LA MASSIMA
È da ritenersi che il pagamento COATTIVO ottenuto dal creditore del soggetto in decozione attraverso il positivo esperimento di una procedura esecutiva, possa portare alle medesime conseguenze tipiche del pagamento ottenuto spontaneamente dal debitore poi dichiarato fallito.
In particolare, secondo tale orientamento, ai fini della revocabilità di siffatta tipologia di pagamento non rileva in alcun modo l’elemento psicologico del creditore procedente, essendo esclusivamente sufficienti la circostanza che il pagamento venga effettuato nel “periodo sospetto” e che questo arrechi conseguenze negative sulla garanzia patrimoniale del debitore, che compromettano la par condicio creditorum.
La decisione emessa in materia di revocatoria fallimentare da giudice monocratico non componente la sezione fallimentare è valida in quanto il giudizio di revocatoria fallimentare, appartiene alla competenza funzionale, ai sensi dell’art.24 Legge Fallimentare, del Tribunale che ha dichiarato il fallimento, per cui la sezione fallimentare non già essa stessa autonomo ufficio, munito di propria competenza, atteso che la ripartizione delle cause è un prerogativa insindacabile dell’ufficio giudiziario.
IL CASO
Un CURATORE FALLIMENTARE aveva impugnato il pagamento di una somma ottenuta da un creditore in danno di un soggetto successivamente dichiarato fallito, attraverso il positivo esperimento di una procedura esecutiva mobiliare presso terzi.
Secondo la curatela fallimentare (attrice nel giudizio di revocatoria), il creditore procedente (convenuto nel giudizio di revocatoria) era ben a conoscenza dello stato di difficoltà economica del debitore esecutato (poi dichiarato fallito), conclamato, tra l’altro, da numerosi protesti elevati a carico del predetto, e da altre procedure esecutive avviate in suo danno.
La decisione di ritenere revocabile il pagamento effettuato in tali condizioni (in periodo sospetto ed a fronte di numerosi protesti e procedure posti a carico del debitore) e con tali modalità (all’esito di una procedura esecutiva mobiliare), veniva confermata anche dai giudici di secondo grado.
Tale decisione veniva impugnata dal creditore revocato con ricorso innanzi la Suprema Corte sia in quanto vi sarebbe stata violazione del’art.24 Legge Fallimentare, in quanto la sentenza sarebbe stata emessa non dal Tribunale fallimentare, sia un quanto la sentenza sarebbe illegittima atteso che non vi sarebbe stata prova della piena scientia decotionis.
LA DECISIONE
La Corte ha rigettato il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In riferimento alla doglianza della asserita violazione dell’art.24 Legge Fallimentare la decisione è immune da vizi in quanto la sezione fallimentare, peraltro, non rappresenta sezione specializzata e non è un ufficio autonomo, munito di propria competenza, bensì semplice ripartizione interna all’ufficio giudiziario per cui è sufficiente che la causa sia instaurata davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento
La Corte, inoltre, ha riaffermato il principio – contestato dal ricorrente – secondo il quale la valutazione sulla piena sussistenza della scientia decotionis, debba essere effettuata tenendo conto di quelli che sono tutti gli elementi complessivamente indicativi dello stato di difficoltà economica del debitore, analizzati in stretto collegamento tra di loro.
Sul punto, la Cassazione ha censurato radicalmente le tesi del ricorrente che, diversamente da quanto sopra, vorrebbe dimostrare la inscientia decotionis argomentando la stessa sulla base di una segmentazione degli elementi indiziari che contrasta con i criteri di valutazione organica degli stessi, prima affermati.
IL COMMENTO
La sentenza emessa dal giudice monocratico non componente altresì la sezione fallimentare è valida atteso che il Tribunale fallimentare può astrattamente identificarsi nel Tribunale territoriale che ha emesso la dichiarazione di fallimento e non è un ufficio autonomo, munito di propria competenza anche considerato che la sezione fallimentare, non rappresenta sezione specializzata bensì una semplice ripartizione interna all’ufficio giudiziario.
Il pagamento coattivo ottenuto dal creditore mediante esperimento di procedura esecutiva individuale è revocabile in quanto l’accipiens ha la percezione DIRETTA dello stato di difficoltà dell’imprenditore, per cui vi è la concreta violazione della par condicio creditorum, essendo stato costretto ad agire esecutivamente in danno dell’imprenditore.
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
CREDITORE
RICORRENTE
CONTRO
CURATELA DEL FALLIMENTO
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n.285/2004 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, DEPOSITATA il 10.11.2004;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza n.285 depositata il 10 novembre 2004 e notificata l’8 marzo 2005, a conferma di precedente decisione del Tribunale di Isernia, ha accolto la domanda proposta con citazione dell’8.9.97 dalla CURATELA FALLIMENTARE nei confronti del CREDITORE, volta ad ottenere la declaratoria d’inefficacia del pagamento eseguito in L.216.554,614 a favore di quest’ultima dal Comune di VETTELASPESCA in qualità di terzo esecutato.
La società convenuta aveva pignorato presso l’ente le somme da esso dovute alla debitrice a titolo di corrispettivo per l’esecuzione di opere oggetto di un precedente contratto d’appalto, e, dunque, secondo l’attore, alla data del pagamento, avvenuto con mandato emesso nel periodo sospetto n.647 del 3.11.95, era consapevole della crisi irreversibile in cui versava l’obbligato, conclamata anche da numerosi protesti ed altre procedure esecutive.
Il CREDITORE ha impugnato questa decisione con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Il curatore fallimentare ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il PRIMO MOTIVO, con cui si denuncia violazione di norme di diritto, pone la questione, che si assume erroneamente risolta dal giudice d’appello, se la nullità della citazione si estenda alla procura apposta a margine della stessa, per lo stretto nesso funzionale esistente tra l’atto ed il negozio giuridico, sì che la rinnovazione della citazione postula il rilascio di altro mandato al difensore.
Il controricorrente deduce infondatezza del mezzo.
Il motivo è privo di fondamento.
La Corte d’appello ha escluso che la nullità dell’atto di citazione notificato in data 8.9.97 si fosse trasmessa alla procura ad litem ivi apposta a margine e richiamata nel successivo atto di citazione rinnovato, siccome rappresenta negozio autonomo, prius temporale e logico dell’attività svolta dal difensore.
Tale decisione è immune dall’errore denunciato in quanto ha risolto la questione controversa a lume del principio consolidato (cfr. per tutte Cass. n.10231/2010), secondo cui l’invalidità dell’atto di citazione non travolge la procura speciale validamente rilasciata a margine od in calce allo stesso atto di citazione, ma, “coerentemente con le esigenze di speditezza del processo civile, conserva una sua specifica identità negoziale ed una sua autonomia logica e giuridica, desumibili anche dalla varietà delle modalità di conferimento indicate nell’art.82 cpc, nonchè dal rilievo che, dal mero dato della localizzazione della procura, non può farsi derivare il restringimento degli ampi poteri che con essa la parte conferisce al difensore, estesi al compimento di tutte le attività volte al conseguimento della tutela giudiziaria, e dunque inerenti non solo al compimento degli atti introduttivi ma anche alla conduzione e prosecuzione del giudizio, ivi compresa, ove necessario, la rinnovazione della citazione nell’ipotesi di nullità oltre che la definizione della lite”.
Il principio, da cui non vi è ragione di discostarsi ed al quale ineccepibilmente i giudici di merito si sono attenuti, va riaffermato in questa sede ed alla sua luce il motivo, che non ne sollecita rivisitazione attraverso convincenti argomenti di confutazione, devesi respingere.
2.- Il SECONDO MOTIVO denuncia violazione della Legge Fallimentare, art.24.
Pone la questione di diritto se la competenza inderogabile a conoscere dell’azione revocatoria esperita dalla curatela fallimentare si appartenga al Tribunale fallimentare.
Il controricorrente deduce infondatezza anche di questa censura, ribadendo che la lite giudiziaria è stata correttamente trattata dal tribunale in composizione monocratica.
Il motivo è infondato.
Il giudice d’appello ha sostenuto che il Tribunale ha trattato, e quindi deciso regolarmente la causa in composizione monocratica, non riservata alla trattazione collegiale.
La sezione fallimentare, peraltro, non rappresenta sezione specializzata bensì semplice ripartizione interna all’ufficio giudiziario.
La censura indirizzata avverso questa statuizione è manifestamente infondata.
La Sezione fallimentare, come ha ben detto il giudice d’appello, è espressione dell’organizzazione interna del Tribunale (cfr. Cass. n.21217 del 1990) e non già un ufficio autonomo, munito di propria competenza.
Se perciò la causa è instaurata davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento, non invalida l’atto di citazione, nè lo stesso giudizio il fatto che il giudice adito nel Tribunale stesso non sia indicato nella sua sezione fallimentare.
Il motivo deve perciò essere rigettato.
3.- Il TERZO MOTIVO prospetta in un primo profilo vizio di motivazione in ordine al requisito della scientia decotionis, errata valutazione degli elementi probatori acquisiti al bagaglio istruttorio, malgoverno delle norme applicabili che prescrivono la conoscenza effettiva e non potenziale della condizione di dissesto del debitore, che, in quanto tale, non può concretare mera situazione psicologica.
Si contesta che la prova della sussistenza di protesti pubblicati prima dell’atto revocando, avente valore solo indiziario, ne dimostri la conoscenza effettiva e si lamenta che occorreva piuttosto indicare, attraverso puntuale motivazione, il veicolo attraverso il quale detta conoscenza potesse essere raggiunta in concreto.
Si assume infine che sarebbe stata agevolmente percepibile la prova della inscientia decotionis per il fatto che essa ricorrente aveva eseguito forniture in favore dell’impresa fallita, proprio per l’appalto concluso col Comune il cui corrispettivo ammontava all’ingente importo di Lire 400.000.000.
In altro profilo deduce l’irrevocabilità del pagamento controverso siccome COATTIVO e non VOLONTARIO.
Il controricorrente deduce l’infondatezza anche di questo motivo.
La decisione impugnata sostiene che la prova della scientia decotionis era emersa alla luce dello stesso esperimento della procedura esecutiva, attivata dalla creditrice per conseguire il pagamento del suo credito, sintomatico dell’assunzione di informazioni sulla situazione economica della debitrice, dunque dell’esistenza di protesti cambiari pubblicati a suo carico, procedure esecutive in corso, ed istanze di fallimento già proposte.
La censura indirizzata avverso questo passaggio logico è inammissibile.
Il tessuto motivazionale che sorregge l’approdo rende conto della pluralità degli elementi di valutazione considerati, di cui ha precisato la gravità – per il grado di convincimento che ciascuno di tali fatti è idoneo a produrre, la precisione – nel senso che ha giustificato il ragionamento probabilistico – e la concordanza- siccome univocamente convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto.
La sintesi conclusiva tratta dal loro esame ha convalidato la conoscibilità da parte della convenuta dello stato d’insolvenza della società debitrice, stato non potenziale ma concreto ed effettivo.
La tecnica argomentativa con cui si critica questo iter logico sulla base della lettura atomistica delle circostanze riferite, enucleando dal complessivo bagaglio probatorio alcuni dati e proponendo rivisitazione dell’indagine sul contesto indiziario in cui si collocano, per un verso è errata, poichè segmenta gli elementi indiziari secondo canone contrario al dettato dell’art.2729 cc, in forza del quale i dati sintomatici devono essere valutati sicuramente in maniera analitica ma anche e soprattutto in collegamento, per altro verso è inammissibile, perchè rimette in discussione, per contestarne ovvero avvalorare la specifica efficacia di fonte indiretta di prova, le singole circostanze illustrate e ne sollecita apprezzamento nel merito in questa sede precluso.
Nell’ulteriore profilo riferito, il motivo è infondato.
La questione di diritto posta dalla censura va risolta alla luce del consolidato orientamento che ha affermato la revocabilità del pagamento, ottenuto dal creditore mediante esperimento di procedura esecutiva individuale, nella specie espropriazione presso terzi.
E’ indubbio che siffatto pagamento, se risalente al periodo sospetto, realizza il soddisfacimento del creditore procedente, seppur in forma coattiva, in senso assolutamente analogo a quello attuato liberamente dallo stesso debitore insolvente (v. Cass. nn.6291/1998, 1611/2000, 463/2006, 4709/2006).
Ciò che rileva ai fini della sua revocabilità non è l’atteggiamento psicologico che lo sorregge (dunque se sia frutto di libera scelta del debitore ovvero prescinda dalla sua volontà) ma l’effetto che esso procura sulla integrità della garanzia patrimoniale, cui procura lesione, atteso il suo valore comunque preferenziale, compromettendo per l’effetto la par condicio creditorum.
Tutto ciò premesso il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 3.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori legge.
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