ISSN 2385-1376
Testo massima
Ove vi sia cessazione dell’attività aziendale, il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione, in quanto il diritto alla retribuzione non sorge in ragione dell’esistenza e del protrarsi del rapporto ma presuppone, per la natura sinallagmatica del contratto, la corrispettività delle prestazioni.
La sospensione dell’attività lavorativa esonera il datore dalla prestazione retributiva nel caso in cui non risulti allo stesso imputabile e non fosse da questi prevedibile né evitabile, integrando dunque un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta, come nel caso di crisi aziendale che costituisce presupposto della CIGS. L’applicazione di quest’ultima determina dunque una sospensione del rapporto di lavoro e delle prestazioni corrispettive che ne scaturiscono, producendosi un’interruzione del vincolo sinallagmatico nonostante la persistenza del rapporto stesso sul piano giuridico.
In caso di fallimento del datore di lavoro che abbia precedentemente cessato la propria attività a causa della crisi aziendale, dunque, non potranno essere imputati alla massa fallimentare i crediti a titolo di differenze retributive maturati successivamente alla CIGS per crisi aziendale.
Troverà invece accoglimento la domanda di ammissione al passivo del lavoratore relativamente ai crediti a titolo di trattenute di TFR non versate dal datore al fondo complementare, al fine di consentire il versamento a favore di quest’ultimo, da parte del Fondo di garanzia, dei contributi omessi dal datore fallito.
Questi i principi affermati dal Tribunale di Napoli, Sezione Fallimentare, Pres. Di Nosse – Rel. Del Franco, mediante decreto reso in data 26.02.2015.
Con il richiamato provvedimento, il Tribunale accoglie parzialmente la domanda ex art. 98 l.f. in opposizione al decreto di ammissione parziale reso dal Giudice Delegato in sede di verifica tempestiva, con cui il lavoratore richiedeva l’ammissione al passivo dei crediti vantati nei confronti della società fallita a titolo di differenze retributive maturate nel periodo compreso tra la scadenza della CIGS per crisi aziendale fino all’attivazione della CIGS a seguito di fallimento, oltre che a titolo di ferie e permessi non goduti, nonché a titolo di differenza TFR ed a titolo di trattenute mensili per TFR non versate dalla fallita al fondo pensionistico complementare.
Il Tribunale adito ritiene non meritevole di accoglimento la domanda articolata dal ricorrente limitatamente all’ammissione al passivo dei crediti riferiti alle differenze retributive maturate tra la scadenza della CIGS per crisi aziendale e l’avvio della CIGS a seguito di fallimento.
A fondamento della resa pronuncia di rigetto, la Sezione Fallimentare pone l’assunto in forza del quale “ove vi sia cessazione dell’attività aziendale, il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione, in quanto il diritto alla retribuzione non sorge in ragione dell’esistenza e del protrarsi del rapporto ma presuppone, per la natura sinallagmatica del contratto, la corrispettività delle prestazioni” (cfr. Cass. n. 7473/2012; Corte di Appello di Milano, 26.07.2007).
È dunque da ritenersi che nel periodo compreso tra la scadenza della CIGS per crisi aziendale e l’attivazione della CIGS a seguito di fallimento, si configuri un’ipotesi di impossibilità assoluta della prestazione per crisi aziendale, tale da investire – sospendendolo – anche l’obbligo retributivo. Il Tribunale sostiene dunque che il datore di lavoro possa legittimamente sospendere la prestazione lavorativa, non essendo gravato dall’obbligo di corrispondere la relativa retribuzione, nel caso in cui detta sospensione non risulti imputabile al datore medesimo e non risulti da questi prevedibile né evitabile.
A tal proposito, nel caso in esame risulta pacifica la circostanza relativa alla definitiva cessazione dell’attività produttiva – a causa della crisi aziendale, appunto – da parte della società poi dichiarata fallita, derivando da ciò l’effettiva sospensione del rapporto di lavoro, la rottura del vincolo sinallagmatico e dunque l’infondatezza della domanda di ammissione al passivo dei crediti vantati a titolo di differenza retributiva.
Trova invece accoglimento la domanda di ammissione al passivo dei crediti da imputarsi a ferie e permessi non goduti, maturati nel periodo di lavoro precedente alla CIGS.
Da ultime, le argomentazioni relative all’ammissione al passivo dei crediti vantati a titolo di trattenute di TFR non versate dalla società fallita al fondo pensionistico complementare.
Sul punto, va anzitutto esclusa l’operatività del principio della automaticità delle prestazioni – poiché valevole per la sola previdenza obbligatoria – per effetto del quale le prestazioni previdenziali sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non abbia regolarmente versato i contributi dovuti al fondo complementare (art. 2116 c.c.). Quest’ultimo non sarà dunque tenuto ad erogare alcuna prestazione a favore del lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro, anche in considerazione della funzione e delle competenze del Fondo di garanzia contro il rischio derivante dal mancato o insufficiente versamento dei contributi alle forme di previdenza complementare istituito presso l’INPS.
Dall’insussistenza del richiamato obbligo di copertura, va altresì desunta la carenza di legittimazione del fondo complementare ad ottenere il recupero di detti contributi mediante domanda di ammissione al passivo in caso di fallimento del datore insolvente. Compete pertanto allo stesso lavoratore la richiesta di accertamento, nell’ambito del fallimento, del mancato assolvimento da parte del fallito del versamento dei contributi per TFR al fondo complementare, al fine di ottenere poi dal succitato fondo di garanzia il versamento degli omessi contributi in favore del fondo complementare.
Sulla scorta di tali argomentazioni, il Tribunale dispone dunque l’ammissione al passivo dei crediti rivendicati a titolo di trattenute di TFR.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 109/2013