La domanda di annullamento di un contratto fideiussorio, per la temporanea incapacità di intendere e di volere ex art. 428, co.1, c.c., ancorchè provata con CTU percipiente, deve essere corredata anche dalla prova della malafede della Banca, ex art. 428, co. 2, c.c., essendo insufficiente la presenza di un unico elemento presuntivo.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Taranto, Dott. Claudio Casarano, con la sentenza n. 235 del 30.01.2017.
Nella fattispecie in questione, il Tribunale di Taranto rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo, fondata essenzialmente sulla eccezione di incapacità naturale della opponente che avrebbe sottoscritto l’atto negoziale mentre era in procinto di essere operata per una grave forma tumorale.
Il Giudice correttamente disponeva CTU medica, c.d. consulenza percipiente, non disponendo delle necessarie cognizioni tecnico-scientifiche per poter decidere la vexata quaestio.
Nelle cc.dd. scienze tecniche, operando la CTU quale strumento di accertamento di fatti non altrimenti acclarabili, se non con il ricorso a determinate cognizioni specialistiche (cd. c.t.u. percipiente), e non già di valutazione di fatti già acclarati (cd. c.t.u. deducente), la consulenza assurge a vera e propria fonte oggettiva di prova e non già a mero mezzo di valutazione.
Secondo Cass. 26 aprile – 22 giugno 2005, n. 13401, infatti, : «Se il giudice affida al consulente il semplice incarico di valutare fatti già accertati o dati preesistenti, la funzione del consulente è deducente e la sua attività non può produrre prova; se, viceversa, al consulente è conferito l’incarico dì accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari, il consulente è percipiente, la consulenza costituisce fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo» (ex plurimis, Cass. 8 gennaio 2004 n. 88, idd., 21 luglio 2003 n. 11332).
Il Tribunale, ad onta delle favorevoli conclusioni del CTU, rigettava la domanda, compensando le spese di lite, invocando la c.d. semiplena probatio circa l’incapacità naturale dell’opponente, con costo della consulenza ripartito in parti uguali tra le parti, in mancanza della prova della malafede della Banca, richiesta dall’art. 428, comma 2, del cod. civile, secondo cui “L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace di intendere e volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la mala fede dell’altro contraente”.
Non v’è dubbio che in caso di c.d. CTU percipiente il giudice sia obbligato ad attenersi alle conclusioni del suo perito in quanto, essendo privo delle specifiche competenze richieste, se egli non dovesse condividere le conclusioni del suo perito “ …è’ tenuto a contrastare in maniera circostanziata, ciascuno degli spunti critici del consulente e della parte, qualora gli stessi risultino precisi ed analitici ” (come insegnato da Cass, Civ. Sez. III 9 ottobre 2012, n. 17161).
Il Tribunale ha ritenuto, altresì, carente la prova della malafede della Banca ad onta della minima partecipazione al capitale della opponente (id est 3%), a fronte della quale aveva rilasciato una fideiussione milionaria, nonché ad onta della acquisizione della garanzia al di fuori della sede della Banca.
Il Giudice, nella sua insufficiente motivazione, ha anche evidenziato una sorta di ficta confessio per la mancata comparizione dell’opponente a rendere il libero interrogatorio.
Le argomentazioni del Tribunale, però, non appaiono condivisibili in quanto:
a) il convincimento del Giudice può fondarsi anche solo su una sola presunzione, ex art. 2727 cod. civ.,se ritenuta tale da far ritenere inattendibili gli altri elementi di giudizio non essendoci nel nostro ordinamento una graduazione dei mezzi di prova (cfr. Cass. n. 2394/2008, Cass. n. 9245/2007, Cass. n. 4743/2005, Cass. n. 15737/2003, Cass. n. 9370/2003, Cass. n. 6970/2003, Cass. n. 9834/2002, Cass. n. 2157/2002, Cass. n. 1071/2002);
b) la mancata comparizione a rendere l’interrogatorio (cfr. ex plurimis Cass. 17 giugno 2013, n. 15095) non comporta ex se alcuna ficta confessio, la cui sussistenza, peraltro, è rimasta esclusa per effetto della complessiva valutazione delle altre risultanze istruttorie ritualmente acquisite, tra le quali la espletata CTU medica.
La Suprema Corte di Cassazione, anche di recente, ha ribadito che la consulenza medica, c.d. percipiente, costituisce un vero e proprio mezzo di prova (sentenza n. 17685/2016) laddove occorra accertare fatti rilevabili solo attraverso specifiche competenze ed ha osservato che, in questi casi, la CTU non avrà solamente una funzione valutativa (o quantificativa) di quanto già acquisito al processo, ma anche di precipuo strumento asseverativo dei fatti allegati dalle parti.
Sulla base di quanto esposto, il Tribunale pugliese ha rigetto l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo opposto con compensazione delle spese di lite.
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