ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia fallimentare la privazione dell’amministrazione e della disponibilità dei beni, di cui all’art. 42 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non comporta l’automatica sottrazione al fallito del loro possesso ma soltanto la presa in consegna degli stessi da parte del curatore che ne diviene detentore.
La mera redazione dell’inventario dei beni del fallito, senza la materiale apprensione dei beni stessi da parte del curatore, non ha efficacia interruttiva del possesso da parte del fallito.
Invero la redazione dell’inventario da parte del curatore fallimentare è, nella fase iniziale del fallimento, l’atto fondamentale attraverso il quale l’organo della procedura a ciò deputato individua, elenca, descrive e valuta i beni della massa (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11501 del 19/11/1997).
La privazione dell’amministrazione e della disponibilità dei beni prevista dal R.D. n. 267 del 1942, art. 42, anche se comunemente definita spossessamento, comporta soltanto la presa in consegna dei beni medesimi da parte del curatore, che ne diviene detentore, e non la sottrazione al fallito “ope legis” del loro possesso, il fallimento non costituisce una causa interruttiva del possesso. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16853 del 11/08/2005).
Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n.17605 del 04.09.2015.
Il caso trae origine da un giudizio instaurato da un erede diretto a far dichiarare ed accertare la sua qualità di proprietario esclusivo di alcuni fabbricati, nei confronti dei germani, sulla base della scrittura privata del 27.12.1979
Sosteneva l’attore poi appellante che, l’immobile assegnato con l’atto pubblico al germano, in realtà, per effetto di simulazione relativa in parola, era stato a lui assegnato dai condividenti come risulterebbe dalla suddetta scrittura privata del 27.12.1979.
Ad ogni buon conto, sosteneva parte attorea che l’acquisto della proprietà del detto bene sarebbe a lui derivato per usucapione.
Si costituiva in giudizio la curatela fallimentare che contestava la domanda attrice ritenendo la menzionata scrittura privata, inopponibile alla curatela ex art. 45L. Fall., atteso che la stessa non era mai stata trascritta, né sussistevano i presupposti di fatto e di diritto per accogliere la domanda di usucapione dei beni stessi.
Sia in primo che in secondo grado i Giudici rigettavano la domanda ritenendo l’inopponibilità della scrittura privata al fallimento per non esser stata trascritta, avendo riguardo anche al disposto di cui all’art. 2643 c.c., circa gli effetti della trascrizione degli atti immobiliari. La corte territoriale sosteneva che tale scrittura privata non poteva ritenersi alla stregua di una controdichiarazione trattandosi invece di un nuovo atto dispositivo.
Né inoltre, sostenevano i Giudici, vi erano i presupposti per l’ipotizzato acquisto della proprietà per usucapione atteso che, con la redazione dell’inventario, il curatore fallimentare aveva preso in consegna i beni ereditali, assumendone la loro custodia, per cui l’attore, nel corso della procedura fallimentare non poteva aver usucapito gli immobili; di conseguenza erano inammissibili i capitoli di prova per testi dedotti su tale specifico punto
Proposto ricorso per cassazione, sulla base di 4 mezzi di impugnazione, gli ermellini hanno accolto solo uno di essi e precisamente quello diretto a denunciare la violazione degli artt. 1158, 1165, 1167, 2727 e 2729 c.c., laddove la corte territoriale affermava che con la redazione dell’inventario il curatore fallimentare avesse preso in consegna i beni ereditari, assumendone la custodia. Per tale non condivisibile motivo la corte aveva poi ritenuti inammissibili i mezzi di prova da lui dedotti al fine di accertare l’intervenuta usucapione.
In effetti, spiegano gli ermellini, l’accordo divisorio intervenuto tra i fratelli di cui alla scrittura privata farebbe ritenere che si trattasse effettivamente di possesso e non di detenzione.
Inoltre, la mera redazione dell’inventario dei beni del fallito da parte del curatore, senza la materiale apprensione dei beni stessi, non può avere efficacia interruttiva laddove nella fattispecie, la circostanza che il curatore non avesse il possesso materiale dei beni in questione, è confermato dal fatto che, proprio per porre fino all’occupazione degli immobili era stato chiesto ed ottenuto dal fallimento il sequestro conservativo dei beni nel 2005.
Sul punto gli ermellini hanno anche richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali di legittimità ove era stato affermato che “La redazione dell’inventario da parte del curatore fallimentare è, nella fase iniziale del fallimento, l’atto fondamentale attraverso il quale l’organo della procedura a ciò deputato individua, elenca, descrive e valuta i beni della massa” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11501 del 19/11/1997).
La stessa Corte in altro giudizio aveva precisato che : “Poiché la privazione dell’amministrazione e della disponibilità dei beni prevista dal R.D. n. 267 del 1942, art. 42, anche se comunemente definita spossessamento, comporta soltanto la presa in consegna dei beni medesimi da parte del curatore, che ne diviene detentore, e non la sottrazione al fallito ope legis del loro possesso, il fallimento non costituisce una causa interruttiva del possesso”. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16853 del 11/08/2005).
Sulla base di tali considerazioni e delle decisioni già assunte in precedenza la Corte, sulla base del quadro istruttorio, ha ritenuto non corretta la decisione della corte territoriale di non ammettere le prove per testi dedotte dal ricorrente ai fini dell’usucapione, concludendo, per il rinvio della causa alla Corte d’Appello che dovrà pronunciarsi sulla base dei suddetti principi, ammettendo in ipotesi le deduzioni istruttorie avanzata dall’odierno ricorrente.
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Testo del provvedimento
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