L’accordo di mediazione di accertamento dell’usucapione è inopponibile al fallimento se trascritto dopo l’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese.
Questo il principio sancito dal Tribunale di Torino, giudice dott. Edoardo Di Capua, con sentenza n.3276 del 09/06/2016.
Nel caso in esame, la società fallita, il cui titolare è proprietario dell’immobile oggetto di causa, conveniva in giudizio presso il Tribunale di Torino i detentori del suddetto immobile, chiedendo, nel merito, di condannare i convenuti a rilasciare l’abitazione, una volta accertata l’inopponibilità, nei confronti del fallimento, del verbale di conciliazione e dell’atto di accertamento di acquisto per usucapione.
La parte attrice chiedeva, inoltre, di condannare i convenuti a corrispondere un’indennità per l’occupazione del predetto immobile.
Le parti convenute chiedevano, in particolare, in via riconvenzionale, di accertare e dichiarare l’intervenuta usucapione.
In particole i fatti di causa possono così essere riepilogati:
In data 13.05.1969 veniva acquistata la piena proprietà degli immobili oggetto di causa dal titolare della società fallita;
– il 02.05.2012 veniva presentata istanza di fallimento;
-il 05.06.2012 veniva effettuato accordo di mediazione per usucapione con obbligo di rogito tra il titolare dell’immobile e i detentori dello stesso;
– in data 07.06.2012 veniva effettuata rogito notarile in esecuzione dell’accordo di mediazione;
– il 26.07.2012 veniva richiesta variazione al catasto;
– con sentenza del 10.09.2012 il Tribunale dichiarava il fallimento della società;
– in data 19.3.2014 veniva trascritto il rogito notarile presso la conservatoria.
Il Tribunale ha specificato, in primo luogo, che con l’art.84 bis del D.L. n.69/2013, convertito, con modificazioni, in legge n.98/2013, è stato inserito nell’art. 2643 c.c. il n.12 bis, ai sensi del quale si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione “gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Dunque, con esclusivo riferimento agli accordi di mediazione che accertano l’usucapione, il Legislatore ha espressamente previsto la trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi.
A questo punto il giudice ha effettuato richiamo all’art. 45 L.F., ove è previsto che: “Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori “.
Tale articolo va coordinato con l’art. 16 ult. comma, L.F., in forza del quale la sentenza dichiarativa di fallimento “Produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione ai sensi dell’art. 133, primo comma, del codice di procedura civile” e gli effetti nei riguardi dei terzi “si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 17, secondo comma”.
Pertanto, ha chiarito il Giudice, ai sensi dell’art. 45 L.F. anche gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione sono opponibili alla procedura concorsuale soltanto se trascritti nei registri immobiliari prima dell’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese.
Per il Tribunale va dunque affermata l’inopponibilità, nei confronti del fallimento, del verbale di conciliazione e dell’ “atto di accertamento di acquisto per usucapione”, stipulato tra il titolare della società fallita e i detentori dell’immobile trascritto dopo l’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese.
Pertanto, dalla data di pubblicazione ed iscrizione nel registro delle imprese della sentenza dichiarativa del fallimento, i detentori non hanno più alcun titolo per continuare a detenere gli immobili oggetto di causa.
Quanto alla domanda di parte attrice relativa alla corresponsione eventuale di un’indennità di occupazione da parte dei detentori, tuttavia, a parere del Giudice, deve condividersi la tesi secondo cui, al fine del riconoscimento di tale indennità, di natura risarcitoria, occorre pur sempre la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
Nel caso di specie, in capo alle parti convenute, per il Tribunale, non può ravvisarsi né dolo né colpa, tenuto conto che, dal punto di vista meramente soggettivo, l’occupazione degli immobili in questione aveva trovato una “giustificazione” nel verbale di conciliazione stipulato e nell’ “atto di accertamento di acquisto per usucapione”, stipulato.
Il Giudice ha dunque successivamente valutato la domanda riconvenzionale proposta dalle parti convenute di accertamento dell’intervenuta usucapione.
Secondo la tesi sostenuta dal curatore fallimentare, il proprietario dell’immobile, titolare della ditta fallita, avrebbe concesso alla figlia ed al genero il godimento gratuito dell’immobile oggetto di causa.
Per il Giudice, dunque, tali beni sarebbero stati concessi in “comodato” e, conseguentemente, i signori avrebbero acquistato non il “possesso”, bensì la “detenzione qualificata” dei beni stessi.
La “detenzione”, infatti, ha specificato il Tribunale di Torino, è l’elemento costitutivo del “possesso diretto” e viene definita come la disponibilità di fatto della cosa e, in senso stretto e specifico, la disponibilità di fatto della cosa in nome altrui e, in particolare, alla “detenzione qualificata” appartengono le ipotesi di detenzione nell’interesse proprio, ossia i casi in cui la detenzione ha titolo in un diritto personale di godimento del bene, come il conduttore nella locazione.
La posizione possessoria o di mera detenzione dipende dal titolo in forza del quale il soggetto è immesso nella disponibilità esclusiva del bene: se il titolo è un contratto attributivo di un diritto reale attraverso la consegna si trasmetterà il “possesso”; se, invece, il titolo è attributivo di un diritto personale di godimento, attraverso la consegna si trasmetterà la mera “detenzione”.
Nel caso di specie, ha specificato il Giudice, non soltanto le parti convenute non hanno allegato la sussistenza di un titolo astrattamente attributivo di un diritto reale ma, stante lo stretto legame di parentela tra le parti, nel dubbio deve presumersi che il proprietario avesse trasmesso alla figlia ed al genero il godimento gratuito degli immobili in questione e, dunque, un diritto personale di godimento, con conseguente acquisto della mera “detenzione”, che, a differenza del possesso, non è utile ai fini dell’usucapione.
Sulla base del suddetto principio, il Tribunale di Torino ha accolto la domanda proposta dalla parte attrice in via principale, e ha condannato i convenuti a rilasciare l’immobile.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente contributo pubblicato in rivista:
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Sentenza | Tribunale di Taranto, dott. Claudio Casarano | 23.01.2015 | n.200
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