Testo massima
La Corte di Cassazione con sentenza n.10004 del 06/05/2011 si è pronunciata sulla questione relativa ai pagamenti effettuati successivamente alla dichiarazione di fallimento, con particolare riferimento al pagamento effettuato dal fideiussore sul conto corrente del debitore fallito a copertura dello scoperto. Detto pagamento è opponibile al fallimento.
La Corte ha chiarito che il cd. principio di autonomia contrattuale consente al fideiussore di uno scoperto di estinguere il proprio debito in modo indiretto, mediante accreditamento della somma sul conto perché la banca se ne giovi, anziché in modo diretto (versamento alla banca).
Pertanto, nel caso in cui il terzo fideiussore versi sul conto corrente del debitore, dopo il fallimento di costui, una somma corrispondente allo scoperto del conto stesso, e risulti altresì l’inesistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che il terzo abbia adempiuto il proprio debito fideiussorio, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui alla Legge Fallimentare, art.44.
Il contesto normativo
ART. 44 ATTI COMPIUTI DAL FALLITO DOPO LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.
Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Fermo quanto previsto dall’articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24108/2005 proposto da:
CASSA ALFA SPA – GRUPPO BANCARIO;
RICORRENTE
Contro
FALLIMENTO BETA SRL;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 259/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 05/03/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il fallimento BETA SRL, dichiarato con sentenza del 26 febbraio 1991, nel marzo 1996 convenne in giudizio davanti al Tribunale di Siracusa la CASSA ALFA SPA, esponendo che nel conto corrente della cooperativa fallita risultavano annotati versamenti eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento.
Assumendone l’inefficacia ai sensi della Legge Fallimentare, art.44, chiese quindi il rimborso del corrispondente importo di L. 133.000.000; in subordine chiese il medesimo rimborso invocando l’art.78 o la revoca dei versamenti ai sensi dell’art.67 della stessa legge.
La Cassa si difese sostenendo che si trattava di pagamenti di terzi fideiussori, da essa escussi con decreto ingiuntivo ed iscrizioni ipotecarie, fino a raggiungere un accordo transattivo.
Il Tribunale di Siracusa accolse la domanda. Ritenne non opponibile alla curatela, in quanto privo di data certa, l’atto di transazione prodotto dalla Cassa, e dunque considerò i versamenti, di cui non era stato provato il titolo, quali beni sopravvenuti al fallimento, automaticamente acquisiti alla massa ai sensi della Legge Fallimentare, art.42.
La Corte d’appello di Catania respinse poi il gravame della CASSA ALFA SPA, osservando (per quanto ancora rileva) che l’atto di transazione prodotto dalla CASSA era privo di data certa, dunque non era opponibile al fallimento, e tanto bastava a destituire di fondamento la tesi dell’appellante secondo cui i pagamenti erano stati eseguiti dai fideiussori per estinguere un debito proprio e non della cooperativa fallita.
Inoltre i pagamenti erano stati effettuati allorché il conto corrente risultava già chiuso da diverso tempo, e ciò rendeva indubitabile che i medesimi erano finalizzati a ridurre il debito della fallita e non a pagare un debito personale dei fideiussori; il che era anche confermato dalla circostanza che i versamenti erano stati eseguiti da alcuni soltanto dei fideiussori stessi e non coprivano l’intero importo a debito della cooperativa.
In definitiva i versamenti, “dovendosi considerare essere stati eseguiti dai terzi per conto della società fallita, andavano inquadrati nell’ambito di quell’attività preclusa al fallito ai sensi della Legge Fallimentare, artt.42 e 44”.
La CASSA ALFA SPA ha quindi proposto ricorso per cassazione per due motivi.
Il fallimento ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Va preliminarmente dato atto dell’eccezione della curatela controricorrente di inesistenza della notifica del ricorso perchè richiesta da soggetto diverso dalla parte del rapporto processuale (richiedente essendo tale rag. d.M.G., effettivamente non menzionato, nell’epigrafe del ricorso, tra i soggetti in persona dei quali la ricorrente sta in giudizio).
1.1. – L’eccezione è infondata, perchè l’attività di impulso del procedimento notificatorio – consistente essenzialmente nella consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario – può, dal soggetto legittimato, e cioè dalla parte o dal suo procuratore in giudizio, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente, e in tal caso l’omessa menzione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito l’attività suddetta, ovvero (come nel nostro caso) della sua qualità di incaricato del legittimato, è irrilevante ai fini della validità della notificazione se, alla stregua dell’atto da notificare, risulta egualmente certa la parte a istanza della quale essa deve ritenersi effettuata. Tale principio opera per l’atto di citazione, per il ricorso in cassazione e, in genere, per gli atti di parte destinati alla notificazione, la quale deve essere imputata alla parte medesima, con la conseguenza che le omissioni suddette non danno luogo a inesistenza o nullità della notificazione (Cass. Sez. Un. 9213/1990 e successive conformi).
2. – Con entrambi i motivi di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello, pur riconoscendo che i versamenti provenivano da fideiussori della cooperativa fallita, abbia tuttavia concluso che gli stessi avevano lo scopo di ridurre il debito della società, piuttosto che quello di estinguere il debito dei fideiussori, sol perchè affluiti su un conto corrente formalmente chiuso e perchè effettuati da alcuni soltanto dei garanti.
2.1. – Più in particolare, con il PRIMO MOTIVO si deduce che, così facendo, la corte abbia:
a) trascurato che il dato formale del versamento sul conto della società fallita era superato dal dato sostanziale della volontà di adempiere all’obbligazione fideiussoria, inequivocabilmente risultante dai documenti prodotti dalla banca, quali in particolare il decreto ingiuntivo nei confronti dei fideiussori, la nota di iscrizione di ipoteca giudiziale contro i medesimi, la nota di cancellazione della stessa dopo l’esecuzione dei versamenti;
b) violato il principio secondo cui il versamento del fideiussore sul conto corrente passivo del fallito deve intendersi quale pagamento del suo debito fideiussorio, ove non risulti che egli fosse altresì debitore del fallito;
c) che la motivazione dell’assunto dei giudici di appello sia carente o contraddittoria, in particolare perchè alle modalità di registrazione contabile del versamento non possono attribuirsi effetti giuridici propri, e perchè non era stata valutata la possibilità che i garanti avessero pagato solo parte del debito allo scopo di ottenere la cancellazione dell’ipoteca.
2.2. – Con il SECONDO MOTIVO si deduce che i giudici non hanno tenuto conto di tutte le circostanze indicate a dimostrazione che i versamenti erano stati eseguiti in virtù dell’obbligo fideiussorio e allo scopo di ottenere la cancellazione dell’ipoteca giudiziale, e che non è onere della banca creditrice provare l’assenza di debiti del fideiussore adempiente nei confronti del debitore principale fallito, al fine di dimostrare che il medesimo abbia appunto adempiuto al suo obbligo fideiussorio.
2.3. – I due motivi, tra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente ed accolti sotto l’assorbente profilo della violazione di legge.
Da tempo, invero, questa Corte ha chiarito che il principio di autonomia contrattuale consente che il fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario estingua il proprio debito fideiussorio in modo indiretto, ossia mediante accreditamento della somma sul conto perchè la banca se ne giovi, anzichè in modo diretto, ossia mediante versamento alla banca. Pertanto, allorchè un terzo versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una somma corrispondente allo scoperto del conto stesso, per il quale esso terzo aveva prestato fideiussione, e risulti altresì l’inesistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che costui abbia adempiuto il proprio debito fideiussorio, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui alla Legge Fallimentare, art.44 (Cass. 7695/1998 e 13834/2002, nonchè, nello stesso ordine di idee, ma con riguardo a versamenti anteriori alla dichiarazione del fallimento ed effettuati su conto corrente ancora aperto, Cass. 17532/2003, 16874/2005, resa a sezioni unite, 13092/2008, 18234/2009, che hanno escluso l’assoggettabilità a revoca ai sensi della Legge Fallimentare, art.67).
Nel nostro caso, l’inesistenza di debiti dei fideiussori nei confronti della cooperativa fallita è pacifica, anzi è addirittura pacifico che il versamento eseguito dai primi sul conto corrente della seconda costituiva pagamento del debito da saldo passivo del conto stesso; sicchè non residuava alcuno spazio per porre in dubbio che quei versamenti fossero stati fatti, al di là della forma assunta dalla loro contabilizzazione (sul carattere neutro dell’annotazione in conto corrente e la necessità di considerare, invece, il titolo e la causa di essa per accertarne le conseguenze giuridiche, cfr. Cass. Sez. Un. 16874/2005, cit.), alla banca ad estinzione del debito dei fideiussori (nonchè, contemporaneamente, del debito principale della cooperativa, com’è tipico del rapporto fideiussorio) e non alla cooperativa (già) titolare del conto.
3. – In accoglimento della predetta censura, la sentenza impugnata va dunque cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art.384 cc, comma 1, ult. parte, con il rigetto della domanda del fallimento.
Quanto alle spese processuali, è equo compensare quelle del giudizio di primo grado, in considerazione dell’ignoranza, da parte della curatela, della causale dei versamenti, indicata dalla banca nelle sue difese processuali; le spese dei gradi successivi, invece, vanno poste a carico della parte soccombente e sono liquidate come in dispositivo
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del fallimento; dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio di primo grado; condanna il fallimento alle spese del giudizio di appello e del giudizio di cassazione, liquidate rispettivamente in Euro 4.151,00, di cui Euro 931,00 per diritti e Euro 3.120,00 per onorari, e in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
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