Il beneficio della preventiva escussione non può essere opposto dal fideiussore in caso di sottoposizione del debitore principale a procedura concorsuale, ove non vi siano ed ove non siano dal fideiussore indicati beni del debitore principale ancora suscettibili di essere assoggettati ad azione esecutiva individuale dl creditore.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte cassa con rinvio, in relazione alla censura accolta, la sentenza gravata emessa dal Tribunale di Roma che aveva affermato la inoperatività della garanzia fideiussoria per l’operatività del beneficium excussionis.
Con tale pronuncia il Tribunale capitolino si era discostato dalla giurisprudenza di legittimità sulla non esperibilità – in via normale – nel caso di fallimento del debitore principale del detto beneficio, in considerazione dell’universalità oggettiva che qualifica le procedure concorsuali liquidatorie e che è incompatibile con la struttura del beneficio, poiché la relativa eccezione presuppone l’indicazione, da parte del garante, dei beni del debitore da sottoporre ad esecuzione.
Il Giudice del merito, al contrario, aveva qualificato inutile, in dipendenza dell’effetto espropriativo generale del fallimento, la previsione dell’art. 1944 cc giacchè il complesso dei beni aggredibili si appalesava pienamente nell’ambito della procedura concorsuale stessa, ritenendo che nel caso di fallimento del debitore principale, non sia aggredibile il patrimonio del fideiussore fino all’esaurimento della procedura concorsuale.
La Suprema Corte, confermando il principio secondo cui con la procedura concorsuale, nessuna iniziativa processuale personale può di norma essere attivata o proseguita dal creditore, stante il divieto generalissimo dell’art. 51 legge fall.. ha affermato che non può trovare operatività, salvo il caso di espressa estensione del beneficio proprio ed appunto alla fattispecie della procedura concorsuale (che si è visto però non ricorrere nel caso in esame), l’onere del creditore di attivarsi personalmente con iniziative esecutive sul patrimonio del debitore principale, non può operare neppure il beneficio, previsto in favore del fideiussore, di sfuggire temporaneamente all’escussione del proprio patrimonio per il soddisfacimento della ragione di credito garantita.
La Suprema Corte, con la pronuncia in esame afferma, altresì, che nulla vieta, come sottolineato dalla giurisprudenza affermatasi in precedenza, che l’alea peculiare della sottoposizione della propria ragione di credito alla procedura concorsuale, per le intuitive ulteriori difficoltà di soddisfacimento indotte dalla concorsualità della stessa, possa essere accettata dalle parti: ma, appunto e per quanto detto, si esige una chiara ed univoca estensione del beneficio proprio a tale evenienza; la quale, al contrario e secondo quanto rilevato sulla base della stessa motivazione della gravata sentenza, difetta nel caso di specie.
In conclusione, il beneficio della preventiva escussione – e salvo il caso di una esplicita sua estensione ad una tale eventualità – non può essere opposto dal fideiussore in caso di sottoposizione del debitore principale a procedura concorsuale, ove non vi siano ed ove non siano dal fideiussore indicati beni del debitore principale ancora suscettibili di essere assoggettati ad azione esecutiva individuale del creditore.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12907-2009 proposto da:
BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA
RICORRENTE
contro
BANCA VIOLA SPA
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n.10375/2008 del TRIBUNALE di ROMA, emessa il 6/5/2008, depositata il 19/05/2008, R.G.N. 66661/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di precetto notificato il 15.9.05 il BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA intimò a BANCA VIOLA SPA il pagamento della somma di Euro 3.486.084,07, in forza di un titolo costituito dal contratto di mutuo agrario stipulato tra il BANCA ROSSA SPA ed il CONSORZIO REGIONALE, il tutto a rogito per notar Tizio di Potenza in data 1 aprile e 23 giugno 1994.
Con atto di citazione notificato il 5.10.05 – ed iscritto al n. 66661/05 r.g. del Tribunale di Roma – la BANCA VIOLA SPA conveniva in giudizio il BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA, per sentire dichiarare l’inesistenza di un valido titolo esecutivo in capo al convenuto per agire in base a detto precetto – mancando qualsiasi obbligazione per un diritto di credito certo, liquido ed esigibile – e comunque per sentire accertare, da un lato, la mancata preventiva escussione del debitore principale e dell’altra fideiussione della F.I.G. e, dall’altro, l’illegittimità della clausola dell’art. 9 del contratto, che impediva il diritto di regresso e surroga di BANCA VIOLA SPA fino alla totale estinzione della ragione di credito garantita.
Con successivo atto di precetto notificato il 28-2.96 la stessa BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA rinnovò l’intimazione già rivolta alla BANCA VIOLA SPA con il precedente atto di precetto, cui dichiarava di avere rinunciato, ma la BANCA VIOLA SPA si oppose con atto di citazione in data 8.3.06 (ed iscritto al n.18695/06 r.g. del medesimo Tribunale di Roma), contestando sia la legittimità della reiterazione del precetto e della dedotta rinuncia, sia la legittimazione attiva della precettante, per poi sviluppare domande analoghe a quelle dispiegate nel precedente giudizio.
Richiesta, IN VIA RICONVENZIONALE, in entrambi i giudizi dall’opposta la condanna dell’ingiunta al pagamento della somma recata dal precetto e replicata l’inoperatività dell’ex adverso invocato art.1944 cc in presenza della liquidazione coatta amministrativa del debitore principale, le due opposizioni a precetto furono riunite ed unitariamente decise con sentenza n.10375/08, pubblicata il 19.5.08, con la quale il Tribunale capitolino:
negò la ritualità della costituzione del BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA;
dichiarò cessata la materia del contendere in ordine al primo precetto, a seguito della rituale rinuncia ad esso, non abbisognevole di accettazione;
ammise la legittimazione della BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA per un suo credito proprio e la possibilità di reiterare i precetti, vietata essendo soltanto la duplicazione delle pretese per le relative competenze;
accolse il principale motivo di opposizione, ritenendo non certo e non esigibile il credito verso il fideiussore contenuto nel contratto di mutuo agrario;
escluse la colpa del creditore nell’escussione del patrimonio della debitrice principale;
escluse pure l’illegittimità della clausola di cui all’art.9 del contratto, sulla persistenza della garanzia fino alla totale estinzione di ogni ragione di credito verso il debitore principale;
ammise però l’inoperatività della garanzia, per l’operatività del beneficium excussionis, sul punto meditatamente discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità (soprattutto Cass.10610/94) che quella escludeva invece in caso di fallimento del debitore principale;
dichiarò pertanto la nullità del secondo precetto, rigettando le domande riconvenzionali della precettante e compensando le spese.
2. Avverso tale sentenza, non notificata, propone ricorso per cassazione, affidandosi a DUE MOTIVI, la BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA.
Resiste con controricorso BANCA VIOLA SPA; e, per la pubblica udienza del 6.6.11, illustrati da BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA. con memoria ai sensi dell’art.378 cpc i motivi di ricorso, entrambe le parti prendono parte alla discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA propone DUE QUESITI; ed in particolare:
con il PRIMO – rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art.474 cpc e art.24 Cost.. Erronea pronuncia di nullità del precetto per ritenuta insussistenza di un valido titolo esecutivo” – essa:
si duole della qualificazione, data dal giudice del merito, di carenza di certezza dell’obbligo di garanzia in capo all’intimata: e tanto perché, a suo dire, una volta riscontrati i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità tanto per il credito verso il debitore principale che verso il fideiussore fin dal rogito notarile, l’aleatorietà dell’insorgenza dell’obbligo del garante, subordinato all’evento futuro e incerto dell’inadempimento del debitore principale, è venuta meno proprio con la successiva ammissione del credito verso quest’ultimo al passivo della sua liquidazione coatta amministrativa;
e pone il seguente quesito di diritto: posto che il Tribunale di Roma ha dichiarato la nullità dei precetti opposti, ritenendo che i titoli esecutivi su cui BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA ha fondato le intimazioni medesime non incorporassero un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti del fideiussore BANCA VIOLA SPA, dica la Suprema Corte se il Giudice a quo è in tal modo incorso in violazione e falsa applicazione dell’art.474 cpc e art.24 Costituzione.
Dica in particolare se il contratto di finanziamento del 1 aprile 1994 e l’atto di quietanza a saldo del 23 giugno 1994 sono validi titoli esecutivi ai sensi dell’art.474 cpc ed incorporano un diritto di credito di SGA (anche) nei confronti di BANCA VIOLA SPA (nella qualità di fideiussore di CONSORZIO REGIONALE) che presenta i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. In accoglimento del presente motivo di ricorso, la Suprema Corte cassi la sentenza impugnata, decidendo nel merito la controversia (non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art.384 cpc, comma 2, u.c.) e per l’effetto definitivamente rigettando l’opposizione di BANCA VIOLA SPA avverso il precetto notificatole da BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA in data 28 febbraio 2006.
In subordine e comunque sempre in accoglimento del presente motivo di ricorso, la Suprema Corte cassi la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione del Tribunale civile di Roma, affinchè, presupposta la validità, l’efficacia e l’opponibilità dei titoli esecutivi de quibus(contratto di finanziamento dello aprile 1994 ed atto di quietanza a saldo del 23 giugno 1994) anche nei confronti del fideiussore in essi costituito, decida nel merito la controversia;
con il SECONDO – rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art.1944 cc Erroneo rigetto delle domande riconvenzionali di condanna formulate da BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA sul presupposto dell’ultrattività del beneficium excussionis, pur in presenza della procedura di liquidazione coatta amministrativa di CONSORZIO REGIONALE ed in mancanza dell’indicazione, da parte del fideiussore, di beni del debitore principale utilmente aggredibili da BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA ” – la ricorrente:
ampiamente si duole dell’interpretazione a suo dire contra legem data dal giudice del merito dell’art. 1944 cod. civ. e ribadisce la correttezza della deroga legale al beneficio della preventiva escussione del patrimonio del debitore principale in caso di fallimento – od equipollente procedura concorsuale – di quest’ultimo;
e conclude con il seguente quesito di diritto:
posto che
a) la fideiussione prestata dalla BANCA VIOLA SPA con il contratto di finanziamento del 1 aprile 1994 prevede la necessità per il creditore garantito di escutere preventivamente il patrimonio del debitore principale, prima di poter azionare la fideiussione medesima ;
b) posto altresì che CONSORZIO REGIONALE è stata assoggettata a procedura di liquidazione amministrativa con decreto ministeriale del 25 ottobre 2000;
c) posto inoltre che, anche nella specie, vige il divieto di cui all’art.51 Legge Fallimentare (espressamente richiamato dalla Legge n.400 del 1975, cui CONSORZIO REGIONALE soggiace) ed è così impedito a tutti i creditori (anche a quelli titolari di crediti agrari) di agire individualmente, in pendenza della predetta procedura concorsuale;
d) posto ancora che, per dottrina e giurisprudenza costante, il beneficium excussionis non può operare nel caso di sottoposizione del debitore principale ad una procedura concorsuale, salvo il caso in cui le parti contraenti non abbiano diversamente e chiaramente pattuito;
e) posto pure che il BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA e la BANCA VIOLA SPA non hanno affatto pattuito l’ultrattività del beneficium excussionis per il caso di assoggettamento di CONSORZIO REGIONALE ad una procedura concorsuale;
f) posto in ogni caso che BANCA VIOLA SPA ha comunque omesso di indicare a SGA i beni del debitore principale utilmente aggredibili; tutto ciò posto, dica la Suprema Corte se la sentenza impugnata ha violato e/o falsamente applicato l’art.1944 cc, ritenendo operante il beneficium excussionis anche in presenza dell’assoggettamento del debitore principale ad una procedura concorsuale e nonostante fosse conseguentemente divenuta “… impossibile …” l’indicazione cui il fideiussore è tenuto ex art.1944 cc, comma 2.
In accoglimento del presente motivo di ricorso, la Suprema Corte cassi, la sentenza impugnata, decidendo nel merito la controversia (non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 cpc, comma 2, ultimo inciso) e per l’effetto condanni BANCA VIOLA SPA al pagamento, in favore di BANCA ROSSA DI ATTIVITA’ SPA, dell’importo di Euro 3.486.084,07, oltre interessi convenzionali dal di della domanda (28 febbraio 2006:data di notifica del precetto non rinunciato) all’effettivo soddisfo.
In subordine e comunque sempre in accoglimento del presente motivo di ricorso, la Suprema Corte cassi la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione del Tribunale civile di Roma, affinchè, presupposta l’inoperatività nella specie del beneficium excussionis (in ragione dell’assoggettamento di CONSORZIO REGIONALE alla procedura di liquidazione coatta amministrativa e della conseguente impossibilità anche per il creditore agrario – di iniziare e/o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore principale), decida nel merito la controversia.
Dal canto suo, la controricorrente BANCA VIOLA SPA:
contesta l’ammissibilità del ricorso per non conformità dei quesiti al disposto dell’art.366-bis cpc, anche perché i motivi si risolvono nella riproposizione delle conclusioni già prese nel giudizio di merito;
stigmatizza l’infondatezza del primo motivo, siccome il solo titolo esecutivo ravvisabile nella fattispecie era azionabile esclusivamente contro il debitore principale, con conseguente carenza di certezza ed esigibilità del credito verso il fideiussore;
evidenzia l’infondatezza del secondo motivo, ricostruendo la ratio del beneficium excussionis e ribadendo LA MANCANZA DI PROVA DELL’IMPOSSIBILITÀ, nel caso in esame, DI SODDISFARE ANCHE SOLO IN PARTE IL CREDITO VERSO IL DEBITORE PRINCIPALE.
Va preliminarmente rilevato che alla fattispecie si applica l’art.366-bis cpc; ed infatti:
tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n.40, art.6 e resta applicabile – in virtù dell’art.27, comma 2, medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della Legge 18 giugno 2009, n.69, art.47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art.58 di quest’ultima;
e, secondo l’interpretazione di questa Corte di legittimità, i quesiti:
non DEVONO RISOLVERSI IN UN’ENUNCIAZIONE DI CARATTERE GENERALE E ASTRATTO, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass.Sez. Un., 11 marzo 2008, n. 6420);
devono essere formulati in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, devono compendiare:
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;
c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v. Cass. Sez. Un., ord. 5/02/2008, n.2658; Cass., ord. 17/07/2008, n.19769; Cass. 25/03/2009, n.7197; Cass., ord. 8/11/2010, n.22704);
sono, pertanto, tali da comportare l’inammissibilità del motivo nel caso in cui manchi anche una sola delle suddette indicazioni (Cass. 30/09/2008, n.24339).
Su questa premessa, con tutta evidenza il quesito relativo al primo motivo è inammissibile: esso richiede a questa Corte di legittimità di risolvere il caso concreto ed in particolare di valutare nuovamente – ed in senso difforme rispetto a quanto già fatto dal giudice del merito – la sussistenza dei caratteri di certezza, liquidità ed esigibilità del credito verso il garante in dipendenza del concreto contenuto degli specifici atti negoziali azionati (contratto di finanziamento ed atto di quietanza a saldo), analiticamente indicati e descritti. Tanto esula manifestamente dal compito di questa Corte e comporta la radicale impossibilità di esaminare il quesito come formulato.
Ben più ampio discorso va fatto in ordine al SECONDO MOTIVO, riguardo al quale è doveroso, prima di ogni altra cosa, rilevare:
che la doglianza investe il rigetto della riconvenzionale per la condanna del fideiussore per inoperatività del beneficio di escussione, tanto che la gravata sentenza, sotto ogni altro aspetto (nullità del precetto, liceità della clausola di cui all’art.9 del contratto, insussistenza dell’ipotesi di estinzione di cui all’art.1955 cc, etc.), passa in giudicato;
che, se – da un punto di vista formale – il quesito a corredo di tale secondo motivo è strutturato su numerose proposizioni legate da vincoli di sintassi e parafassi complessi e sovente intricati, tuttavia la sua stessa formulazione rende possibile enucleare almeno una duplice proposizione decisiva ai fini della controversia, cioè l’erroneità dell’applicazione del beneficium excussionis anche in presenza dell’assoggettamento del debitore principale ad una procedura concorsuale e nonostante fosse conseguentemente divenuta impossibile l’indicazione cui il fideiussore è tenuto ex art.1944 cc, comma 2, pur non avendo le parti espressamente pattuito l’estensione del beneficio all’ipotesi del fallimento;
che, pertanto, il nucleo del quesito consente, con tali precisazioni, di ritenere in qualche modo soddisfatto l’onere imposto dall’art.366-bis cpc, con conseguente ammissibilità, almeno sotto questo profilo, del correlato motivo;
che, tuttavìa, deve poi valutarsi l’ammissibilità del dispiegato ricorso per cassazione, visto che il secondo motivo di ricorso ha ad oggetto il capo della sentenza con il quale è stata rigettata la domanda riconvenzionale dispiegata dalla creditrice, opposta in causa di cui all’art.615 cpc, per conseguire comunque un titolo giudiziale per lo stesso credito oggetto del titolo stragiudiziale ritenuto inidoneo;
che, sul punto, questa Corte ha escluso l’estensione della regola dell’inappellabilità, sancita dall’ultimo periodo dell’art.616 cpc nel testo applicabile ratione temporis (come novellato dalla Legge 24 febbraio 2006, n.52, art.14) alle domande riconvenzionali che, nel giudizio di opposizione ad esecuzione, siano state dispiegate dal convenuto (Cass. 29/08/2008, n.21908) che puntualizza che il capo di sentenza che decide sull’opposizione è ricorribile soltanto per cassazione, mentre quello che decide sulla domanda riconvenzionale resta soggetto agli ordinari mezzi di gravame);
che alla relativa questione non si applica l’art. 384 cpc, comma 3, (nel testo applicabile ratione temporis, a norma del quale “Se la Corte ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla medesima questione”), dovendo ritenersi sussumibile la fattispecie nell’elaborazione di questa Corte in tema di cd. terza via, secondo la quale l’interlocuzione delle parti è esclusa quando si tratta di questioni in punto di mero diritto (Cass. Sez. Un., 30/09/2009, n.20935);
che, tuttavia, a giudizio del Collegio, alla peculiare fattispecie in esame – oltretutto di rilevanza temporalmente limitata all’intervallo di applicabilità della norma dell’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., come introdotto dalla Legge n.52 del 2006, art.14, ma non più applicabile alle sentenze pubblicate dopo il 4.7.09 (per avere effetto la sua abrogazione, disposta dalla Legge 18 giugno 2009, n.69, art.49, comma 2, quanto ai giudizi pendenti in primo grado a detta data, ai sensi del combinato disposto dei commi primo e secondo dell’art.58 della stessa legge: per tutte, Cass. 12/05/2011, n.10451) – non può applicarsi la richiamata conclusione di Cass. n.21908 del 2008 (applicativa del principio generale, per il resto del tutto condivisibile, dell’autonomia della riconvenzionale rispetto alla principale, ribadito – ad esempio – in punto di esclusione di quest’ultima, ma non della prima, dalla sospensione feriale dei termini: da ultimo, v. Cass.15/02/2011, n.3688), in quanto:
non è revocabile in dubbio la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art616 cpc, ultimo periodo, nella parte in cui ha soppresso il regime di ordinaria appellabilità delle sentenze rese all’esito di un’opposizione all’esecuzione, applicabile alla fattispecie: non sussistendo elementi per superare l’orientamento in tal senso di questa Corte, espresso al riguardo da Cass. 18/01/2008, n.976, ma soprattutto a seguito dell’introduzione di un regime transitorio di ultrattività della norma, che non pare manifestamente irragionevole;
la richiamata norma dell’ultimo periodo dell’art.616 cpc. stabilisce che “la causa“, senza alcuna distinzione, è decisa con sentenza non impugnabile;
comunque, quanto meno quella specifica domanda, per consolidata tradizione definita riconvenzionale (a cominciare dalla remota Cass. 18/05/1963, n.1282), del creditore opposto volta a conseguire – dinanzi alla contestazione del titolo esecutivo stragiudiziale operata con l’opposizione all’esecuzione – un titolo – stavolta all’esito del giudizio sul rapporto già dedotto – che tenga luogo, ora in via giudiziale, di quello contestato, non può essere soggetta ad un regime di impugnazione diverso da quello delle domande di accertamento negativo del diritto ad agire in via esecutiva, normalmente oggetto dell’opposizione ad esecuzione in via principale come dispiegate dal debitore;
solo in tal modo può essere evitata un’interpretazione della richiamata norma processuale manifestamente contraria alla lettera dell’art.3, comma primo della Costituzione, in quanto comportante un trattamento ingiustificatamente deteriore per il debitore, che, nell’opposizione tout court o comunque in via principale, avrebbe a sua disposizione solo un grado di merito per difendersi e contestare la pretesa del creditore, mentre nella riconvenzionale per la costituzione di titolo giudiziale in luogo di quello stragiudiziale contestato, sarebbe esposto – a tutto ed ingiustificato vantaggio del creditore procedente – invece agli ordinari due gradi di merito;
pertanto, a giudizio del Collegio, la sentenza di primo grado, depositata tra il 1.3.06 ed il 4.7.09, che unitariamente decide sulla domanda principale di opposizione all’esecuzione a titolo esecutivo stragiudiziale e sulla peculiare riconvenzionale del creditore opposto, tendente ad ottenere la pronuncia di un titolo esecutivo giudiziale che tenga luogo del primo, non può essere impugnata con appello nemmeno solo quanto al secondo capo, restando unitariamente soggetta al ricorso per cassazione.
Tanto consente di confermare la validità della conclusione di cui a Cass.21908 del 2008 – e quindi della non ricorribilità immediata per cassazione – quanto ad ogni altra tipologia di riconvenzionale ad opposizione all’esecuzione.
E’ allora necessario esaminare nel merito il secondo motivo di ricorso; e va rilevato che effettivamente il giudice del merito si discosta dalla tradizionale interpretazione di questa Corte di legittimità sulla non esperibilità – in via normale – nel caso di fallimento del debitore principale del detto beneficio, in considerazione dell’universalità oggettiva che qualifica le procedure concorsuali liquidatorie e che è incompatibile con la struttura del beneficio, poichè la relativa eccezione presuppone l’indicazione, da parte del garante, dei beni del debitore da sottoporre ad esecuzione (v., da ultimo, la non più recentissima Cass. 13/12/1994, n.10610, che solo ammette la possibilità di estendere il beneficio anche all’ipotesi di fallimento in via pattizia, ma all’imprescindibile conclusione che la relativa clausola contrattuale sia espressa e non equivoca proprio sul punto; nonchè Cass. 22/12/1969, n.4032; Cass. 17/07/1985, n.4218); in particolare, il Tribunale di Roma:
qualifica inutile, in dipendenza dell’effetto espropriativo generale del fallimento, la previsione dell’art.1944 cc. giacché il complesso dei beni aggredibili si appalesa pienamente nell’ambito della procedura concorsuale stessa;
ritiene che, in caso di fallimento del debitore principale, non sia possibile aggredire il patrimonio del fideiussore fino all’esaurimento della procedura concorsuale;
argomenta comunque per l’estensione, nel caso di specie, anche all’ipotesi di fallimento della clausola della preventiva escussione, in relazione alla volontà espressa dalle parti.
La conclusione cui perviene il tribunale capitolino NON È CORRETTA quanto a quest’ultimo argomento: infatti, sebbene il giudice del merito dia atto che la clausola pattizia non fa alcun espresso riferimento all’art.1944 cc, egli sostiene poi che la mancanza di qualsiasi specificazione rende estensibile il beneficio anche all’ipotesi del fallimento: ma la giurisprudenza di legittimità che lo stesso giudice del merito richiama e a cui implicitamente fa riferimento nel riportato argomento dirimente esige che la volontà delle parti su tale estensione sia chiara, espressa ed univoca (Cass. n.10610 del 1994), sicché non può sostenersi che una volontà invece generica possa comprendere anche la fattispecie del fallimento. Pertanto, in difetto di sviluppi argomentativi ulteriori per discostarsi dalla premessa, per l’incongruenza tra il significato della norma recepito per relationem (con il riferimento alla giurisprudenza di legittimità) e la conclusione applicata in concreto, la conclusiorìe’ non può essere condivisa.
Resta da esaminare se l’argomento originario addotto a sostegno della persistenza dell’operatività del beneficio di escussione (l’inutilità dell’indicazione dei beni utilmente aggredibili) possa fondare il superamento della più volte richiamata giurisprudenza di legittimità: ma il Collegio ritiene che a questa debba, al contrario, essere data ulteriore continuità. 10.1. Invero, non è dubbio che il beneficio di escussione operi in via di eccezione alla regola generale della solidarietà dell’obbligazione del fideiussore, come è reso evidente dalla successione logica delle disposizioni del primo e del secondo comma dell’art.1944 cc (inserito nella sezione 2′ – dei rapporti tra creditore e fideiussore – del capo 22′ – della fideiussione – del titolo 3′ – dei singoli contratti – del libro 4′ – delle obbligazioni – del codice civile), i quali, come è noto, recitano:
“Il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito. Le parti però possono convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell’escussione del debitore principale. In tal caso, il fideiussore, che sia convenuto dal creditore e intenda valersi del beneficio dell’escussione, deve indicare i beni del debitore principale da sottoporre ad esecuzione“.
Neppure è dubbio che la dichiarazione di fallimento rende, se non altro tendenzialmente, evidente la massa attiva dei beni sui quali la procedura concorsuale dovrà svolgersi e, nel corso di essa, ogni singola ragione creditoria potrà e dovrà trovare eventuale soddisfacimento.
E però, in primo luogo, l’onere dell’indicazione dei beni utilmente aggredibili in via esecutiva non può dirsi automaticamente neutralizzato dalla procedura concorsuale: nulla, dapprima, garantisce l’esaustività dell’inventario fallimentare e quindi esclude in teoria la presenza di beni per qualsiasi ragione sfuggiti a quest’ultimo; e, comunque, anche in caso di procedura concorsuale può darsi il caso della sussistenza, nel patrimonio del debitore ad essa assoggettato, di altri beni comunque utilmente assoggettabili ad esecuzione proprio da parte del creditore principale, ad esempio in virtù di specifici diritti di garanzia o peculiari previsioni di legge per la natura del credito od altre ragioni; e l’esistenza di tali beni costituirebbe certamente l’oggetto dell’indicazione di cui è onerato, per attivare il beneficio dell’escussione, il fideiussore.
In via dirimente, peraltro, il beneficio di (preventiva) escussione, quale forma di convenzionale e derogatorio contemperamento del carattere generale dell’obbligo di garanzia – altrimenti sussidiario ed immediato appunto in quanto solidale – del fideiussore stesso, si struttura come intimamente correlato alla possibilità, per il creditore, di trovare soddisfacimento della propria ragione di credito in forza di una sua preventiva ed autonoma personale iniziativa processuale esecutiva sui beni del patrimonio del debitore principale.
Del resto, il beneficio in parola è con tutta evidenza sinallagmaticamente collegato all’obbligo del fideiussore non già soltanto di indicare i beni, ma di indicare i beni sui quali il creditore possa, a soddisfacimento del credito garantito, attivare una procedura esecutiva almeno potenzialmente fruttuosa e cioè valutabile ex ante in grado di soddisfare il suo credito, come reso evidente dal tenore testuale della norma e dalla concatenazione paratattica delle sue disposizioni: in altri termini, in tanto il fideiussore può avvalersene, in quanto vi sia l’effettiva possibilità, per il creditore garantito, di tentare di trovare soddisfacimento del credito sui beni del debitore in forza di una specifica attività processuale esecutiva propria e personale del creditore stesso.
L’esecuzione diretta da parte del creditore garantisce a questi ampia autonomia e libertà di scelta degli strumenti, dei tempi e degli accorgimenti processuali – o delle iniziative parallele e stragiudiziali – ritenuti più idonei alla proficua realizzazione del suo credito: e la potenzialità dell’esercizio di tali facoltà può in questo senso corrispondere all’interesse normalmente preso in considerazione dai paciscenti in ordine alla stipula del beneficio di escussione, come estrinsecazione di quanto sottostia all’accettazione, da parte del creditore principale, di tale evidente limitazione del vantaggio a lui derivante dalla prestata fideiussione.
In sostanza, “la situazione di insolvenza conclamata, che fa assumere al creditore un rischio di incapienza superiore a quello normalmente inerente alla fattispecie normativa correlata alla semplice inadempienza, individua sul piano della struttura e delle finalità dei mezzi di tutela degli interessi delle parti in gioco (creditore principale e garante) una ratio diversa da quella che regge la disciplina dell’art.1944 cc. “(Cass. n.10810 del 1994).
E’ invece evidente che, con la procedura concorsuale, nessuna iniziativa processuale personale può di norma essere attivata o proseguita dal creditore, stante il divieto generalissimo dell’art.51 legge fallimentare: ed è per questo che, non potendo trovare operatività, salvo il caso di espressa estensione del beneficio proprio ed appunto alla fattispecie della procedura concorsuale (che si è visto però non ricorrere nel caso in esame), l’onere del creditore di attivarsi personalmente con iniziative esecutive sul patrimonio del debitore principale, non può operare neppure il beneficio, previsto in favore del fideiussore, di sfuggire temporaneamente all’escussione del proprio patrimonio per il soddisfacimento della ragione di credito garantita.
Nulla vieta, come sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, che l’alea peculiare della sottoposizione della propria ragione di credito alla procedura concorsuale, per le intuitive ulteriori difficoltà di soddisfacimento indotte dalla concorsualità della stessa, possa essere accettata dalle parti: ma, appunto e per quanto detto, si esige una chiara ed univoca estensione del beneficio proprio a tale evenienza; la quale, al contrario e secondo quanto rilevato sulla base della stessa motivazione della gravata sentenza, difetta nel caso di specie.
In conclusione, IL BENEFICIO DELLA PREVENTIVA ESCUSSIONE – e salvo il caso di una esplicita sua estensione ad una tale eventualità – NON PUÒ ESSERE OPPOSTO DAL FIDEIUSSORE IN CASO DI SOTTOPOSIZIONE DEL DEBITORE PRINCIPALE A PROCEDURA CONCORSUALE, ove non vi siano ed ove non siano dal fideiussore indicati beni del debitore principale ancora suscettibili di essere assoggettati ad azione esecutiva individuale del creditore.
Poichè il giudice del merito non si è attenuto a tale principio, la sentenza, benchè soltanto nella parte in cui (e per la sola ragione della persistente operatività del beneficio di escussione) rigetta la domanda riconvenzionale di condanna del fideiussore al pagamento della somma già recata nel precetto comunque annullato, deve essere cassata: ma non è possibile la decisione nel inerito, non potendo questa Corte valutare la sussistenza di tutti i fatti costitutivi del diritto del creditore principale in rapporto anche allo sviluppo della procedura concorsuale ed all’entità effettiva del credito complessivo e della conseguente entità della garanzia, i cui dati possono essere acquisiti, in quanto appunto ragionevolmente sopravvenuti in dipendenza del trascorrere del tempo, soltanto da parte del giudice del merito.
Alla cassazione per quanto di ragione consegue pertanto il rinvio al medesimo Tribunale di Roma, ma in persona di diverso giudicante, affinché, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, esamini (esclusivamente) la detta riconvenzionale attenendosi al principio enunciato al paragrafo precedente.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo; cassa, in relazione alla censura accolta, la gravata sentenza, rinviando al Tribunale di Roma, in persona di diverso giudicante, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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