ISSN 2385-1376
Testo massima
Laddove la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta in conseguenza del trasferimento all’estero della sede della società, e quindi sull’assunto che questa continui a svolgere attività imprenditoriale, benché in altro Stato, non trova applicazione la l. fall., art. 10, atteso che un siffatto trasferimento, almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi sul punto con i principi desumibili dalla legge italiana, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell’attività.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, I sezione civile, con sentenza depositata il 9 luglio 2014, n. 15596/2014, decidendo sul ricorso presentato ex art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 10, l. fall., e 25, l. 218/1995, avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Milano aveva confermato la dichiarazione di fallimento della società.
Il ricorso voleva veder riconosciuta l’illegittimità della declaratoria di fallimento perché avvenuta, in violazione del citato articolo 10 della legge fallimentare, oltre il termine perentorio di un anno dalla cancellazione dell’ente dal registro delle imprese.
Posto che la cancellazione della società de quo seguiva al suo trasferimento – e contestuale mutamento della ragione sociale – secondo la ricorrente tale cancellazione aveva determinato l’estinzione dell’ente per cui, evidentemente, era illegittimo dichiarare fallita una società già estinta.
L’estinzione della società per il nostro ordinamento era asseritamente – confermata dalla circostanza che il trasferimento aveva reso impossibile l’applicazione del diritto italiano: in base al cosiddetto “principio della sede” di cui all’art. 25, primo comma, l. 218/1995, la società trasferita acquista lo statuto personale e la nazionalità dello Stato ricevente e perde quelli italiani.
In risposta, la Cassazione ha rigettato l’opposizione precisando che la sola cancellazione dal registro delle imprese, quando sia frutto del trasferimento all’estero, non determina automaticamente l’estinzione dell’ente per l’ordinamento italiano: la cancellazione non è elemento di per sé indicativo della cessazione di qualsiasi attività d’impresa.
I più recenti orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte (vedasi la sentenza n. 1508/2014 della I sez. civ., pure richiamata dalla sentenza in commento) sono concordi nel ravvisare la sostanziale “continuità giuridica” tra società cancellata in Italia e “nuova” società trasferita all’estero: in effetti, ove la cancellazione segua al trasferimento, più che l’estinzione essa lascia intendere la prosecuzione dell’esercizio nello Stato della nuova sede.
In caso di trasferimento all’estero non si ha in effetti né cessazione dell’attività né estinzione della società, ma prosecuzione dell’attività dell’ente che assume lo statuto societario secondo la legge dello Stato ricevente: e poiché, nel caso in esame, la legge nigeriana non prevede la cessazione dell’attività come conseguenza del trasferimento di una società, la dichiarazione di fallimento resta valida.
Tanto precisato, la Corte ha rigettato il ricorso, confermando la declaratoria di fallimento e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo del provvedimento
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