Testo massima
La presentazione del ricorso di fallimento non interrompe i termini di decorrenza di cui all’art.10 della legge fallimentare in quanto una società cancellata deve essere dichiarata fallita tassativamente entro un anno dalla cancellazione.
Così si è pronunziata la Corte di Cassazione, sezione prima, con sentenza n.8932 del 12/04/2013 e ha annullato la sentenza del 9 giugno 2011della Corte di appello di Brescia che aveva rigettato il reclamo proposto dal fallito avverso la sentenza con cui il Tribunale della stessa città, aveva dichiarato il fallimento oltre un anno dalla cancellazione.
Ecco i fatti di causa:
Società cancellata il 7 agosto 2009
Ricorso di fallimento depositato il 5 agosto 2010
Sentenza di fallimento avvenuta il 23 dicembre 2010
Sentenza di rigetto al reclamo 7 marzo 2011
Nella specie il mancato rispetto del termine previsto dalla Legge Fallimentare ex art.10, comporta la nullità della sentenza e deve essere rilevato d’ufficio dal giudice del reclamo e, se ciò non avviene, ben può essere dedotto per la prima volta in cassazione, considerato che il suo accertamento non implica ulteriori accertamenti di fatto.
In particolare la Corte ha precisato che alla dichiarazione di fallimento non poteva equipararsi il deposito dell’istanza di fallimento alla quale la legge non riconosce alcun effetto prenotativo.
Tale conclusione, del resto, è coerente con la lettera dell’art.10 (“possono essere dichiarati falliti entro un anno”) e trova conferma nella L. Fall., art.22, comma 5, secondo cui, nella versione successiva alla riforma, in caso di vittorioso gravame contro il provvedimento che respinge l’istanza di fallimento, il termine di cui alla L. Fall., art.10, si computa con riferimento al decreto della corte di appello che ha accolto il reclamo.
La corte di cassazione è stata quindi categorica : niente dichiarazioni di fallimento oltre i 365 giorni dalla cancellazione al registro delle imprese.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19146/2011 proposto da:
TIZIO in proprio e nella qualità di socio della ALFA SERVICE S.N.C.
– ricorrente –
contro
EQUITALIA
-controricorrente
contro
FALLIMENTO ALFA SERVICE S.N.C.
– intimati –
avverso la sentenza n. 685/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 09/06/2011;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9 giugno 2011 la Corte di appello di Brescia rigettava il reclamo proposto da TIZIO avverso la sentenza in data 2-7 marzo 2011 con cui il Tribunale della stessa città, su istanza della S.P.A. EQUITALIA aveva dichiarato il suo fallimento e quello della ALFA SERVICE S.N.C., della quale era socio illimitatamente responsabile.
In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che l’istanza di fallimento era stata depositata il 5 agosto 2010 e perciò anteriormente all’anno dalla cessazione della società cancellata il 7 agosto 2009; pertanto era infondato il motivo con cui il reclamante aveva dedotto l’insussistenza dei presupposti e delle condizioni per la pronuncia del fallimento assumendo che l’istanza di fallimento era stata depositata oltre l’anno dalla cessazione dell’attività.
TIZIO propone ricorso per cassazione, deducendo un motivo.
La Equitalia resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo del ricorso TIZIO deduce la violazione della L. Fall., art.10, nonché il vizio di motivazione, lamentando che il fallimento era stato dichiarato oltre l’anno dalla cancellazione della società e che alla dichiarazione di fallimento non poteva equipararsi il deposito dell’istanza di fallimento, la quale, in ogni caso, risaliva soltanto al 23 dicembre 2010, considerato che il Tribunale aveva disposto l’archiviazione del procedimento per l’omessa comparizione del creditore istante all’udienza del precedente 20 dicembre.
Il ricorso è ammissibile e fondato.
Sotto il primo profilo si deve ritenere che nessuna preclusione possa discendere dal diverso tenore del reclamo, con il quale, come riferito in narrativa, l’odierno ricorrente non lamentava, come in questa sede, che la sentenza di fallimento era stata emessa oltre l’anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, ma che oltre l’anno era stata depositata l’istanza di fallimento.
Nella specie, infatti, non può parlarsi di questione nuova non deducibile per la prima volta in cassazione poiché tale ipotesi ricorre soltanto quando la questione non dedotta innanzi al giudice del merito non era da questi rilevabile d’ufficio ovvero, pur essendo rilevabile d’ufficio, comportava nuovi accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità (Cass. 23 gennaio 2007, n.1474; Cass. 15 marzo 2006, n.5620).
Nella specie il mancato rispetto del termine previsto dalla L. Fall., art.10, comporta la nullità della sentenza e perciò può essere rilevato d’ufficio dal giudice del reclamo e, se ciò non avviene, ben può essere dedotto per la prima volta in cassazione, considerato che il suo accertamento non implica ulteriori accertamenti di fatto.
Nel merito, sebbene dopo la riforma il procedimento di fallimento possa essere attivato solo su istanza dei creditori o del p.m., si deve osservare che il termine stabilito nella L. Fall., art.10, non opera come un termine di prescrizione o decadenza, ma costituisce un limite oggettivo per la dichiarazione di fallimento (Cass. 28 marzo 1969, n.998), svolgendo non tanto la funzione di tutelare i creditori rispetto all’inatteso venire meno della qualifica di imprenditore commerciale nel loro debitore, quanto la funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche e l’affidamento dei terzi (altrimenti esposti illimitatamente al pericolo di revocatorie), ponendo un preciso limite temporale alla possibilità di dichiarare il fallimento di chi non è più imprenditore.
In realtà, infatti, il fallimento dell’ex imprenditore non può configurarsi come una forma di eccezionale tutela dei creditori poichè risponderebbe sempre alla logica della necessità di una procedura concorsuale in presenza della molteplicità e complessità degli interessi normalmente coinvolti nel dissesto di un imprenditore commerciale, anche se cessato, a fronte della normale semplicità degli interessi coinvolti nel dissesto del debitore civile.
Ciò che rileva, invece, è la scelta del legislatore di non dare seguito a detta logica, dopo un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, per la contrastante esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi che vengono in contatto con l’ex imprenditore.
Se la funzione dell’art.10 è quella descritta, il dies ad quem del termine annuale ivi previsto è necessariamente quello della pubblicazione della sentenza di fallimento e l’istanza di fallimento tempestivamente presentata dal creditore non può produrre effetti prenotativi, come avviene invece nel processo civile, in applicazione del noto postulato a tenore del quale la durata del processo non dovrebbe mai ridondare in danno della parte che ha ragione.
La semplice presentazione dell’istanza di fallimento non sarebbe, infatti, conoscibile da parte dei terzi che, se ad essa fosse riconosciuto un effetto prenotativo, resterebbero esposti per tutta la durata del procedimento al rischio di contatti con un soggetto fallibile.
Tale conclusione, del resto, è coerente con la lettera dell’art.10 (“possono essere dichiarati falliti entro un anno”) e trova conferma nella L. Fall., art.22, comma 5, secondo cui, nella versione successiva alla riforma, in caso di vittorioso gravame contro il provvedimento che respinge l’istanza di fallimento, il termine di cui alla L. Fall., art.10, si computa con riferimento al decreto della corte di appello che ha accolto il reclamo.
L’attribuzione di un effetto prenotativo al decreto della corte di appello sarebbe evidentemente inutile se un identico effetto fosse attribuibile all’istanza di fallimento.
Si deve, pertanto, concludere che la L. Fall., art.10, con la descritta eccezione rispetto al tempo successivo al decreto L. Fall., ex art.22, pone a carico del creditore che ha presentato tempestivamente istanza di fallimento il rischio della durata del procedimento per la dichiarazione di fallimento.
Ciò, tuttavia, non comporta l’illegittimità della L. Fall., art.10, in relazione agli artt.3 e 24 Cost..
Da un lato, con riferimento al principio di eguaglianza, il possibile diverso trattamento dei creditori in relazione alla diversa durata del procedimento non discende dal requisito temporale prescritto dalla legge, ma dal concreto svolgersi del procedimento ed è perciò un problema di fatto irrilevante ai fini della legittimità costituzionale della norma.
Con riferimento al diritto di difesa, si deve, invece, osservare che la previsione di un termine annuale rappresenta il punto di mediazione nella tutela di interessi contrapposti quali, da un lato, quelli dei creditori e, dall’altro, quello generale, e non del solo cessato imprenditore, alla certezza dei rapporti giuridici; in questo contesto è insussistente una qualsiasi lesione del diritto di difesa, tenuto conto sia dell’ampiezza del termine, sia della possibilità di informare il Tribunale di eventuali ragioni di urgenza.
Il fatto che le ragioni di urgenza possano sfuggire ai creditori o al Tribunale è, ancora una volta, un problema di fatto irrilevante ai fini della valutazione della legittimità costituzionale della norma (Cass. 14 giugno 2000, n.8099).
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte, decidendo nel merito, accoglie il reclamo e revoca il fallimento della S.N.C. ALFA SERVICE e del suo socio TIZIO.
Soccorrono giusti motivi in considerazione della novità della questione per compensare le spese dell’intero giudizio.
PQM
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il reclamo e revoca il fallimento della S.N.C. ALFA SERVICE e del suo socio TIZIO; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2013
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