LE MASSIME
Non può configurarsi nullità delle fideiussioni stipulate in conformità allo schema di contratto predisposto dall’ ABI nel 2003, sul presupposto che le stesse contengano clausole dichiarate contrastanti con il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art. 2, comma 2, lett. a della L. 287/1990.
Il divieto rinvenentesi dalla normativa antitrust non incide in maniera diretta sul contenuto degli atti negoziali, ma su un comportamento che si pone a monte di questi e non si rinviene alcun vincolo di dipendenza funzionale o, quantomeno, un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile tra l’intesa anticoncorrenziale ed il singolo negozio.
Peraltro nei contratti di fideiussione non vi è alcun oggettivo richiamo alla deliberazione dell’associazione di imprese bancarie di approvazione del modello standardizzato di fideiussione omnibus, né, men che meno, risulta che tale deliberazione abbia vincolato l’istituto di credito stipulante al rispetto dello schema ABI nella contrattazione con terzi. Si tratta invero, non di un vero e proprio accordo giuridicamente vincolante, bensì di una prassi il cui recepimento in uno schema contrattuale rientra nell’ambito della libertà negoziale delle parti.
I contratti fra la singola impresa ed il cliente derivano dall’autonomia privata dei contraenti, ovvero da una autonoma manifestazione di consenso da cui può discendere indubbiamente anche l’eventuale recepimento all’interno del regolamento contrattuale delle singole clausole riproduttive dell’illecita determinazione, ma la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata, non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Treviso, Giudice Andrea Valerio Cambi con la sentenza n. 1623 del 26.07.2018.
IL CONTESTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE
Legge 10 ottobre 1990, n. 287 – Norme per la tutela della concorrenza e del mercato |
Art. 2. Intese restrittive della libertà di concorrenza1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; |
Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della BANCA D’ITALIA su “Condizioni generali di contratto per la Fideiussione” |
Clausole ritenute abusive |
a. «il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo»; b. «qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate»; c. «i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato»). |
Cassazione civile, sez. I, 12 Dicembre 2017, n. 29810. Est. Genovese |
In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza |
In sintesi: effetti retroattivi alla decisione della Banca d’Italia |
IL CASO
Un fideiussore proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Treviso nei suoi confronti, eccependo in prima istanza l’estinzione dell’obbligazione per intervenuto pagamento di quanto ingiunto mediante denaro scritturale, la nullità del contratto di conto corrente e di tutti i rapporti ad esso collegati e formulando, in via istruttoria, la richiesta di CTU tesa ad accertare l’esatto saldo del rapporto di conto corrente.
Si costituiva la Banca, contestando le deduzioni dell’opponente, resistendo alla domanda.
Nel corso dell’istruttoria, tardivamente veniva eccepita la nullità della garanzia azionata dalla Banca, sul presupposto che si trattasse di fideiussione omnibus stipulata in conformità allo schema di contratto predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana nel 2003, secondo un modello che la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, aveva ritenuto essere contrastante con il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art. 2, comma 2, lett. a della L. 287/1990.
Successivamente la causa veniva assegnata in decisione, senza l’ammissione di alcun mezzo istruttorio.
LA DECISIONE
Ricostruito il contesto normativo e giurisprudenziale sopra riportato, con il provvedimento in commento il Tribunale conduce un’accurata disamina critica di quanto affermato nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29810 del 12.12.2017 la quale ha, in sintesi, riconosciuto la nullità dell’intero contratto di fideiussione stipulato con la Banca in conformità alle norme uniformi “incriminate”, anche se concluso anteriormente all’accertamento dell’intesa.
Nell’argomentazione della Suprema Corte, la nullità dei contratti stipulati dagli istituti di credito con gli utenti viene indistintamente predicata sia in termini di nullità derivata, fondata sull’assunto che “il contratto concluso «a valle» costituisce lo sbocco dell’intesa esistente «a monte», essenziale a realizzarne gli effetti, posto che la seconda si estrinseca e viene attuata tramite il primo e che di fronte a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore vede leso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza”, sull’esistenza quindi di un vincolo funzionale inscindibile tra intesa illecita e ciascun contratto con l’utenza, sia in termini di nullità per illiceità della causa, sia quale nullità ex art. 1418 co. 1 c.c., fondata sul rilievo per cui il contratto si porrebbe in contrasto con norme imperative e, in particolare, con l’art. 2 della L. 287 1990, se non addirittura con l’art. 101 del TFUE.
Ebbene, a parere del Giudice veneto tale soluzione ermeneutica fa leva su argomenti che paiono fondarsi su presupposti e ragionamenti di natura più macroeconomica che strettamente giuridica, prestando il fianco alle seguenti, e difficilmente superabili, censure.
Quanto alla tesi della nullità derivata, non si rinviene tra i due rapporti un vincolo di dipendenza funzionale o, quantomeno, un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile.
Affinché possa considerarsi un tale vincolo, sarebbe infatti necessario accertare l’esistenza:
A) di un nesso di indissolubile dipendenza dei contratti di fideiussione con l’intesa a monte, da escludersi in quanto i singoli contratti non sono collegati né per legge né per volontà delle parti all’intesa e non ne rappresentano in alcun modo un presupposto di esistenza, validità od efficacia.
Nei contratti di fideiussione non vi è, infatti, alcun oggettivo richiamo alla deliberazione dell’ABI di approvazione del modello standardizzato di fideiussione omnibus, né, men che meno, risulta che tale deliberazione abbia vincolato l’istituto di credito stipulante al rispetto dello schema nella contrattazione con terzi.
A ben vedere, si è quindi di fronte non agli effetti di un vero e proprio accordo giuridicamente vincolante, bensì di una prassi, il cui recepimento in uno schema contrattuale rientra nell’autonomia negoziale delle parti.
B) un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario.
C) un requisito soggettivo costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.
Ove tali elementi non siano oggettivamente apprezzabili, un contratto che sia stato validamente perfezionato, presenti i requisiti strutturali di validità previsti dalla legge e non persegua in sé una causa illecita o immeritevole per l’ordinamento giuridico non può subire effetti invalidanti in dipendenza dell’accertamento della nullità o della caducazione di un rapporto giuridico diverso ed intercorso tra terzi.
Parimenti – prosegue il Tribunale – è da escludersi l’illiceità endogena del contratto a valle per illiceità della causa.
Sul punto è dirimente il rilievo che, anche ad ammettere che l’imprenditore persegua un fine anticoncorrenziale, l’altro contraente stipula il contratto per soddisfare un proprio interesse che si esaurisce nel fine tipico dell’operazione posta in essere, con la conseguenza che si potrebbe individuare soltanto il motivo illecito dell’imprenditore, che giammai potrebbe ritenersi comune e condiviso dall’altro contraente, con quanto ne consegue in punto d’irrilevanza del motivo illecito di un solo contraente, a norma dell’art. 1345 c.c.
Nemmeno, infine, appare possibile ipotizzare la nullità del contratto a valle ai sensi dell’art. 1418, co 1 c.c.
L’art. 2 della legge 287/1990, infatti, vieta le intese, ma nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali con altri contraenti.
Questo rilievo è sufficiente di per sé ad escludere che si possa predicare la nullità del c.d. contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418, co. 1 c.c., in quanto, perché possa aversi nullità, non basta la semplice violazione della norma imperativa dell’art. 2 ma è necessario che la proibizione contenuta nella disposizione investa anche il precetto che le parti si sono date ed in base al quale intendono disciplinare i propri rapporti.
Ciò non avviene nella fattispecie normativa in esame, in quanto la proibizione dettata dalla legge antitrust non condanna in maniera diretta il contenuto degli atti negoziali, ma un comportamento che si pone a monte di questi.
Infine, osserva il Giudice, anche ove si volesse prestare adesione all’orientamento espresso dalla Suprema Corte, l’applicazione della regola contenuta nell’art. 1419, co. 1 c.c., porterebbe a ritenere comunque valida la garanzia prestata, pur emendata dalle clausole contestate.
Ed infatti, è innegabile che il garante avrebbe concluso ugualmente il contratto, anche in assenza delle clausole “incriminate” che, invero, lo penalizzano rispetto a sopravvenienze sfavorevoli o a fatti imputabili alla negligenza del creditore garantito.
Parimenti, nell’economia complessiva dell’affare, per la banca è oggettivamente più conveniente rinunciare ai benefici di quelle clausole, piuttosto che all’ampliamento della garanzia patrimoniale generica su cui contare in caso di insolvenza del debitore principale.
A margine è da segnalare, nella specie, che parte opponente aveva mancato di produrre, tanto il provvedimento dell’Autorità di Vigilanza, quanto il parere dell’AGCM al quale detto provvedimento prestava adesione, i quali, costituendo provvedimenti ed atti amministrativi, sono ovviamente sottratti al principio iura novit curia e non valutabili dal giudice ove non tempestivamente prodotti.
In definitiva, osserva il Giudice, i contratti fra la singola impresa ed il cliente derivano dall’autonomia privata dei contraenti e la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata, non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica.
Alla luce dei suesposti rilievi, il Tribunale ha rigettato l’eccezione di nullità della fideiussione condannando il garante alla rifusione delle spese di lite.
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