Nessun negozio giuridico attraverso il quale venga attuato il trasferimento a trattativa privata di immobili acquisiti al fallimento si sottrae alla sanzione di nullità ex art. 1418 c.c., che è destinata ad investire anche quei provvedimenti degli organi fallimentari, direttamente consequenziali alla vendita.
Tale negozio, peraltro, non si sottrarrebbe all’applicazione della norma di cui all’art. 1419 c.c. per la nullità che comunque investe il trasferimento della proprietà degli immobili quando questo avesse costituito, l’oggetto di una delle concessioni.
L’art. 108 L.F. non consente la vendita di un bene immobile a trattativa privata ma soltanto l’alienazione nelle forme della vendita forzata, con o senza incanto, che si concludono con il decreto di trasferimento del bene, onde è nulla per contrarietà a norma imperativa la suddetta vendita a trattativa privata, nonché illegittimo il provvedimento del giudice delegato che autorizzi una vendita non pienamente corrispondente ad uno dei due tipi, con o senza incanto, espressamente previsti e disciplinati dall’art. 108 citato.
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. prima, Pres. Nappi – Rel. Ferro, con la sentenza n. 26954 del 23.12.2016.
Nella fattispecie in esame, il Fallimento impugnava la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, emessa nell’anno 2010 relativa ad un caso verificatosi nel 2000 con cui era stata dichiarata la nullità del trasferimento immobiliare avente ad oggetto beni di pertinenza del fallimento, eseguito in favore di terzi acquirenti, nonchè disposto la condanna della procedura alla restituzione a ciascuna delle controparti del corrispettivo versato, accogliendo la domanda di un creditore ipotecario, ammesso come tale al passivo.
La Corte d’Appello, richiamato il divieto di procedere, nella procedura fallimentare, a vendita immobiliare a trattativa privata, stante la norma imperativa di cui alla L. Fall., art. 108 e perciò l’illegittimità dell’autorizzazione alla transazione impartita dal giudice delegato, volta a consentire una vendita non corrispondente ad uno dei due tipi ivi previsti e pertanto invalida, nel dichiarare la nullità del trasferimento immobiliare concluso, aveva ritenuto: a) infondata la domanda subordinata di inefficacia della nullità degli atti del processo esecutivo, invocata ex art. 2929 c.c. dalle convenute acquirenti, b) sussistente il diritto delle originarie trasferitarie dell’immobile alla restituzione del corrispettivo pagato, stante la venuta meno del titolo alla percezione delle somme, c) insussistente la richiesta di risarcimento danno da responsabilità precontrattuale del fallimento, essendo inconfigurabile ogni culpa in contrahendo ove la invalidità del negozio derivi, da norma inderogabile di legge, per presunzione assoluta nota ai consociati, d) inammissibile la domanda di rimborso delle spese di manutenzione e miglioramenti, perchè l’obbligo restitutorio, che ne costituisce il fondamento, non era attuale, avendo omesso il fallimento di proporre in giudizio una sua domanda in tal senso, nonché e) inammissibile per tardività di introduzione, la domanda di nullità del riparto parziale con cui nel fallimento il creditore omissis era stato pagato.
I ricorrenti deducevano, in primo luogo, il vizio di omessa motivazione, avendo la Corte trascurato di motivare la ragione per la quale il trasferimento immobiliare concluso mediante transazione dovesse essere inteso quale vendita vietata; in secondo luogo, la violazione dell’art. 1338 c.c. ed il vizio di motivazione, ove la sentenza aveva erroneamente negato il fondamento della domanda di risarcimento, svolta in via subordinata; ed ancora, la violazione di legge quanto agli artt. 1418 e 2041 c.c. avendo la Corte erroneamente negato il rimborso delle spese per i lavori sull’immobile, condizionandolo alla domanda del fallimento mentre si trattava di effetto legale della nullità, nonché, infine, la violazione dell’art. 112 c.p.c., così configurando la sentenza viziata per omessa pronuncia su una domanda di parte.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale, il Fallimento deduceva il vizio di motivazione, ove la sentenza aveva evitato di confrontarsi con la fattispecie mediante un’applicazione meccanica del principio di diritto espresso dalla sentenza di cassazione.
Il Collegio, innanzitutto, dichiarava infondati il primo motivo di ricorso principale, nonchè l’unico motivo del ricorso incidentale del Fallimento, rilevando, all’uopo, che nessun negozio giuridico attraverso il quale venga attuato il trasferimento a trattativa privata di immobili acquisiti al fallimento, si sottrae alla sanzione di nullità ex art. 1418 c.c., destinata ad investire anche quei provvedimenti degli organi fallimentari direttamente consequenziali alla vendita.
La Suprema Corte sottolineava, infatti, che l’art. 108 L.F. non consente la vendita di un bene immobile a trattativa privata ma soltanto l’alienazione nelle forme della vendita forzata, con o senza incanto, che si conclude con il decreto di trasferimento del bene, onde è nulla per contrarietà a norma imperativa la vendita a trattativa privata.
Ad avviso del Giudicante, peraltro, doveva ritenersi illegittimo il provvedimento del giudice delegato autorizzativo di una vendita non pienamente corrispondente ad uno dei due tipi, con o senza incanto, espressamente previsti e disciplinati dall’art. 108 cit..
Il Collegio, inoltre, dichiarava inammissibile il secondo motivo di ricorso, osservando che ove la nullità di un negozio derivi dalla violazione di una norma imperativa o proibitiva di legge, o di altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, cioè tali da dover essere note, per presunzione assoluta, alla generalità dei cittadini, ovvero tali, comunque, da potere essere conosciute attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse.
Gli ermellini, inoltre, rilevata l’inammissibilità del terzo e quarto motivo di ricorso, in considerazione dell’accertata assenza di una domanda del fallimento volta alla restituzione del bene, alla stregua del principio generale evincibile dall’art. 1150 c.c. per cui, pur essendo l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta un effetto naturale, sul piano processuale è necessario che la parte proponga specifica domanda ai fini di detti effetti restitutori, non potendo la prestazione essere disposta d’ufficio, rigettava il ricorso, condannando i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite.
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