chiarendo in modo lineare i motivi di tale inammissibilità.
La Corte precisa, infatti, che
nel vigore della legge fallimentare anteriore alla riforma introdotta dal d. lgs.
n. 5/06 ha costantemente affermato che il
provvedimento di revoca del curatore (che, secondo quanto espressamente
previsto dall’art. 23 I. fall., non era soggetto a gravame) non era ricorribile
per cassazione ai sensi dell’art 111, 7° comma, Cost., in quanto aveva natura
ordinatoria e non era destinato ad incidere su diritti soggettivi (Cass. nn.
7876/06, 17879/04, 6851/35, 3161/95, 2789/94, 4039/85).
Il principio si fondava e si
fonda sulla considerazione dalla natura pubblicistica degli interessi tutelati
dal fallimento e dell’ufficio affidato al curatore, confermata dal dato
testuale di cui all’art. 30 I. fall., rimasto invariato anche dopo il luglio
del 2006 e per cui, nell’esercizio delle sue funzioni, il curatore è da
intendersi quale pubblico ufficiale.
In tale quadro legislativo, il curatore non aveva alcun diritto alla
conservazione dell’incarico e poteva essere revocato in ogni tempo e per
qualsivoglia ragione, anche di mera opportunità, in vista del superiore
interesse al regolare svolgimento della procedura concorsuale.
All’uopo anche prima della
riforma del 2006 non si parlava, certo, di una discrezionalità illimitata nel
rimuovere il curatore dall’incarico; andava, certamente, considerata esclusa la
legittimità di una revoca immotivata o fondata su motivazioni irragionevoli,
ovvero rimessa al mero arbitrio del giudice, stante la potenziale lesione
dell’onore e della dignità del revocando. Tuttavia l’impossibilità per il
curatore di impugnare il provvedimento di revoca determinava nei suoi confronto
un vuoto di tutela del soggetto così revocato.
A tale inconveniente la riforma del
2006 ha posto in larga parte rimedio, stabilendo, all’art. 23, che la revoca
possa avvenire solo per giustificati motivi e prevedendo, all’art. 37, che il
decreto di revoca sia motivato e soggetto a reclamo ai sensi dell’art. 26.
Rispetto alla precedente
formulazione dell’art. 37 l. fall. si osserva ora un regime maggiormente
garantista ove il controllo della corte d’appello sul decreto di revoca
consente la caducazione dei provvedimenti che siano privi di motivazione o che
siano sorretti da motivazioni illogiche
e/o inadeguate.
Argomenta la Corte che nonostante
le nuove garanzie espresse con le modifiche del d.lgs. 5/06, ciò non è
sufficiente a far ritenere che nel regime attuale sia configurarle un vero e
proprio diritto soggettivo del curatore al mantenimento dell’ufficio.
“La posizione del curatore appare infatti tuttora quella di un organo
ausiliario dell’amministrazione della giustizia, tenuto all’adempimento dei
doveri del suo ufficio con la diligenza che può meglio consentire il
conseguimento dell’interesse, di natura pubblicistica, alla più sollecita
composizione del dissesto dell’impresa, cui si correla l’interesse strettamente
privatisco dei creditori ad ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni”.
D’altra parte, fermo restando il
ruolo del curatore nell’esercizio delle sue funzioni, anche dopo la riforma
della legge fallimentare, è rimasta invariata la regola secondo cui il tribunale
può in ogni tempo su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato
dei creditori o d’ufficio, revocare il curatore.
Rispetto alla precedente
formulazione, il decreto dovrà essere motivato, tenuto conto della clausola
generale contenuta nell’art. 23, che subordina la revoca a giustificati motivi
che possono assurgere anche a ragioni estranee alla persona del curatore e rilevanti
solo ai fini della quintessenza della procedura.
Ad avviso del collegio giudicante
anche dopo l’entrata in vigore della riforma della legge fallimentare è
possibile affermare che la nomina a curatore del fallimento ed il mantenimento
dell’incarico rispondono all’esigenza, super individuale e non riconducibile al
mero rapporto con i creditori, del corretto svolgimento e del buon esito della
procedura,”permane, in definitiva, la non
configurabilità di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante del
curatore, cui corrisponde la natura meramente ordinatoria (di atto di
amministrazione interno) e non decisoria tanto del decreto di accoglimento o di
rigetto dell’istanza di revoca quanto del provvedimento, di conferma o di
riforma del decreto, emesso dalla corte d’appello in sede di reclamo. Va
pertanto escluso che contro il provvedimento possa proporsi ricorso
straordinario per cassazione”.
In ragione dell’assoluta novità
della questione giuridica trattata dalla sez. I della corte di cassazione, il collegio
ha stabilito l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio e
nel merito dichiarato inammissibile il ricorso.
Testo del provvedimento
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