ISSN 2385-1376
Testo massima
È legittima la dichiarazione di fallimento pronunciata, su istanza dei creditori o del P.M., all’esito del rigetto della domanda di concordato preventivo, in quanto ciò è espressamente previsto e disciplinato dalla legge fallimentare.
Infatti, da un lato non vi è alcuna norma che sancisca il divieto di presentare istanze di fallimento in pendenza di una procedura concordataria, dall’altro quest’ultima non costituisce una causa di sospensione necessaria ex art.295 cpc del fallimento.
Tra concordato preventivo e fallimento non sussiste un rapporto di pregiudizialità, non essendo sovrapponibili le situazioni rispettivamente esaminate, ma un fenomeno di consequenzialità (eventuale) e di assorbimento, essendo inoltre la decisione sulla domanda di concordato insuscettibile di sfociare, di regola, in una decisione irrevocabile e dovendo le questioni attinenti al decreto di inammissibilità essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
IL CONTESTO NORMATIVO
Art.295 cpc Sospensione necessaria
Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa.
Art.173 – Revoca dell’ammissione al concordato e dichiarazione del fallimento nel corso della procedura
Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell’articolo 171, secondo comma. (2)
All’esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’articolo 18.
Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell’articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato.
LA DECISIONE
Enunciando i principi di diritto richiamati in epigrafe, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con sentenza n.12534 del 04.06.2014, si è pronunciata sul ricorso proposto da una società avverso la pronuncia della Corte d’appello, che aveva rigettato il reclamo dalla medesima proposto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
In particolare, parte ricorrente si doleva del fatto che il Tribunale avesse proseguito la trattazione prefallimentare, in pendenza di domanda di concordato preventivo, emettendo sentenza dichiarativa di fallimento a seguito dell’esito negativo della procedura concordataria. Denunciava, dunque, la violazione dell’art.295 cpc, ritenendo le due procedure alternative tra loro ed invocando la sospensione necessaria dell’istruttoria prefallimentare.
Tale prospettazione è stata nettamente disattesa dagli Ermellini, i quali hanno evidenziato che l’art.295 cpc (“sospensione necessaria”) si applica solo nel caso in cui “il processo pregiudicante abbia ad oggetto una situazione sostanziale che rappresenti il fatto costitutivo od un elemento fondante della situazione esaminata nel processo pregiudicato”.
Orbene, alla luce di tale interpretazione, consolidata nella giurisprudenza di legittimità, una pregiudizialità di tal fatta non si riscontra nei rapporti tra concordato preventivo e fallimento, non essendo sovrapponibili le situazioni rispettivamente esaminate, ed essendo la decisione sulla domanda di concordato insuscettibile di sfociare, di regola, in una decisione irrevocabile, tanto che le questioni attinenti al decreto di inammissibilità devono essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
Non essendovi pregiudizialità, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia in termini di consequenzialità (eventuale del fallimento all’esito dell’esito negativo della prima procedura) e di assorbimento (dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda), che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti, che esclude l’applicabilità dell’art.295 cpc (come già affermato dai giudici di legittimità in precedenti conformi Cass.3059/11; Cass. sez un 1521/13).
Tra l’altro, esclusa la sussistenza di una causa di sospensione necessaria, la Cassazione ha rilevato che alcuna norma preclude la proponibilità di istanze di fallimento nel corso della procedura di concordato preventivo, ovvero che imponga di dichiarare improcedibili le istanze già presentate, ma anzi (tralasciando la questione se il giudice possa dichiarare il fallimento in pendenza della procedura concordataria) è la stessa legge fallimentare, nella nuova formulazione dell’art.173, a prevedere che, a seguito di esito negativo della domanda di concordato, possa ben essere dichiarato il fallimento, in presenza di istanze dei creditori o del PM.
Peraltro, ad avvalorare tale orientamento, può citarsi un’ulteriore recentissima pronuncia della prima sezione civile della Suprema Corte, con la quale si è statuita la legittimità della declaratoria di fallimento intervenuta a seguito del decreto di inammissibilità della proposta concordataria, anche in assenza di apposita riconvocazione del debitore nell’udienza camerale (cfr. Cass. Civ., sezione prima, sentenza n.9730 del 06.05.2014).
Nel dichiarare l’infondatezza del ricorso, gli Ermellini si sono pronunciati anche su un altro aspetto importante del giudizio di “reclamo” (secondo la nuova denominazione di cui all’art.18 L.Fall.) alla Corte d’Appello, vale a dire l’effetto devolutivo “pieno” di tale gravame.
Parte ricorrente lamentava, infatti, che la Corte d’Appello avesse tenuto conto di elementi inerenti all’insolvenza, al di là dei limiti devolutivi di cui all’art.342 e 345 cpc e che, vieppiù, trattavasi di elementi acquisiti, per propria “scientia privata” dall’informativa della Guardia di Finanza, e non dal fascicolo del concordato.
Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato, da un lato, che la riforma di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato la L. Fall., art. 18, ridenominando tale mezzo come “reclamo” in luogo del precedente “appello”, ha adeguato l’istituto alla natura camerale dell’intero procedimento, il quale, nella sua specialità, si caratterizza per un effetto devolutivo pieno, cui non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c., con la conseguenza che il debitore può ben indicare anche per la prima volta, in sede di reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, ai fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2; dall’altro, che, come ribadito da Corte Cost. 1 luglio 2009, n. 198, in tema di dichiarazione di fallimento ed onere della prova nel procedimento dichiarativo, permane un ampio potere di indagine officioso in capo allo stesso organo giudicante. (Cass. 22546/10; Cass. 9174/12).
Alla luce di tali considerazioni, la Corte è pervenuta all’integrale rigetto del ricorso, con una pronuncia degna di nota per aver chiarito i rapporti tra procedura concordataria e fallimento, sgomberando il campo dai dubbi interpretativi spesso sollevati, nonostante la formulazione piuttosto chiara del novellato art.173 L.Fall.
Testo del provvedimento
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