ISSN 2385-1376
Testo massima
Spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all’istanza di fallimento presentata nei confronti di società di capitali, già costituita in Italia, che, dopo il manifestarsi della crisi dell’impresa, abbia trasferito all’estero la sede legale, nel caso in cui i soci, chi impersona l’organo amministrativo ovvero chi ha maggiormente operato per la società, siano cittadini italiani senza collegamenti significativi con lo Stato straniero, circostanze che lasciano chiaramente intendere come la delibera di trasferimento fosse preordinata allo scopo di sottrarre la società dal rischio di una prossima, probabile dichiarazione di fallimento.
In astratto, ove una controversia presenti carattere transnazionale, la compresenza di vari criteri di collegamento – utili a radicare la competenza entro i confini di differenti ordinamenti giuridici – può comportare che più di un organo giurisdizionale sia astrattamente competente a trattare della causa.
Gli operatori economici sono pertanto costantemente tentati dalla “ghiotta” opportunità di poter incardinare l’azione all’interno del foro ritenuto a vario titolo più conveniente, ovvero sfuggire da quello considerato portatore di conseguenze maggiormente pregiudizievoli.
Tale fenomeno del cosiddetto “forum shopping” è evidentemente guardato con sfavore dal punto di vista del diritto internazionale, in quanto ostacola il raggiungimento di un obiettivo di universalizzazione – o, quanto meno, comunitarizzazione – delle regole di diritto processuale civile.
Entro questo quadro d’insieme si pone la Giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 19978 del 15/07/2014, ha pronunciato sul ricorso presentato da una società di capitali avverso la decisione di appello confermativa della dichiarazione di fallimento.
Attraverso il motivo principale di ricorso si eccepiva, in particolare, l’incompetenza del giudice italiano, avendo la società ricorrente trasferito la propria sede sociale all’estero prima del deposito dell’istanza di fallimento.
Ponendo a fondamento della propria decisione il combinato disposto dell’art. 25, l. 218/1995, e art. 9, l. fall., la Suprema Corte ha inequivocabilmente stabilito come il caso di specie sia di competenza del giudice italiano.
Secondo le norme di diritto internazionale privato, l’elemento che permette di legare una controversia ad un giudice è la presenza di uno o più criteri di collegamento, di elementi che suggeriscono un legame forte tra la situazione giuridica da regolamentare e l’ordinamento del giudicante.
La presenza di una serie di indici concordanti (sede di costituzione in Italia, cittadinanza italiana dei componenti i maggiori organi sociali) portano ragionevolmente a supporre – salvo prova contraria – che il collegamento più stretto della società de quo sia col nostro Paese.
Secondo la Cassazione, dunque, non rileva il fatto che la società abbia trasferito la sede principale dei propria affari ed interessi all’estero: al contrario, la permanenza – oltre la data del trasferimento – degli indici anzidetti fa ritenere che il trasferimento stesso sia frutto di un disegno preordinato a cercare di escludere la competenza del giudice nostrano.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha rigettato l’opposizione e condannato la ricorrente al pagamento integrale delle spese di giudizio.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 527/2014