Avuto particolare riguardo alla fattispecie della fideiussione omnibus redatta in conformità allo schema ABI 2002-2003, soggetto ai rilievi di potenziale anticoncorrenzialità da parte di Banca d’Italia, va considerato che dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti.
I contratti fra la singola impresa partecipante all’intesa vietata ed il cliente derivano piuttosto dall’autonomia privata dei contraenti, ovvero da una autonoma manifestazione di consenso da cui può discendere anche l’eventuale recepimento all’interno del regolamento contrattuale delle singole clausole riproduttive dell’illecita determinazione, ma la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata, non appare sufficiente a privare il successivo contratto “a valle” di una autonoma ragion d’essere e della sua validità.
Ne discende che l’unica forma di tutela esperibile a fronte di intese anticoncorrenziali o di altre violazioni rilevanti ex art. 2 L. 287/1990 è pertanto quella risarcitoria, attuabile sia nelle forme dell’iniziativa individuale (attraverso l’estensione pretoria della legittimazione attiva all’azione ex art. 33 L. 287/1990 ad utenti e consumatori sancita da Cass. Civ. SS.UU. 4 febbraio 2005, n. 2207), che dell’azione collettiva introdotta con l’entrata in vigore dell’art. 140 bis D.Lgs. 206/2005 la quale, non a caso, è espressamente limitata “all’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni” a ristoro “del pregiudizio derivante agli stessi consumatori ed utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali” (art. 140 bis D.Lgs. 6.9.2005 n. 206).
Affinché possa aversi nullità, non basta la semplice violazione della norma imperativa dell’art. 2 della legge 287/1990, ma occorre che per effetto di tale violazione si determini una situazione di oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la regola negoziale contenuta nei contratti a valle dell’intesa.
I contratti conclusi in aderenza alla prassi di seguire gli schemi ABI neppure possono qualificarsi come illeciti ex se, atteso che sebbene l’art. 2 della legge 287/1990 – che considera intese non solo gli accordi, ma anche “le pratiche concordate”, che “abbiano per oggetto” o “per effetto” di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza, ponendo così sullo stesso piano ed equiparando i patti anticoncorrenziali tra le imprese che si determinino a formare un “cartello” e i profili comportamentali dalle medesime tenute nella contrattazione con terzi – vieti le suddette intese sancendone la nullità “ad ogni effetto”, nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali tra le imprese parti dell’intesa anticoncorrenziale ed altri contraenti.
Questo rilievo è sufficiente, di per sé, ad escludere che si possa predicare la nullità del c.d. contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418, primo comma, c.c., in quanto, affinché possa dichiararsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale, conformandone la struttura o il contenuto, ovvero impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione, quali ad esempio particolari autorizzazioni amministrative ovvero l’iscrizione di uno o entrambi i contraenti in appositi albi o registri.
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Roma, Pres. Pedrelli – Rel. Basile, con l’ordinanza del 10 novembre 2020.
La pronuncia si inscrive nel dibattito – di cui su questa Rivista si è dato ampiamente conto – sui potenziali profili di invalidità delle fideiussioni omnibus recettive dello schema “ABI” del 2002-2003 ai termini della normativa Antitrust.
Nella vicenda di specie, un fideiussore proponeva reclamo avverso l’ordinanza cautelare che aveva respinto il ricorso ex articolo 700 c.p.c. con il quale aveva chiesto che, previo accertamento dell’inesistenza di garanzie fideiussorie dallo stesso sottoscritte, venisse ordinato in via cautelare e di urgenza alla banca resistente la cancellazione della posizione a suo nome in Centrale Rischi della Banca d’Italia.
A supporto, il fideiussore richiamava i noti arresti di legittimità sulla possibile estensione della nullità “Antitrust” ai contratti “a valle” di intese anticoncorrenziali “a monte”, come asseritamente riconosciute – quanto ad alcune clausole dello schema ABI della fideiussione omnibus – dal provvedimento di Banca d’Italia del 2 maggio 2005.
Il Tribunale di Roma esclude che si possa predicare la nullità delle fideiussioni “a valle”, prendendo le mosse dalla sentenza n. 24044/2019, con la quale i Giudici di legittimità sono tornati a pronunciarsi sulla questione concernente gli effetti di un’intesa illecita “a monte” sui contratti di fideiussione stipulati “a valle “, e dopo aver richiamato i principi affermati dalle SS.UU. nella sentenza n. 2207/2005, innanzi citata, hanno ribadito il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui «dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti» (Cass. n. 9384 del 11/06/2003; in tema Cass. n. 3640 del 13/02/2009; Cass. n. 13486 del 20/06/2011)”.
In tal modo, emerge la differenza che ricorre tra gli accordi “a monte”, e cioè le intese, – oggetto di valutazione in merito alla illiceità per violazione della normativa antitrust e sanzionate dalla nullità – e i contratti stipulati “a valle”, in relazione ai quali il consumatore finale può esercitare soltanto l’azione risarcitoria.
Pertanto il fideiussore, anche se soggetto estraneo all’intesa “a monte” che ha falsato la concorrenza incidendo sul contratto «a valle», ha a propria disposizione sia l’azione di accertamento della nullità dell’intesa sia l’azione di risarcimento del danno, di cui all’art. 33 l. 287 del 1990.
Ripercorrendo le varie opzioni ermeneutiche sulla configurabilità della nullità dei singoli contratti di fideiussione in termini di nullità strutturale o derivata, il Tribunale prende netta posizione sulla totale incomunicabilità della nullità dell’intesa al contratto collegato “a valle” che ne costituirebbe lo strumento attuativo.
Infatti, per affermare la nullità̀ derivata è necessario dimostrare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico.
La prima ipotesi presuppone il riscontro di un vincolo di dipendenza funzionale tra i due contratti (l’intesa anticoncorrenziale e il contratto a valle) o, quantomeno, di un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile.
Per il Collegio romano, il primo tipo di legame non è riscontrabile con riguardo alla normale dinamica della contrattazione individuale in cui, al contrario, le intese mostrano di non costituire un tutt’uno con i contratti a valle, di non essere a questi collegati né per legge né per volontà delle parti e di non rappresentarne in alcun modo un presupposto di esistenza, validità od efficacia. Ciò diversamente da quanto accade nelle ipotesi previste dalla legge o dal codice, quali ad esempio i subcontratti o la delegazione di pagamento in cui il nesso di dipendenza e l’applicazione del principio simul stabunt simul cadent trova la propria espressa regolamentazione normativa.
Lo stesso dicasi per il collegamento negoziale in senso tecnico che richiede l’identità soggettiva tra le parti delle convenzioni, nonché il nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, oltre che il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore.
Di regola, però, nel caso delle garanzie bancarie non è ravvisabile alcuno di tali elementi atteso che “i contratti tra la singola impresa ed il cliente derivano piuttosto dall’autonomia privata dei contraenti, ovvero da una autonoma manifestazione di consenso da cui può discendere indubbiamente anche l’eventuale recepimento all’interno del regolamento contrattuale delle singole clausole riproduttive dell’illecita determinazione, ma la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata, non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica” (Trib. Treviso cit.).
Infine, i contratti conclusi in aderenza alla prassi di seguire gli schemi ABI neppure possono qualificarsi come illeciti ex se, atteso che sebbene l’art. 2 della legge 287/1990 – che considera intese non solo gli accordi, ma anche “le pratiche concordate”, che “abbiano per oggetto” o “per effetto” di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza, ponendo così sullo stesso piano ed equiparando i patti anticoncorrenziali tra le imprese che si determinino a formare un “cartello” e i profili comportamentali dalle medesime tenute nella contrattazione con terzi – vieti le suddette intese sancendone la nullità “ad ogni effetto”, nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali tra le imprese parti dell’intesa anticoncorrenziale ed altri contraenti.
Per il Tribunale, questo rilievo è sufficiente, di per sé, ad escludere che si possa predicare la nullità del c.d. contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418, primo comma, c.c., in quanto, affinché possa dichiararsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale, conformandone la struttura o il contenuto, ovvero impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione, quali ad esempio particolari autorizzazioni amministrative ovvero l’iscrizione di uno o entrambi i contraenti in appositi albi o registri.
Al di fuori di queste ipotesi, l’inosservanza di norme, pur imperative, che impongano o precludano alle parti taluni comportamenti (e che non siano corredate da specifiche ipotesi di nullità testuali, sovente a matrice protettiva), non può determinare la nullità dell’atto negoziale eventualmente posto in essere violazione delle stesse.
Il Collegio, sul punto, richiama il dictum della Suprema Corte che, in tema di contratti di intermediazione finanziaria, ha precisato che “in tema di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile, ove non altrimenti stabilito dalla legge, di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità” (Cass. n. 8462/2014), per poi ribadire, quale principio cardine del sistema, la non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità degli atti, alla stregua della quale la violazione di regole comportamentali o di correttezza giustifica soltanto l’adozione di rimedi risarcitori (cfr. Cass. Civ. SS.UU. 19.9.2007, n. 26724).
In definitiva, affinché possa aversi nullità, non basta la semplice violazione della norma imperativa dell’art. 2 della legge 287/1990, ma occorre che per effetto di tale violazione si determini una situazione di oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la regola negoziale contenuta nei contratti a valle dell’intesa.
È dunque necessario che la proibizione contenuta nella norma, che fa divieto alle imprese di conformare la propria condotta e le proprie scelte strategiche secondo standard comportamentali illeciti, investa anche il precetto che le parti si sono date ed in base al quale intendono disciplinare i propri rapporti “a valle”.
Ciò non avviene nel caso del contratto di fideiussione, in quanto la proibizione dettata dalla legge antitrust non condanna in maniera diretta il contenuto degli atti negoziali “a valle”, ma un comportamento che si pone a monte di questi.
Ne discende che l’unica forma di tutela esperibile a fronte di intese anticoncorrenziali o di altre violazioni rilevanti ex art. 2 L. 287/1990 è pertanto quella risarcitoria, attuabile sia nelle forme dell’iniziativa individuale (attraverso l’estensione pretoria della legittimazione attiva all’azione ex art. 33 L. 287/1990 ad utenti e consumatori sancita da Cass. Civ. SS.UU. 4 febbraio 2005, n. 2207), che dell’azione collettiva introdotta con l’entrata in vigore dell’art. 140 bis D.Lgs. 206/2005 la quale, non a caso, è espressamente limitata “all’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni” a ristoro “del pregiudizio derivante agli stessi consumatori ed utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali” (art. 140 bis D.Lgs. 6.9.2005 n. 206).
I contratti fra la singola impresa partecipante all’intesa vietata ed il cliente derivano piuttosto dall’autonomia privata dei contraenti, ovvero da una autonoma manifestazione di consenso da cui può discendere anche l’eventuale recepimento all’interno del regolamento contrattuale delle singole clausole riproduttive dell’illecita determinazione, ma la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata, non appare sufficiente a privare il successivo contratto “a valle” di una autonoma ragion d’essere e della sua validità.
In conclusione, il Tribunale aderisce alla tesi per la quale la nullità per violazione della disciplina antitrust è espressamente prevista per le intese illecite tra imprenditori, non anche per i contratti stipulati “a valle”, rispetto ai quali, in quanto costituiscano lo sbocco delle intese illecite e ne rappresentino l’esecuzione, l’ordinamento giuridico riconosce soltanto la tutela risarcitoria a favore del contraente danneggiato.
A margine, il Collegio nota come nel caso in esame la fideiussione fosse stata rilasciata a garanzia di obbligazioni derivanti da un contratto di leasing, ponendosi anche astrattamente fuori dallo schema “ABI”.
Ne è conseguito l’integrale rigetto delle doglianze del reclamante, con ingente condanna alle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
FIDEIUSSIONI OMNIBUS “ABI”: SANZIONE DI NULLITÀ “ANTITRUST” NON APPLICABILE AI CONTRATTI “A VALLE”
NON SUSSISTE ALCUN DIRITTO DI SCELTA TRA ‘PRODOTTI IN CONCORRENZA’ IN CAPO AL FIDEIUSSORE
Sentenza | Tribunale di Verona, Giudice Eugenia Tommasi Di Vignano | 06.10.2020 | n.1534
FIDEIUSSIONE – ANTITRUST: LA NULLITÀ È TOTALE SOLO SE RISULTA CHE I CONTRAENTI NON LO AVREBBERO CONCLUSO SENZA QUELLA PARTE DEL SUO CONTENUTO
NON È IDONEA A DETERMINARE LA LIBERAZIONE DEL FIDEIUSSORE
Sentenza | Tribunale di Chieti, Giudice Diana Genovese | 01.10.2020 | n.124
FIDEIUSSIONE – ANTITRUST: IL CONTROLLO SULLA VALIDITÀ DEL CONTRATTO DEVE ESSERE EFFETTUATO EX ACTIS
L’ECCEZIONE VA DISATTESA QUANDO È PRIVA DI ADEGUATO SUPPORTO PROBATORIO
Sentenza | Tribunale di Bari, Giudice Paola Cesaroni | 10.09.2020 | n.2631
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST RICHIEDI CONSULENZA© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno