ISSN 2385-1376
Testo massima
L’art. 101 legge fallimentare, nel prevedere che i creditori possono chiedere l’ammissione al passivo fino a che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare, pone solo un limite cronologico all’esercizio di tale diritto potestativo, ma non riconosce al creditore l’ulteriore diritto a non vedersi pregiudicato il futuro soddisfacimento del credito, nelle more dell’ammissione, dall’attuazione della ripartizione; ne consegue che la domanda d’insinuazione tardiva di un credito non comporta una preclusione per gli organi della procedura al compimento di ulteriori attività processuali, ivi compresa la chiusura del fallimento per l’integrale soddisfacimento dei creditori ammessi o per l’esaurimento dell’attivo, nè comporta un obbligo per il curatore di accantonamento di una parte dell’attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi, atteso che tale evenienza non è considerata tra le ipotesi di accantonamento previste dall’art. 113 legge fall., la cui previsione è da ritenersi tassativa, in quanto derogante ai principi generali che reggono il processo fallimentare, e perciò insuscettibile di applicazione analogica.
Questo il principio affermato dalla Cassazione civile, Sezione sesta, con la pronuncia n. 18550 del 02.09.2014 con la quale la Corte ha escluso il diritto del creditore, che abbia depositato istanza tardiva di ammissione al passivo fallimentare, ad ottenere in sede di riparto parziale l’accantonamento di somme adeguate in previsione di una futura possibile ammissione del credito stesso.
La Suprema Corte afferma, infatti, che nonostante la pendenza del procedimento incardinato ai sensi dell’art. 101 L.F., non sussiste alcuna preclusione per gli organi della procedura rispetto al compimento di ulteriori attività processuali, anche potenzialmente dannose per il ricorrente tardivo, come, addirittura, la chiusura del fallimento, nelle more, per l’integrale soddisfacimento dei crediti già ammessi, o per l’esaurimento dell’attivo.
L’inesistenza dell’obbligo di accantonare le somme, a carico del curatore come del giudice delegato, viene tratto dal carattere tassativo dell’art. 113 L.F., norma che elenca quattro casi nei quali, per espressa previsione, debbono appunto essere “trattenute e depositate [
] nei modi stabiliti dal giudice delegato” le quote assegnate rispettivamente a: 1) creditori ammessi con riserva; 2) creditori opponenti a favore dei quali sono state emesse misure cautelari; 3) creditori opponenti la cui domanda è stata accolta ma la sentenza non è ancora passata in giudicato; 4) creditori nei cui confronti sono stati proposti giudizi di impugnazione e revocazione.
La specificità delle situazioni giuridiche indicate dal legislatore è richiamata dalla Corte per escludere ipotesi di incostituzionalità della norma per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.
Probabilmente, ragioni di ordine logico sistematico avrebbero imposto un maggiore coordinamento interpretativo con il disposto di cui all’art. 101 L.F., norma che consente, come noto, la proposizione di domande di ammissione tardive sino a dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo fallimentare, e, comunque, sino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo, allorquando l’istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile, e che la Cassazione ha letto, un po’ riduttivamente, come mero “limite cronologico all’esercizio di tale diritto potestativo“.
Testo del provvedimento
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