ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento di società con soci illimitatamente responsabili, l’obbligo di convocazione in camera di consiglio del socio (illimitatamente responsabile), sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 1972, trova giustificazione non in un generico interesse del socio stesso riferito alla dichiarazione di fallimento della società, ma nel fatto che detta dichiarazione produce anche il suo fallimento; ne consegue che, siccome la sentenza che dichiara il fallimento della società e dei soci contiene una pluralità di statuizioni (ossia una pluralità di dichiarazioni di fallimento), tra le quali esiste un rapporto di dipendenza unidirezionale (nel senso che la dichiarazione di fallimento del socio trova il suo presupposto nella dichiarazione di fallimento della società, la cui nullità travolge anche l’altra dichiarazione, mentre non è vero il contrario), in difetto di convocazione del socio, essendo violato il diritto di difesa dello stesso e non della società, la conseguente nullità riguarda il suo fallimento, non anche quello della società medesima.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 34919-2006 proposto da:
C.V.
– ricorrente–
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA S.D.F.
– controricorrente –
contro
S.C.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 332/2005 della CORTE D’APPELLO DI LECCE – SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 03/11/2005;
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Taranto con sentenza del (OMISSIS), dichiarò il fallimento di una società di fatto, denominata (OMISSIS), nonchè dei relativi soci, il sig. C.V. ed il di lui fratello C.G., deceduto nel corso dell’anno. Alla dichiarazione di fallimento si opposero sia la sig.ra E. F., madre ed erede del defunto C.G., sia la sig.ra S.C.. La prima si dolse della sua mancata audizione in sede prefallimentare, negò che fosse configurabile l’anzidetta società di fatto ed eccepì che, comunque, l’attività della presunta società sarebbe cessata oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento. La sig.ra S. espose autonomi motivi di opposizione, assumendo di avere interesse ad impedire il fallimento del sig. C.V., del quale ella era dipendente e creditrice. Intervenne poi nel giudizio anche lo stesso sig. C. V..
Il tribunale dichiarò inammissibile tanto l’intervento in causa del sig. C.V. quanto l’opposizione proposta dalla sig.ra S., rigettando invece nel merito quella della sig.ra F..
Entrambe le originarie opponenti interposero gravame e nel giudizio di secondo grado intervenne di nuovo, a sostegno delle ragioni delle appellanti, anche il sig. C.V..
La Corte d’appello di Lecce (sezione distaccata di Taranto), con sentenza depositata in cancelleria il 3 novembre 2005, rigettò il gravame confermando integralmente le statuizioni rese dal giudice di primo grado.
A fondamento di siffatta decisione la corte distrettuale ritenne che, essendo il sig. C.G. deceduto prima della dichiarazione di fallimento, tale dichiarazione non presupponesse necessariamente la previa audizione degli eredi, i quali non avevano proseguito nell’attività del loro dante causa, e che neppure era postulabile, nel procedimento per dichiarazione di fallimento di una società di fatto tra due soci, una situazione di litisconsorzio necessario tra il socio supersite, che aveva reso dichiarazioni in sede prefallimentare, e gli eredi dell’altro socio defunto. Quanto poi al merito, la medesima corte reputò, in primo luogo, che l’esistenza della più volte menzionata società di fatto fosse dimostrata da quanto riferito dal sig. C.V., dalla comproprietà in capo ad entrambi i fratelli C. dell’immobile nel quale era stata gestita l’azienda, dall’assunzione di debiti in comune, con accensione sempre in comune di un conto corrente bancario intestato alla società di fatto, e dalla prestazione di garanzie ad opera dei fratelli per l’attività aziendale, nonchè dall’esistenza tra costoro anche di altre società; in secondo luogo che, non potendo decorrere il termine annuale per il fallimento delle società non registrate dalla cancellazione dal registro delle imprese, e dovendosi invece fare riferimento all’effettiva cessazione dell’attività imprenditoriale, vi fossero elementi di prova idonei a dimostrare che, nel caso di specie, l’attività sociale si era protratta entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso, articolato in cinque motivi, il sig. C.V., sia in proprio sia in qualità di erede tanto della sig.ra F., frattanto anch’ella deceduta, quanto del defunto fratello G..
La curatela del fallimento ha resistito con controricorso, mentre la sig.ra S., alla quale pure il ricorso è stato notificato, non ha svolto difese in questa sede.
Il ricorrente ha depositato anche una memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto dal sig. C.V. in proprio è inammissibile, giacchè il suo intervento in causa era stato già a suo tempo dichiarato inammissibile dal tribunale, con sentenza confermata dalla corte d’appello, nè sulle ragioni di tale declaratoria d’inammissibilità risulta che egli abbia formulato censure. E’ perciò evidente che, in tale veste, il ricorrente non ha titolo per proporre ricorso per cassazione.
2. E’ invece ammissibile il ricorso proposto dallo stesso sig. C. V. in qualità di erede della defunta madre (restando in ciò assorbita anche la sua qualità di erede del fratello G.), posto che la madre era appunto colei che, agendo a propria volta quale erede del figlio G., deceduto prima della dichiarazione di fallimento, aveva proposto opposizione avverso siffatta dichiarazione.
Da tanto consegue però che, evidentemente, i motivi di ricorso possono essere vagliati solo nella misura in cui investano questioni e punti di decisione afferenti ai motivi per cui la sig.ra F. si era opposta al fallimento ed aveva impugnato in appello la sentenza di primo grado.
Nè occorre qui ulteriormente occuparsi di quanto a suo tempo dedotto dall’altra opponente, la sig.ra S., che non ha proposto ricorso avverso la sentenza d’appello a lei sfavorevole.
3. Tanto premesso, occorre passare all’esame dei motivi di ricorso, non senza però avvertire che la loro formulazione appare sovente ripetitiva, e per certi aspetti confusa, giacchè il ricorrente non sempre si confronta con le ragioni che la corte d’appello ha posto a base della propria decisione, ma sovente si diffonde in argomentazioni difensive che concernono direttamente il merito della causa, quasi si trattasse di un giudizio di primo grado o dell’impugnazione della decisione adottata dal primo giudice. I motivi di ricorso, perciò, saranno presi in considerazione soltanto nella misura in cui sia possibile individuare in essi, con sufficiente chiarezza e precisione, le doglianze rivolte nei confronti dell’impugnata sentenza d’appello.
3.1. Il primo di detti motivi di ricorso è volto a denunciare la violazione non già di norme di legge, bensì degli artt. 3, 24 e 111 Cost..
Prescindendo dalla puntualità di tali richiami normativi (sarebbe stato forse più pertinente riferirsi alla L. Fall.,art. 15), ciò di cui il ricorrente si duole è che la corte d’appello non abbia tenuto conto del fatto che il fallimento della società e quello personale dei due soci, uno dei quali defunto, era stato dichiarato dal tribunale senza la previa audizione in camera di consiglio sia del socio superstite sia degli eredi del socio deceduto.
3.1.1. Nell’esaminare tale doglianza occorre fare una premessa. Come questa corte ha già più volte ricordato, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento di società con soci illimitatamente responsabili l’obbligo di convocazione in camera di consiglio del socio (sancito dalla sentenza della Corte costituzionale, n. 110 del 1972) trova giustificazione non in un generico interesse del socio stesso, riferito alla dichiarazione di fallimento della società, ma nel fatto che detta dichiarazione produce anche il suo personale fallimento; sicchè, contenendo la sentenza una pluralità di statuizioni, riguardanti sia la dichiarazioni di fallimento della società sia quella dei soci, ed esistendo tra queste un rapporto di dipendenza unidirezionale (nel senso che la dichiarazione di fallimento del socio trova il suo presupposto nella dichiarazione di fallimento della società, la cui nullità travolge anche l’altra dichiarazione, mentre non è vero il contrario), in difetto di convocazione del socio questi si può dolere della violazione del suo diritto di difesa, che non necessariamente comporta anche la violazione del diritto di difesa della società, e la nullità conseguente alla violazione del diritto di difesa del socio riguarda il suo personale fallimento senza necessariamente investire anche quello della società (cfr. in argomento Cass. 6 febbraio 2003, n. 1751, e Cass. 27 novembre 1999, n. 13246).
Stando così le cose, si deve subito rilevare che, a quanto si ricava dal testo della sentenza qui impugnata, la sig.ra F. aveva sì proposto opposizione vuoi alla dichiarazione di fallimento della società di fatto denominata (OMISSIS) vuoi alla dichiarazione di fallimento personale del socio defunto sig. C.G., ma aveva prospettato come motivo di opposizione la violazione del diritto di difesa soltanto degli eredi di quest’ultimo, non convocati dinanzi al tribunale nella fase prefallimentare, nulla invece deducendo quanto ad un’analoga violazione eventualmente consumata in danno del diritto di difesa della società o dell’altro socio (il quale, in effetti, risulta aver reso dichiarazioni al tribunale prima della contestata pronuncia di fallimento, con specifico riguardo alla situazione della predetta società di fatto (OMISSIS), ancorchè nell’ambito di un procedimento prefallimentare instaurato per società diverse). Se, dunque, la doglianza prospettata nell’atto di opposizione (reiterata in appello) aveva ad oggetto unicamente la mancata audizione degli eredi del sig. C.G. e se non era in discussione nel giudizio di merito che l’altro socio avesse avuto possibilità di difendersi prima del fallimento, non può dubitarsi che soltanto della violazione del diritto di difesa dei predetti eredi si possa qui ancora discutere, essendo precluso nel giudizio di legittimità ampliare il dibattito a temi estranei al giudizio di merito (o, quanto meno, a temi non risultanti dalla sentenza impugnata e dei quali il ricorrente non indica se e quando li avesse già prospettati in sede di merito).
Nè varrebbe sostenere che, nel dolersi della violazione del diritto di difesa spettante ad uno dei soci illimitatamente responsabili (o ai suoi eredi), l’opponente aveva per ciò stesso contestato anche la validità della declaratoria di fallimento della società. S’è già dianzi sottolineata la non interferenza, sotto questo profilo, della pretesa violazione del diritto di difesa del socio rispetto a quello della società, ma qui va anche aggiunto che, trattandosi di società di fatto la cui rappresentanza compete disgiuntamente a ciascuno dei soci ed essendo l’altro socio deceduto, nel procedimento prefallimentare la rappresentanza della società non poteva che ricadere sul solo socio superstite, della cui possibilità di prospettare al tribunale le proprie argomentazioni difensive non è qui da discutere: onde la mancata convocazione dinanzi al tribunale degli eredi del socio defunto non incide in alcun modo sulla validità della dichiarazione di fallimento della società.
3.1.2. Circoscritto in tal modo il campo alla sola questione della validità della dichiarazione di fallimento del socio defunto per difetto di previa convocazione dinanzi al tribunale degli eredi, la doglianza al riguardo formulata nel ricorso appare senz’altro infondata.
Non v’è infatti ragione per discostarsi dal consolidato orientamento secondo il quale, in caso di dichiarazione di fallimento dell’imprenditore entro l’anno dalla morte, ai sensi della L. Fall., art. 10, non è obbligatoria l’audizione dell’erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che nessuno degli accertamenti rimessi al tribunale incide in modo immediato e diretto sulla posizione dell’erede ovvero gli reca un pregiudizio eliminabile soltanto attraverso la partecipazione del medesimo all’istruttoria prefallimentare, essendo l’audizione dell’erede necessaria soltanto quando anch’egli sia imprenditore commerciale, o comunque lo diventi in seguito alla prosecuzione dell’impresa ereditaria (cfr. Cass. 25 maggio 1993, n. 5869, Cass. 9 marzo 2000, n, 2674, e Cass. 7 febbraio 2006, n. 2594).
L’applicazione di tale principio anche al caso della dichiarazione di fallimento del defunto in quanto socio illimitatamente responsabile di una società commerciale insolvente non presenta difficoltà e conduce alla reiezione del motivo di ricorso in esame.
3.2. Le censure espresse nel secondo e nel terzo motivo di ricorso risultano in parte assorbite da quanto sopra osservato, perchè sembrano muovere dal presupposto (come s’è visto infondato) che la sentenza dichiarativa di fallimento di cui si tratta sia nulla e, per il resto, sono inammissibili: sia per la loro scarsa comprensibilità, sia per l’impossibilità di ricondurle a specifiche questioni di cui si rinvenga traccia nel testo della sentenza impugnata e di cui si sappia se e quando si fosse già discusso nel corso del giudizio di merito.
A quest’ultimo riguardo va solo aggiunto che la corte d’appello ha respinto la tesi degli appellanti, i quali denunciavano la mancata attuazione nel procedimento prefallimentare di un preteso litisconsorzio necessario tra il socio superstite della società (OMISSIS) e gli eredi del socio defunto, ma che nessuna specifica e motivata censura è ora rivolta a tale statuizione, non bastando certo a tal fine la mera menzione dell’art. 102 c.p.c. nell’intestazione del terzo motivo di ricorso, non seguita da un adeguato sviluppo argomentativo nella successiva esposizione del medesimo motivo.
3.3. Considerazioni in parte analoghe sono da fare per il quarto motivo di ricorso, privo di ogni indicazione specifica delle norme di cui si lamenta la violazione.
Nel corpo di detto motivo il ricorrente si sforza di dimostrare che non v’erano elementi di prova sufficienti per l’accertamento dell’esistenza della società di fatto dichiarata fallita. Posto, però, che un siffatto accertamento non può che essere frutto della valutazione in concreto di elementi di prova (anche solo indiziari, se persuasivi e concludenti), appare di immediata evidenza che le prospettate censure in nessun modo investono profili di diritto, risolvendosi in apprezzamenti di fatto, divergenti rispetto alla valutazione operata dai giudici di merito di primo e secondo grado, come tali estranei alla sfera del giudizio di legittimità.
Nè potrebbe, in questa sede, essere sottoposta a verifica la completezza e la tenuta logica della motivazione posta dalla corte d’appello a base del suddetto accertamento, non essendo stato proposto alcun puntuale motivo di ricorso a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e non essendo comunque consentito a questa corte l’esame diretto degli atti e delle risultanze documentali di causa alle quali il ricorrente fa continuamente rinvio per sorreggere le proprie argomentazioni.
3.4. Per identiche ragioni non può essere accolto neppure l’ultimo motivo di ricorso, col quale nuovamente si vorrebbe rimettere in discussione un accertamento di fatto compiuto dalla corte di merito, questa volta a proposito del momento a partire dal quale sarebbe definitivamente cessata l’attività d’impresa svolta dalla società poi fallita.
4. In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dalla curatela del fallimento intimato, liquidate come in dispositivo.
PQM
La corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal sig. C. V. in proprio e quale erede del sig. C.G., rigetta quello dal lui proposto in veste di erede della sig.ra F.E. e condanna il ricorrente, in favore della curatela del fallimento intimato, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso, in Roma, il 19 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013
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Numero Protocolo Interno : 466/2013