ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza n.16084 del 21/09/2012 la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di fallimento il privilegio generale sui beni mobili del debitore riconosciuto dall’art.2752 cc, comma 3, ai crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute secondo le norme relative all’imposta sul valore aggiunto si estende, ai sensi dell’art.2749 cc, richiamato dalla Legge Fallimentare, art.54, anche al credito per interessi, ma solo nei limiti di quelli dovuti per l’anno in corso alla data di apertura della procedura concorsuale e per l’anno anteriore, nonché di quelli maturati successivamente in misura legale fino alla data di deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto sia pure parzialmente.
In sintesi, sostengono gli ermellini, al credito per interessi si estende lo stesso privilegio sui beni mobili del debitore riconosciuto ai crediti dello Stato per imposte, pene pecuniarie e soprattasse dovute secondo le norme relative all’IVA.
Tale privilegio, incontra, tuttavia, una limitazione temporale, che si individua nell’anno in corso alla data di apertura della procedura concorsuale, quello precedente e gli interessi maturati successivamente in misura legale fino al deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto sia pure parzialmente.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
EQUITALIA SPA;
RICORRENTE
Contro
FALLIMENTO GIALLO;
INTIMATO
e AGENZIA DELLE ENTRATE;
INTIMATA
avverso il decreto del Tribunale di Terni depositato il 20 maggio 2010;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – EQUITALIA SPA propose opposizione allo stato passivo del fallimento GIALLO, chiedendo l’ammissione al passivo in via privilegiata, ai sensi dell’art.2752 cc, comma 3, dell’importo relativo agl’interessi dovuti su crediti per imposta sul valore aggiunto, nonchè dell’importo relativo agl’interessi maturandi sui medesimi crediti.
1.1. – Con decreto del 20 maggio 2010, il Tribunale ha rigettato l’opposizione, ritenendo applicabile la regola generale di cui all’art.2749 cc, comma 1, secondo periodo.
Ha infatti escluso che a tale regola introducano una deroga l’art.2752, comma 3, riguardante esclusivamente i crediti per imposte, pene pecuniarie e soprattasse previste dalla normativa in materia di IVA, o il D.P.R. 29 settembre 1973, n.602, artt.20 e 30, i quali si limitano a legittimare, decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, la produzione d’interessi di mora sulle somme iscritte a ruolo, a loro volta comprensive degli interessi maturati.
Ha aggiunto che, ai sensi dell’art.30 cit., gl’interessi moratori possono essere riconosciuti subordinatamente all’avvenuta notifica della cartella di pagamento in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, nella specie non provata per tutti i crediti ammessi, e comunque nei limiti previsti dalla Legge Fallimentare, art.54, u.c., che in ordine al privilegio richiama l’art.2749.
Il Tribunale ha confermato inoltre l’esclusione del privilegio sugl’interessi maturati nell’anno in corso alla data della dichiarazione di fallimento e nell’anno anteriore e sui crediti IVA, ritenendo che, ai fini della relativa domanda, non fosse sufficiente l’indicazione dell’importo complessivamente dovuto, ma occorresse, ai sensi della Legge Fallimentare, art.93, comma 3, n. 2, la specificazione dei criteri applicati ai fini del calcolo.
Quanto agl’interessi maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento, ha ritenuto che il privilegio fosse limitato al tasso legale individuato in via generale dall’art.1284 cc, osservando che, anche alla luce del principio della par condicio creditorum, il dettato della Legge Fallimentare, art.54, deve essere considerato prevalente sul riferimento a tassi d’interesse previsti in misura superiore da leggi diverse dal codice civile.
2. – Avverso il predetto decreto propone ricorso per cassazione EQUITALIA SPA, succeduta ad EQUITALIA TERNI SPA a seguito di fusione per incorporazione, per due motivi. Il fallimento e l’Agenzia delle Entrate non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il PRIMO motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso che il privilegio di cui all’art.2752 cc, comma 3, si estenda agl’interessi, compresi nel credito per imposta.
Sottolinea in proposito il trattamento privilegiato previsto dal D.P.R. n.602 del 1973, art.89, per i crediti d’imposta, i cui pagamenti sono sottratti all’azione revocatoria, e la mancanza dell’espressa previsione di un trattamento differenziato, sul tipo di quello contemplato dall’art.2752, quarto comma, per i tributi locali, osservando che l’inapplicabilità dell’art.2749, è confermata dall’art.2745, ai sensi del quale il privilegio è accordato in considerazione della causa del credito, e dal D.P.R. n.602 del 1973, artt.20, 30, 49 e 12 bis, che prevedono il pagamento e la riscossione in via unitaria del capitale e degli interessi di mora.
Premesso inoltre di aver chiaramente indicato nella domanda di ammissione al passivo tutti gli elementi necessari per l’individuazione del biennio di riferimento, scorporando l’importo dovuto per interessi soltanto a fini descrittivi, sostiene che le cartelle esattoriali sono state regolarmente notificate, affermando che eventuali censure al riguardo avrebbero dovuto essere sollevate nella sede opportuna.
1.1. – Il motivo è infondato nella parte riguardante la collocazione dell’intero importo dovuto per interessi con il privilegio che assiste il credito per imposta.
L’art.55, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, nel prevedere che la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, fa infatti salvo quanto disposto dall’art.54, comma 3, il quale, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 16 gennaio 2006, n.5, richiamava, per quanto concerne l’estensione del diritto di prelazione agli interessi, soltanto gli artt.2788 e 2855 cc, dettati in tema di pegno ed ipoteca, equiparando la dichiarazione di fallimento all’atto di pignoramento, senza fare alcun cenno al l’art.2749 cc.
Il mancato richiamo di quest’ultima disposizione era stato inteso dalla giurisprudenza di legittimità non già come un lapsus, ma come il frutto di una scelta consapevole del legislatore, per effetto della quale doveva ritenersi che gli interessi prodotti dai crediti garantiti da privilegio generale o speciale, sia per il tempo successivo che per quello anteriore all’apertura della procedura concorsuale, non fossero assistiti dal privilegio che tutelava il credito per capitale; diversamente, infatti, gl’interessi avrebbero dovuto essere ammessi al passivo con prelazione senza i limiti temporali previsti dall’art.2749, in tal modo accordando al creditore privilegiato, in sede concorsuale, una tutela più ampia di quella riconosciutagli nell’esecuzione individuale o di quella prevista dagli artt. 2788 e 2855 c.c., per il creditore pignoratizio o ipotecario (cfr. tra le altre, Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2000, n. 7; 15 marzo 1982, n. 1670; Cass., Sez. I, 24 maggio 2000, n. 6787; 8 maggio 1995, n 5020).
Con sentenza n. 162 del 2001, peraltro, la Corte costituzionale evidenziò l’unitarietà della disciplina sostanziale delle cause legittime di prelazione, riferibile tanto all’esecuzione individuale quanto a quella concorsuale, reputando ingiustificata la disparità di trattamento che la Legge Fallimentare, art.54, comma 3, introduceva tra i creditori privilegiati a seconda che avessero agito nell’una o nell’altra sede, e dichiarò pertanto l’illegittimità costituzionale della predetta disposizione, nella parte in cui non richiamava, ai fini dell’estensione della prelazione agli interessi, anche l’art.2749 cc, ai sensi del quale il privilegio accordato al credito si estende agl’interessi, nei limiti di quelli dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento e per l’anno precedente, nonchè di quelli successivi in misura legale fino alla data della vendita.
Alla luce di tale pronuncia, il cui contenuto è stato poi recepito nel nuovo testo dell’art.54, questa Corte ha affermato che gl’interessi sui crediti d’imposta continuano a maturare ed essere assistiti da privilegio anche dopo la dichiarazione di fallimento (cfr. Cass., Sez. V, 3 maggio 2005, n. 9147).
Il medesimo principio ha poi trovato applicazione anche in tema d’imposta sul valore aggiunto, in riferimento alla quale e stato affermato che la natura privilegiata del credito, prevista dal D.P.R 26 ottobre 1972, n. 633, art.62, comma 3, comporta che l’assoggettamento del contribuente a procedura concorsuale non sospende la decorrenza degl’interessi dovuti per il ritardo nel versamento dell’imposta, a far tempo dalla data di apertura della procedura (cfr. Cass., Sez. 5^, 17 aprile 2009, n. 9106; 11 novembre 2005, n. 22881).
In realtà, il predetto orientamento affronta solo una parte della problematica in esame, dal momento che, come è stato opportunamente sottolineato in dottrina, l’effetto dell’ampliamento dell’ambito applicativo dell’art.54 è duplice, nel senso che l’estensione del privilegio che assiste il credito per capitale non vale solo a consentire la maturazione degl’interessi in pendenza della procedura concorsuale, ma ridisegna al tempo stesso la sfera di operatività della prelazione, la quale risulta ora estesa anche agli interessi, ma solo nei limiti di quelli dovuti per l’anno in corso alla data della dichiarazione di fallimento e per l’anno precedente, nonchè di quelli successivi in misura legale, come previsto dall’art.2749 cc.
1.1.1. – La ricorrente contesta tale conclusione, accolta dal decreto impugnato, sostenendo che nella specie la misura degl’interessi da collocare in via privilegiata dev’essere desunta dall’art.2752 cc, comma 3, il quale, nell’accordare un privilegio generale mobiliare ai crediti dello Stato per imposta sul valore aggiunto, nonché a quelli per pene pecuniarie e soprattasse (richiamo, quest’ultimo, da intendersi ora sostituito con quello al credito per sanzioni amministrative pecuniarie, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.472, art.26), non pone limitazioni di carattere temporale o quantitativo, in tal modo dettando una disciplina speciale che prevale su quella generale di cui all’art.2749.
Quest’affermazione non trova peraltro riscontro nella lettera della norma invocata, la quale non fa alcun riferimento al credito per interessi, non richiamato neppure negli artt.2758 e 2772 cc, che, in relazione alle fattispecie nelle quali il cessionario o il committente è tenuto, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.471, art.6, comma 8, a regolarizzare l’operazione posta in essere dal cedente o dal commissionario senza emissione di fattura o con fattura irregolare, accordano allo Stato rispettivamente un privilegio speciale mobiliare ed uno immobiliare sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio prestato il credito per interessi non risulta menzionato nemmeno nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.62, in cui si rinviene la disciplina originale dei privilegi che assistono i crediti per imposta sul valore aggiunto, successivamente trasfusa nel codice civile ad opera della L. 29 luglio 1975, n. 426.
Nessun elemento a favore della tesi sostenuta dal ricorrente può poi desumersi dall’art.2752, comma 4, il quale, nell’accordare ai crediti aventi ad oggetto i tributi degli enti locali un privilegio di grado pari a quello dei tributi dello Stato, ma subordinato a quest’ultimo, non introduce alcuna distinzione tra il credito relativo al tributo e quello relativo agl’interessi, ma prevede un trattamento globalmente differenziato tra le entrate tributarie locali e quelle erariali
1.1.2. – E’ pur vero che gl’interessi partecipano della stessa natura dell’imposta, costituendo il relativo credito un accessorio naturale e necessario di quello riguardante il tributo, al pari dell’indennità di mora già prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n.602, art.30, in materia di imposte sul reddito, in riferimento alla quale questa Corte ha ammesso l’applicabilità del privilegio di cui all’art.2752 cc, comma 1, pur in mancanza di un’espressa previsione normativa, proprio in considerazione del carattere accessorio di tale indennità, avente la specifica funzione di reperire le entrate necessarie per far fronte ai costi organizzativi dell’amministrazione tributaria (cfr. Cass. Sez. 1, 25 gennaio 1997, n. 780; 13 dicembre 1994, n. 10619).
Così come, per converso, il difetto del predetto carattere ha condotto ad escludere l’applicabilità del medesimo privilegio al credito avente ad oggetto le soprattasse dovute per omesso pagamento delle imposte sul reddito, affermandosi che le stesse, oltre a non essere menzionate nell’art.2752, comma 1, non hanno natura risarcitoria, ma afflittiva, essendo esplicitamente annoverate fra le sanzioni a carico del contribuente, e non sono quindi riconducibili all’ambito di operatività della predetta disposizione, non suscettibile di applicazione analogica, avuto riguardo al carattere eccezionale delle norme che disciplinano le cause di prelazione ed alla tassatività delle fattispecie da esse contemplate (cfr. Cass., sez. 1, 24 gennaio 1995, n. 838; 29 ottobre 1994, n. 8930).
L’accessorietà degl’interessi rispetto all’imposta, se può giustificare la collocazione del relativo credito con il medesimo privilegio previsto per quello principale, non è però sufficiente a far ritenere che la prelazione si estenda all’intero importo dovuto, senza limitazioni di carattere temporale o quantitativo, non rinvenendosi nella disciplina dell’imposta o del privilegio norme specifiche che introducano deroghe alla disposizione di carattere generale contenuta nell’art.2749 cc.
Tale disposizione, peraltro, costituisce a sua volta una deroga al principio di specialità della garanzia, giustificata dall’accessorietà del credito per interessi rispetto a quello per capitale, la quale comporta l’estensione al primo della prelazione accordata al secondo, in considerazione dell’identità della causa dei due crediti, ritenuta dal legislatore meritevole di particolare tutela; tale tutela, tuttavia, non si spinge fino al punto di legittimare il riconoscimento della prelazione all’intero credito per interessi, avendo il legislatore inteso contemperare l’interesse del creditore privilegiato con quello dei creditori chirografari mediante una disciplina, analoga a quella dettata dagli artt.2788 e 2855 cc rispettivamente per il pegno e l’ipoteca, volta ad evitare che il ritardo nella proposizione dell’azione esecutiva comporti un’eccessiva accumulazione d’interessi in pregiudizio dei crediti non assistiti da prelazione.
1.1.3. – L’accessorietà del credito per interessi costituisce anche il fondamento della disposizione contenuta nel D.P.R. n.602 del 1973, art.45, che, in tema di riscossione delle imposte, prevede il recupero coattivo degli interessi di mora unitamente alle somme iscritte a ruolo. Si tratta peraltro di una norma di carattere procedimentale dalla quale, al pari di quelle che consentono al concessionario di promuovere azioni cautelari o conservative a tutela del eredito (art.49) e di ordinare direttamente al terzo debitore il pagamento del credito pignorato (art.12 bis), non può desumersi alcun argomento a conforto della tesi sostenuta dalla ricorrente.
Parimenti irrilevante, ai fini che qui interessano, è l’esenzione dalla revocatoria fallimentare prevista per i pagamenti d’imposte scadute (art.89), la cui applicabilità anche ai versamenti eseguiti a titolo di interessi non appare riconducibile alla natura privilegiata del relativo credito, ma, semmai, alla difficoltà di configurare a carico dell’Amministrazione finanziaria la conoscenza dello stato d’insolvenza.
Nessuna precisazione in ordine ai limiti della collocazione privilegiata è dato infine evincere dalle norme del D.P.R. n.602, che prevedono la maturazione di interessi per il ritardo nell’iscrizione a ruolo delle somme dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all’accertamento d’ufficio (art.20) nonchè d’interessi moratori per il ritardo nel pagamento delle somme iscritte a ruolo (art.30); l’unica disposizione di tale decreto che menzioni specificamente la predetta collocazione è quella contenuta nell’art.21, comma 3, che, in riferimento all’ipotesi di rateizzazione de pagamento delle somme iscritte a ruolo, prevede l’estensione dei privilegi generali e speciali a tutto i periodo per il quale si protrae la rateazione ed agl’interessi maturati sulle medesime somme: si tratta peraltro di una norma che, in quanto specificamente dettata per le imposte sui redditi, non è applicabile alla riscossione dell’imposta sul valore aggiunto.
1.1.4. – Può dunque concludersi che in caso di fallimento il privilegio generale sui beni mobili del debitore riconosciuto dall’art.2752 cc, comma 3, ai crediti dello Stato per le imposte, le pene pecuniarie e le soprattasse dovute secondo le norme relative all’imposta sul valore aggiunto si estende, ai sensi dell’art.2749 cc, richiamato dalla Legge Fallimentare, art.54, anche al credito per interessi, ma solo nei limiti di quelli dovuti per l’anno in corso alla data di apertura della procedura concorsuale e per l’anno anteriore, nonchè di quelli maturati successivamente in misura legale fino alla data di deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto sia pure parzialmente.
1.2. – Il motivo è invece inammissibile, per difetto di autosufficienza, nella parte volta a censurare la rilevata genericità della domanda di ammissione al passivo, essendosi la ricorrente limitata a sostenere di aver provveduto ad indicare tutti gli elementi occorrenti per l’individuazione delle annualità d’interessi di cui era stata chiesta la collocazione in via privilegiata, astenendosi tuttavia dal riportare ne ricorso le parti salienti dell’istanza, in modo da consentire alla Corte la necessaria verifica in ordine all’osservanza delle prescrizioni di cui alla Legge Fallimentare, art.93.
1.3. – Il motivo è altresì inammissibile nella parte concernente la mancata prova dell’avvenuta notificazione delle cartelle esattoriali, dalla quale il decreto impugnato ha fatto discendere il rigetto della domanda di ammissione al passivo degli interessi per alcuni dei crediti fatti valere dalla ricorrente.
La notifica della cartella esattoriale costituisce infatti, ai sensi del D.P.R. n.602 del 1973, art.30, il presupposto indispensabile per la decorrenza degli interessi di mora sulle somme iscritte a ruolo, la cui prova dev’essere fornita dal creditore, trovando applicazione nel giudizio di opposizione allo stato passivo la disciplina del processo ordinario di cognizione, per quanto non disposto diversamente dalla legge fallimentare, ed incombendo quindi all’opponente l’onere di provare la sussistenza e l’opponibilità del credito fatto valere. In quanto rivolta contro l’apprezzamento compiuto dal Tribunale in ordine ad uno degli elementi necessari per l’accoglimento della domanda, la censura proposta dalla ricorrente mira pertanto a sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una rivisitazione dell’accertamento di fatto contenuto nel decreto impugnato, non consentita a questa Corte, alla quale non è conferito il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, le argomentazioni svolte dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. lav., 23 maggio 2007, n. 12052, 8 agosto 2006, n. 17947; 6 febbraio 2006, n. 2467; Cass., Sez. 1^, 7 marzo 2007, n. 5274).
2. – E’ invece infondato il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce l’errata applicazione dell’art.2749 cc, comma 2, sostenendo che l’espresso richiamo degli artt.2749, 2788 e 2855 cc, da parte della Legge Fallimentare, art.54, non esclude l’applicabilità di norme speciali, quali il D.P.R. n. 602 del 1973, art.30, il quale prevede l’applicabilità di un tasso d’interesse diverso da quello previsto in via generale dall’art.1284 cc.
2.1. – In tema di ammissione al passivo fallimentare del credito per imposta sul valore aggiunto, questa Corte ha ripetutamente affermato il principio, che si condivide ed a quale si intende dare seguito anche in questa sede, secondo cui la misura legale alla quale rinvia l’art.2749, comma 2, ai fini dell’individuazione dei limiti della collocazione privilegiata del credito per interessi deve intendersi riferita, al pari di quella prevista dagli artt.2788 e 2855 c.c., per i crediti pignoratizì ed ipotecari, non già a saggio d’interesse stabilito dalla legge che disciplina il singolo credito, ma a quello previsto in via generale dall’art.1284 cc;
quest’ultimo è infatti destinato a trovare applicazione nella situazione di concorso con altri creditori derivante dall’apertura di una procedura concorsuale, avuto riguardo alla natura speciale della legge fallimentare, che disciplina in via generale gli effetti derivanti dall’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza, ed alla conseguente prevalenza del richiamo in essa contenuto alla disciplina dettata dal codice civile sul riferimento ad altri tassi eventualmente previsti da leggi speciali (cfr. Cass., Sez. 1^, 27 gennaio 1997, n. 795; 26 luglio 1996, n. 6781).
3. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, non avendo gl’intimati svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
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Numero Protocolo Interno : 56/2012