ISSN 2385-1376
Testo massima
L’accertamento relativo alla distinzione, in concreto, tra contratto di fideiussione e contratto autonomo di garanzia è questione riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica ovvero per vizio di motivazione.
La clausola ‘a prima richiesta e senza eccezioni’ dovrebbe di per sé orientare l’interprete verso l’approdo alla autonoma fattispecie del cd. Garantievertrag, salvo il caso di evidente, patente, irredimibile discrasia con l’intero contenuto della convenzione negoziale.
Così la Corte di cassazione, con sentenza n.15108 del 17 giugno 2013 si è pronunciata sulla questione relativa alla configurabilità di un contratto autonomo di garanzia oppure di un contratto di fideiussione.
Nel caso di specie, parte ricorrente contestava la qualificazione di contratto autonomo di garanzia, operata dai giudici di merito, relativamente alle polizze fideiussorie escusse, deducendo che “il fatto controverso” su cui la Corte territoriale aveva omesso di motivare era costituito dalla mancanza di una clausola con la quale il fideiussore rinuncia a sollevare le eccezioni che spettano al debitore principale con riguardo all’obbligazione garantita.
La Corte ha rigettato il ricorso precisando che i dati convenzionali valorizzati dai Giudici di appello risultavano pienamente aderenti alla fattispecie del contratto autonomo di garanzia.
La sentenza impugnata aveva infatti qualificato le polizze in oggetto nell’ambito del contratto autonomo di garanzia, valorizzando il dato letterale e il contenuto complessivo delle clausole pattizie quale ad esempio:
la precisa correlazione esistente tra l’art. 5 delle condizioni di contratto (a tenore del quale il pagamento da parte della Società garante “sarà effettuato entro il termine massimo di trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta dell’Ente garantito… dopo un semplice avviso alla Ditta obbligata, che nulla potrà eccepire alla Società in merito al pagamento stesso“) e il successivo art. 6 (a tenore del quale “la ditta obbligata si impegna a rimborsare la semplice richiesta tutte le somme da questa versate.. con espressa rinuncia ad ogni e qualsiasi eccezione, comprese quelle previste dall’art. 1952 c.c.”);
b) l’inidoneità della differente portata letterale delle due clausole (dovuta all’uso del termine “a semplice richiesta“, solo nella seconda clausola, a differenza della prima dove si parla solo di “richiesta scritta“) a suggerire una differente disciplina dei due rapporti garante-debitore e garante-creditore, cui sono rispettivamente riferite, a fronte dell’argomento logico-sistematico, ben più pregnante, tratto dal testo dell’art.6, secondo cui – se le eccezioni relative al rapporto principale non possono essere fatte valere dal debitore principale né per impedire il pagamento da parte del garante né per contrastare la propria conseguente obbligazione di rimborso – parallelamente le stesse eccezioni risultano indifferenti rispetto all’obbligazione del garante nei confronti del beneficiario;
Orbene, contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente la motivazione prospettata dalla Corte di appello, risulta esauriente e congrua, nel rispetto dei criteri legali di ermeneutica.
In particolare l’esclusione della legittimazione del debitore principale a chiedere che il garante opponesse al garantito le eccezioni scaturenti dal rapporto principale e la rinuncia ad opporre eccezioni di sorta al garante che, dopo il pagamento, avesse agito in regresso costituiscono un sicuro indice di una deroga alla normale accessorietà della garanzia fideiussoria, nella quale il garante ha invece l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore (art. 1952 co. 2 cod. civ.), all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore;
In conclusione dunque, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l’impiego o meno delle espressioni “a semplice richiesta” o “a prima richiesta del creditore“, ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia.
In tale ottica è stato ben evidenziato che il mancato riconoscimento del credito in sede fallimentare, nei confronti del debitore principale, non è un elemento sul quale il garante può fondare l’exceptio doli.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Tra
ALFA SPA
RICORRENTE
E
contro
AZIENDA OSPEDALIERA DI VATTELAPESCA
RESISTENTE
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 30.10.2007
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 30.10.2007 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Lodi in data 13.07.2004 di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento di L. 1.693.453.533 oltre accessori, emesso dal Tribunale in data 13.06.2001 su ricorso dell’AZIENDA OSPEDALIERA DI VATTELAPESCA (oggi Azienda Ospedaliera – Ospedale Circolo di Vattelapesca, di seguito brevemente AZIENDA OSPEDALIERA) nei confronti della ALFA S.P.A. (di seguito, brevemente, ALFA) in forza di polizze rilasciate da quest’ultima in data (omissis) a garanzia dell’adempimento da parte della BETA (poi fallita) degli obblighi e oneri inerenti la costruzione del nuovo Padiglione Malattie Infettive presso il P.O. di (omissis) ; polizze escusse dall’Azienda Ospedaliera a seguito dell’abbandono dei lavori di appalto da parte della BETA.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ALFA, svolgendo quattro motivi, illustrati anche da memoria.
Ha resistito l’Azienda Ospedaliera, depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso – avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009) – è soggetto, in forza del combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.
1.1. Con il PRIMO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., nonché degli artt. 1939 e 1945 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.); omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod. proc. civ.).
Al riguardo parte ricorrente – contestando la qualificazione di contratto autonomo di garanzia operata da entrambi i giudici del merito, relativamente alle polizze fideiussorie escusse dall’Azienda Ospedaliera – deduce che “il fatto controverso” su cui la Corte territoriale ha omesso di motivare è la mancanza di una clausola con la quale il fideiussore rinuncia a sollevare le eccezioni che spettano al debitore principale con riguardo all’obbligazione garantita; mentre in relazione alla censura di violazione di legge formula i seguenti quesiti:
a) “se viola l’art. 1362 cod. civ. la sentenza che, nell’interpretare il contratto secondo la comune intenzione delle parti, giunge all’individuazione della fattispecie legale (contratto autonomo di garanzia) alla quale non sono tuttavia riconducibili gli elementi di fatto concretamente accertati“;
b) “se viola gli artt. 1939 e 1945 (cod. civ.) la sentenza che, in assenza di qualsiasi previsione contrattuale in ordine alla rinuncia del fideiussore a far valere, nei confronti del beneficiario, le eccezioni del debitore principale, configura, tuttavia, la polizza fideiussoria come contratto autonomo di garanzia e non già come fideiussione“.
1.2. Va premesso che l’accertamento relativo alla distinzione, in concreto, tra contratto di fideiussione e contratto autonomo di garanzia è questione riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica ovvero per vizio di motivazione (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3678).
Più in generale si rammenta che l’interpretazione del contratto, dal punto di vista strutturale, si collega anche alla sua qualificazione e la relativa complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi:
a) la prima consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti;
b) la seconda risiede nella individuazione del modello della fattispecie legale;
c) l’ultima è riconducibile al giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto concretamente accertati.
Le ultime due fasi, che sono le sole che si risolvono nell’applicazione di norme di diritto, possono essere liberamente censurate in sede di legittimità, mentre la prima – che configura un tipo di accertamento che è riservato al giudice di merito, poiché si traduce in un’indagine di fatto a lui affidata in via esclusiva – è normalmente incensurabile nella suddetta sede, salvo che nelle ipotesi di motivazione inadeguata o di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti negli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (Cass. 7 dicembre 2005, n. 27000). Inoltre, quando è denunciata la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale in sede di legittimità, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole nei detti articoli stabilite (ex plurimis, cfr. Cass. 4 giugno 2007, n. 12946); mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nessuna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (ex plurimis Cass. 13 dicembre 2006, n.26683).
1.3. Orbene la sentenza impugnata ha qualificato le POLIZZE in oggetto nell’ambito del contratto autonomo di garanzia, privilegiandone gli elementi di cui ha dato conto, sia nella loro specificità che nella loro sintesi, valorizzando il dato letterale e il contenuto complessivo delle clausole pattizie e segnatamente evidenziando:
a) la precisa correlazione esistente tra l’art. 5 delle condizioni di contratto (a tenore del quale il pagamento da parte della Società garante “sarà effettuato entro il termine massimo di trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta dell’Ente garantito… dopo un semplice avviso alla Ditta obbligata, che nulla potrà eccepire alla Società in merito al pagamento stesso“) e il successivo art. 6 (a tenore del quale “la ditta obbligata si impegna a rimborsare la semplice richiesta tutte le somme da questa versate.. con espressa rinuncia ad ogni e qualsiasi eccezione, comprese quelle previste dall’art. 1952 c.c.“);
b) l’inidoneità della differente portata letterale delle due clausole (dovuta all’uso del termine “a semplice richiesta“, solo nella seconda clausola, a differenza della prima dove si parla solo di “richiesta scritta“) a suggerire una differente disciplina dei due rapporti garante-debitore e garante-creditore, cui sono rispettivamente riferite, a fronte dell’argomento logico-sistematico, ben più pregnante, tratto dal testo dell’art.6, secondo cui – se le eccezioni relative al rapporto principale non possono essere fatte valere dal debitore principale né per impedire il pagamento da parte del garante né per contrastare la propria conseguente obbligazione di rimborso – parallelamente le stesse eccezioni risultano indifferenti rispetto all’obbligazione del garante nei confronti del beneficiario;
c) l’inequivoco riferimento, nella stessa definizione adottata dalle parti (polizza fideiussoria per cauzione a garanzia di contratto d’appalto di costruzione), alla figura della cauzione, di per sé rappresentativa di una garanzia autoliquidabile da parte del creditore principale indipendentemente dalle contestazioni del debitore principale, così sottolineandosi il carattere di garanzia ‘a prima richiesta’ (id est, senza riserva alcuna);
d) la funzione sostitutiva della cauzione prevista in materia di contratti d’appalto, siccome idonea a disvelare in senso tranciante la natura non già risarcitoria, ma di garanzia reale generica finalizzata ad assistere le ragioni di credito che sorgono dal contratto a favore dell’amministrazione committente.
1.4. Contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente la motivazione che illustra l’articolato tessuto argomentativo è esauriente e congrua, nel rispetto dei criteri legali di ermeneutica, a cui riguardo viene prospettato in senso generico il vizio di violazione di legge. La qualificazione giuridica che ne consegue risulta correttamente orientata, in difetto di espresso richiamo contenuto nelle polizze controverse alla disciplina tipica della fideiussione, nel segno della valorizzazione di dati altamente significativi dell’autonomia della garanzia.
In particolare l’esclusione della legittimazione del debitore principale a chiedere che il garante opponesse al garantito le eccezioni scaturenti dal rapporto principale e la rinuncia ad opporre eccezioni di sorta al garante che, dopo il pagamento, avesse agito in regresso costituiscono un sicuro indice di una deroga alla normale accessorietà della garanzia fideiussoria, nella quale il garante ha invece l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore (art. 1952 co. 2 cod. civ.), all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore; mentre l’interpretazione ‘simmetrica‘ dell’altra clausola, regolante il rapporto tra garante e garantito, è del tutto in linea con una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte, (Cass., 21 aprile 1999, n. 3964; (così Cass. n. 8324/01; n. 7502/04; n. 14853/07; 5526 del 2012), secondo cui ritenere che il garante possa opporre al creditore eccezioni connesse al rapporto principale, precluse invece al debitore in sede di regresso, significherebbe accettare l’idea di una polizza che garantisce il garante più ancora del creditore a cui favore la garanzia e prestata.
L’interpretazione letterale trova, del resto, riscontro nell’indagine, che il giudice di merito ha svolto riguardo alla comune intenzione dei contraenti di apprestare una garanzia ‘sostitutiva’ della cauzione e come tale comportante per l’ente appaltante la facoltà di procedere ad immediata riscossione delle somme del tutto simile a quella dell’incameramento di una somma di denaro a titolo di cauzione.
1.4. Si rammenta che il recente arresto delle S.U. di questa Corte n. 3947/2010, intervenuto nelle more del presente giudizio, ripercorrendo la funzione genetica e funzionale della figura contrattuale in oggetto, ne ha valorizzato la funzione satisfattiva delle ragioni della stazione appaltante, alla quale viene attribuito il potere di escutere la garanzia in via di autotutela, per incamerarne l’importo, all’esito di un accertamento da essa condotto in senso esclusivo, perché unilaterale e insindacabile, in ogni caso d’insolvibilità del debitore e, comunque, in caso d’inadempimento ancorché incolpevole.
Orbene il percorso esegetico che sorregge l’approdo assunto dalla Corte d’appello – rinvenendo il tratto tipico del contratto autonomo di garanzia nel regime delle azioni di rivalsa dopo l’avvenuto pagamento e correlativamente evidenziando la funzione delle fideiussioni, pacificamente destinate a sostituire la cauzione prevista in materia di contratti d’appalto – è coerente con le linee tracciate dalle SS.UU. secondo cui la clausola ‘a prima richiesta e senza eccezioni’ dovrebbe di per sé orientare l’interprete verso l’approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salvo il caso, che qui non ricorre, di evidente, patente, irredimibile discrasia con l’intero contenuto altro della convenzione negoziale.
In definitiva i dati convenzionali valorizzati dai Giudici di appello sono pienamente aderenti alla fattispecie del contratto autonomo di garanzia; mentre la valutazione degli elementi fattuali assunti costituisce attività di stretto merito; risolvendosi la doppia censura, motivazionale e di violazione di legge, in una semplice critica della decisione sfavorevole, funzionale all’inammissibile proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.
Tutto ciò si riflette ovviamente nell’apoditticità della c.d. “chiara indicazione” del preteso vizio motivazionale e nella ‘circolarità‘ dei quesiti di diritto, che muovono da premesse assertive (quali il mancato rilievo dei tratti tipici dell’autonomia della garanzia e, segnatamente, l’assenza di una clausola di rinuncia del fideiussore a far valere le eccezioni derivanti del debitore principale) che non trovano riscontro nella decisione impugnata e, anzi, sono da essa adeguatamente smentite.
Il motivo va, dunque, rigettato.
2. Con il SECONDO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1936, 1939, 1941, 1945 e 2041 cod. civ.; violazione e falsa applicazione dell’art.2909 cod. civ.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1955 cod. civ.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.).
2.1. Il motivo si incentra sulla statuizione di rigetto del secondo motivo di appello, con il quale l’odierna ricorrente deduceva la rilevanza delle vicende relative alla procedura fallimentare della debitrice principale s.p.a. I., nell’ambito della quale il G.D. aveva rigettato l’istanza di insinuazione del credito azionato dalla SIC in via di surrogazione per Euro 925,247,41 (sul presupposto – per quanto si legge nella decisione impugnata – che “non risultano sufficientemente documentate le ragioni di credito del creditore originario garantito“) e, successivamente, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l’opposizione allo stato passivo, svolta dalla SIC con sentenza n. 503/2005.
Orbene la Corte territoriale – premesso che non erano opponibili da parte del garante le eccezioni relative alle vicende del rapporto principale, con la sola eccezione della c.d. exceptio doli, che non era stata specificamente prospettata dal garante – ha rigettato il motivo di gravame, segnatamente evidenziando: l’inconsistenza della censura, dichiaratamente formulata nell’ottica del carattere accessorio della garanzia, atteso il rilevato carattere autonomo della garanzia; l’inopponibilità alla beneficiarla della sentenza n. 503/2005 resa dal Tribunale fallimentare nei confronti della garante; l’assenza, comunque, nella citata sentenza di una specifica statuizione suscettibile di passare in giudicato, quanto alla pretesa inesistenza dei diritti del creditore principale verso l’appaltatore, trattandosi di una statuizione di inammissibilità dell’opposizione (per omessa produzione da parte della SIC dell’originale della lettera del curatore di comunicazione della mancata ammissione del credito).
2.1.1. Secondo parte ricorrente “il fatto controverso” in relazione al quale la sentenza è contraddittoriamente motivata è il riconoscimento da parte della Corte territoriale che l’Azienda Ospedaliera non era stata ammessa al passivo della garantita I., stante l’inesistenza del suo credito, per avere, ciononostante, la detta Corte ritenuto che non vi era prova dell’inesistenza del credito dell’Azienda Ospedaliera; “il fatto controverso” in relazione al quale la Corte territoriale ha omesso di motivare è la rilevanza, in ogni caso, anche quale prova, della sentenza con la quale il Tribunale fallimentare di Lodi ha rigettato l’ammissione al passivo per insussistenza del credito vantato dall’Azienda Ospedaliera; infine la sentenza è insufficientemente motivata nella parte in cui non ha dato adeguato rilievo, per inferirne la perdita del diritto di regresso, al fatto imputabile al creditore Azienda Ospedaliera, rappresentato dalla mancata impugnazione dell’esclusione dallo stato passivo del fallimento I..
Di conseguenza la ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto:
a) “se nell’ambito di una fideiussione ex art. 1936 e seg. c.c., nonché nella fideiussione a prima richiesta, nonché ancora nel contratto autonomo di garanzia, l’accertamento dell’insussistenza dell’inadempimento del garantito da chiunque eseguito o formulato o comunque risultante da una situazione di fatto convalidata (quale è quella della incontestata mancata ammissione al passivo fallimentare) comporta l’insussistenza dell’obbligazione del fideiussore ai sensi degli artt. 1936 e 1941 c.c. che questi può liberamente eccepire al creditore ex artt. 1945 e 2041 c.c.“;
b) “se l’accertamento contenuto nella sentenza pronunciata in sede di opposizione allo stato passivo fra fideiussore e fallimento del debitore principale ha efficacia vincolante ex art. 2909 c.c. nei confronti del beneficiario di polizza, il cui credito è stato escluso dallo stato passivo del fallimento del debitore principale a causa dell’insussistenza del credito insinuato“;
c) “se produce l’estinzione della fideiussione ex art. 1955 c.c. il comportamento del creditore che omette di impugnare il provvedimento di rigetto della propria domanda di insinuazione al passivo del fallimento del debitore principale, circostanza che, quindi, pregiudica il diritto di regresso del fideiussore“;
d) “se in presenza di una fideiussione a prima richiesta ovvero di un contratto autonomo di garanzia, l’exceptio doli può consistere nella accertata o in qualsiasi modo dichiarata inesistenza del debito garantito e nella volontaria inazione del creditore che, non impugnando l’esclusione dello stato passivo del fallimento del debitore principale, pregiudica il diritto di regresso del fideiussore“.
2.2. Il motivo e i quesiti che lo corredano accorpano una serie di questioni eterogenee, prevalentemente accomunate dall’ottica dell’accessorietà della garanzia; nessuna delle quali è idonea a comportare la cassazione della sentenza.
Innanzitutto il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., dal momento che la norma, secondo l’interpretazione patrocinata dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenze 2 dicembre 2008, n. 28547 e 25 marzo 2010, n. 7161) – ponendo come requisito di ammissibilità “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” – richiede la specificazione dell’avvenuta produzione in sede di legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili.
Nel caso di specie parte ricorrente fonda le proprie censure su atti della procedura fallimentare – provvedimenti del G.D. relativi ai crediti insinuati, rispettivamente, dall’AZIENDA OSPEDALIERA e dalla ALFA; sentenza del Tribunale fallimentare di inammissibilità dell’opposizione della ALFA – ma si limita a richiamare il contenuto del provvedimento del G.D. di non ammissione del credito della ALFA (“…non risultano sufficientemente documentate le ragioni di credito del creditore originario garantito“) già riprodotto nella decisione impugnata, nonché a riportare un breve stralcio della sentenza n. 503/2005, per il resto fornendo una propria personale interpretazione dei contenuti sia della cit. sentenza, sia del provvedimento del G.D. di non ammissione del credito dell’AZIENDA OSPEDALIERA (peraltro verosimilmente diverso e ulteriore rispetto al credito già ‘indennizzato’ dalla ALFA, per la quale si era surrogata l’odierna ricorrente).
2.3. Né può farsi a meno di rilevare che la confusa e parziale esposizione dei dati documentali non è altro che il riflesso del difetto di specificità delle censure che confondendo e sovrapponendo le vicende relative all’insinuazione del credito dell’AZIENDA OSPEDALIERA e all’insinuazione del credito in cui si era surrogata la ALFA – ignorano il rilievo, di per sé assorbente della decisione impugnata, laddove si evidenzia come le argomentazioni svolte dall’appellante presupponevano la natura non autonoma della garanzia oggetto di causa; con la conseguenza che il rigetto del principale motivo di gravame non poteva non coinvolgere anche il secondo.
Per le medesime considerazioni il rigetto del precedente motivo di ricorso non può non comportare anche il rigetto del presente motivo per la parte in cui si denuncia violazione di norme – quali l’art. 1936, 1939, 1941, 1945 cod. civ. – postulanti l’accessorietà della garanzia, mentre la denuncia di violazione dell’art. 2041 cod. civ. – oltre ad essere basata sulla confusa prospettazione di cui si è detto – pone una questione nuova e inammissibile.
Anche la censura di violazione dell’art. 1955 cod. civ. incorre nel rilievo di inammissibilità, per difetto di specificità, giacché ignora sia il primo (e assorbente) rilievo in punto di (in)ammissibilità della relativa eccezione formulata solo in comparsa conclusionale, sia l’ulteriore (e definitivamente tranciante) considerazione che il mancato buon esito della surrogazione della garante era riconducibile esclusivamente al comportamento della SIC per non avere documentato la tempestività dell’impugnazione, nonché alla ‘strategia’ adoperata dalla stessa società, per avere in sede fallimentare, come nel presente giudizio di opposizione, dedotto la pretesa accessorietà (cfr. in nota a pag. 13 della sentenza impugnata).
2.4. Soprattutto il motivo non impinge su un argomento essenziale nella motivazione della decisione impugnata, laddove si pone in evidenza vuoi l’inopponibilità della cit. sentenza del Tribunale fallimentare all’AZIENDA OSPEDALIERA (per essere terza estranea a quel giudizio), vuoi (prima ancora) l’inidoneità della medesima sentenza, in quanto contenente una pronuncia di mero rito, a costituire giudicato sostanziale (id est, la sentenza, di inammissibilità dell’opposizione, non conteneva alcun accertamento sull’insussistenza del credito, comportando solo la definitività del rigetto dell’istanza di ammissione al passivo).
La motivazione è più che congrua e non è affatto contraddittoria, atteso che una cosa è affermare che il provvedimento di rigetto dell’istanza di insinuazione nel passivo fallimentare è divenuto definitivo e altro è rilevare che la pronuncia di inammissibilità dell’opposizione avverso detto provvedimento non presupponeva, proprio per le ragioni in rito che l’avevano determinata, “alcun positivo accertamento della effettiva insussistenza, nel merito del credito principale”.
2.5. Rinviandosi, per una più compiuta disamina, a quanto si andrà a dire di seguito circa l’esigenza di una specifica articolazione e prova, in sede di merito, del carattere fraudolento od abusivo della richiesta di pagamento, le considerazioni che precedono sono dirimenti anche per la parte del motivo surrettiziamente intesa a introdurre solo in questa sede una ormai inammissibile exceptio doli.
Anche il motivo all’esame va, dunque, rigettato.
3. Con il TERZO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1365 cod. civ.; violazione o falsa applicazione dell’art. 1957 cod. civ.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 nn.3 e 5 cod. proc. civ.).
3.1. Il motivo riguarda il punto della decisione in cui la Corte di appello – modificando la motivazione del primo Giudice – ha escluso che potesse essersi verificata decadenza dalla garanzia in considerazione del fatto che l’art. 5 del testo negoziale (a tenore del quale il termine semestrale di cui all’art. 1957 cod. civ. decorreva “dalla data di approvazione definitiva degli atti di collaudo dei lavoro ovvero, in caso di risoluzione anticipata del contratto per fatto e colpa della Ditta obbligata, dalla data di approvazione degli atti di collaudo della parte dei lavori eseguiti ovvero, nel caso di mancato inizio dei lavori, dalla data del provvedimento formale di risoluzione anticipata del contratto di appalto per fatto e colpa della Ditta obbligata”) non era applicabile alla fattispecie in oggetto, trattandosi di risoluzione del contratto di appalto avvenuta in data 13.06.2000 (per l’abbandono dei lavori da parte dell’appaltatore) e non essendo ancora intervenuto alla data del 7.12.2001 il collaudo dei lavori eseguiti dall’I..
Nel contempo la Corte di appello – pur evidenziando che solo in sede di comparsa conclusionale parte appellante aveva postulato ‘un travolgimento’ delle puntuali e specifiche disposizioni di cui all’art. 5 cit. in considerazione dell’intervenuto fallimento della I. in data 28.09.2000 con conseguente irrilevanza della mancanza di collaudo delle opere e decorrenza del termine secondo la regola generale dell’art. 1957 cod. civ. – ha rilevato l’infondatezza della tesi difensiva, atteso il subingresso del Fallimento nei rapporti attivi e passivi facenti capo alla fallita e l’opponibilità della risoluzione del contratto di appalto, già realizzatasi alla data del 13.06.2000, antecedente alla dichiarazione di fallimento.
3.1.1. A parere di parte ricorrente “il fatto controverso” in relazione al quale la sentenza impugnata ha omesso di motivare è che, in caso di risoluzione anticipata dell’appalto, ‘la scadenza dell’obbligazione principale’ ex art. 1957 c.c. si verifica solo alla data della predetta dichiarazione di risoluzione e non da altri eventi. Di conseguenza formula i seguenti quesiti:
a) “se viola gli artt. 1362, 1363 e 1365 c.c. il giudice che interpreta le clausole di un contratto fideiussorio senza indagare la comune intenzione delle parti o verificare il testo complessivo della fideiussione e senza tenere conto delle caratteristiche dell’obbligazione garantita, dal quale emerge che in ogni caso l’art. 1957 c.c. è applicabile anche oltre i casi espressamente elencati in maniera non tassativa nel contratto di fideiussione“;
b) “se nel caso di fallimento del debitore garantito da polizza fideiussoria il termine decadenziale ex art. 1957 c.c. deve ritenersi osservato esclusivamente con la domanda di insinuazione al passivo del creditore entro sei mesi dalla di scadenza dell’obbligazione principale che, nel caso di risoluzione anticipata del contratto per inadempimento dell’appaltatore decorre dalla data di dichiarazione di risoluzione da parte della committenza pubblica“.
3.2. Il motivo, per un verso, postula un’interpretazione estensiva della clausola pattizia sopra riportata e, per altro verso, suggerisce l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 1957 cod. civ., con la conseguenza che il dies a quo di cui all’art. 1957 cod. civ. andrebbe individuato nella scadenza dell’obbligazione principale.
In disparte il rilievo che il motivo ignora il punto della decisione in cui è evidenziata la tardività della prospettazione difensiva postulante ‘il travolgimento’ della specifica previsione pattizia per effetto della dichiarazione di fallimento, nessuna delle censure coglie nel segno.
Sotto il primo profilo, dell’interpretazione dell’art. 5 cit., il motivo si risolve in una censura in fatto non evidenziante testuali carenze interpretative o logiche dell’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine all’individuazione dello specifico ambito di applicazione della clausola di cui trattasi. L’interpretazione adottata dai Giudici a quibus è pienamente aderente al criterio di cui all’art. 1362 cod. civ. e – mentre valorizza il dato testuale della singola clausola e la specificità dei suoi contenuti tiene conto anche del testo complessivo del contratto e della natura autonoma della garanzia, come innanzi individuata. Tanto è sufficiente a precluderne il sollecitato sindacato in sede di legittimità nella quale non può trovare ingresso l’aspirazione della parte ricorrente a vedere sostituita l’interpretazione adottata con altra fondata su diverso risultato ermeneutico – quale l’ipotizzato carattere ‘esemplificativo’ della clausola di cui trattasi – ritenuto più rispondente all’interesse della medesima.
D’altra parte la quaestio voluntatis va risolta in una prospettiva radicalmente opposta rispetto a quella assunta dalla ricorrente, tenendo conto che la riconosciuta riconducibilità delle polizze in discussione all’archetipo della garanzia autonoma postula che il termine per l’escussione della garanzia, fissato dall’art. 1957 cod. civ. non si applica salvo che non sia previsto esplicitamente dalle parti (Cass. 28 ottobre 2010, n. 22107); con la conseguenza che la clausola in contestazione non può che essere di stretta interpretazione.
3.3. Il rilievo che precede risulta assorbente anche ai fini del rigetto della parte del motivo che attinge all’argomentazione difensiva tardivamente svolta nella comparsa conclusionale in appello; peraltro la censura incorre anche nel rilievo di aspecificità, perché omette di confrontarsi con le ragioni della decisione nel punto in cui si evidenzia l’anteriorità (e conseguente opponibilità) della risoluzione alla dichiarazione di fallimento.
Anche il presente motivo va rigettato.
4. Con il QUARTO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.633 cod. proc. civ.; violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.., nullità della sentenza, stante la non corrispondenza fra chiesto e pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.). Secondo parte ricorrente “il fatto controverso” su cui la Corte di appello ha omesso qualsivoglia motivazione è l’effettiva e sostanziale proposizione della exceptio doli, tenuto conto che essa garante avrebbe sempre evidenziato l’abusiva escussione della garanzia, stante l’inesistenza del debitore garantito e, comunque, la mancata enunciazione e individuazione del danno risarcibile.
Di conseguenza ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. formula i seguenti quesiti:
a) “se sussiste il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. laddove il giudice dichiara di non potere esaminare una eccezione (che è stata invece prospettata sia in primo che in secondo grado) per il fatto che questa non sarebbe stata formulata espressamente nelle conclusioni dell’atto di appello, pur risultando la stessa formulata espressamente nelle conclusioni dell’atto di appello, pur risultando la stessa formulata nel testo delle difese proposte“;
b) “se l’art. 633 cod. proc. civ. può essere utilizzato per l’escussione di una fideiussione accessoria ad un contratto di appalto, in relazione al quale non è stato dimostrato l’inadempimento dell’appaltatore debitore principale, circostanza che costituisce il presupposto di escussione della polizza fideiussoria, né sussiste una liquidazione del danno“;
c) “se il creditore opposto, nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo, deve dimostrare la sussistenza delle ragioni di escussione della polizza e quindi l’adempimento del debitore principale, quali ragioni costituenti la loro pretesa“.
4.1. Il motivo è inammissibile per la parte in cui prospetta la violazione dell’art. 112 in relazione ai n. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., giacché l’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni della parte, integrando violazione di norma processuale, deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto ovvero sub specie di vizio della motivazione (v. tra numerose Cass. n. 14003 del 2004; n. 604 del 2003; n. 9707 del 2003; n. 11260 del 2000).
Il motivo è, inoltre, manifestamente infondato in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., avendo la Corte di appello, innanzitutto evidenziato che l’exceptio doli non era stata specificamente prospettata dall’appellante (cfr. pag. 10 della sentenza) e, in termini più diffusi, ribadito che “a diversa conclusione potrebbe giungersi solo laddove la prospettazione dell’appellante riguardasse (non tanto la lamentata carenza di prova in ordine alla sussistenza – nel rapporto principale tra l’AZIENDA committente e l’appaltatrice I. – di ragioni risarcitorie, ma invece) la dimostrazione di situazioni in concreto rilevanti ai fini della configurazione di exceptio doli in riferimento al rapporto di garanzia autonomamente corrente tra l’AZIENDA e la garante ALFA: dimostrazione in quanto tale nemmeno adombrata dalla appaltante, come già ritenuto dal Tribunale con motivazione anch’essa non attaccata specificamente da alcun diretto motivo di censura” (cfr. pag. 16 della sentenza).
Valga considerare che proprio dalle allegazioni in ricorso risulta evidente che l’impostazione difensiva dell’odierna ricorrente in sede di merito poggiava non già sull’esistenza di un comportamento doloso della beneficiarla, bensì sulla natura accessoria della garanzia da cui sarebbe derivata l’opponibilità del mancato accertamento dell’inadempimento dell’appaltatore e il difetto di prova dei danni della committente; il che è questione diversa dall’exceptio doli.
Presupposto della fondatezza di detta eccezione è, infatti, che sia evidente, certo ed incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale o per altra causa, ovvero l’inesistenza del rapporto garantito; inoltre l’eccezione avrebbe richiesto la prova, da fornirsi dalla garante, odierna ricorrente, dello scopo fraudolento dell’attivazione della garanzia da parte dell’AZIENDA OSPEDALIERA (cfr., sull’obbligo del garante di fornire la prova certa ed incontestata dell’esatto adempimento del debitore ovvero della nullità del contratto garantito o illiceità della sua causa: Cass. 21 aprile 1999, n. 3964; Cass. 24 aprile 2008, n. 10652/08, Cass. 12 dicembre 2008, n. 29215).
In particolare l’abusività della richiesta della garanzia, ai fini dell’accoglimento dell’exceptio doli, deve risultare prima facie (cfr. Cass 11 maggio 2012, n. 7320) o comunque da una prova c.d. liquida, cioè di pronta soluzione (cfr., sull’obbligo del garante di fornire la prova certa ed incontestata dell’esatto adempimento del debitore ovvero della nullità del contratto garantito o illiceità della sua causa, Cass. n. 3964/99 cit.; n. Cass. 10652/08 cit.).
Nel caso di specie, prima ancora che la prova, è mancata l’allegazione di una situazione di tal fatta, come evidenziato da entrambi i giudici del merito e come, peraltro, conclamato dalla natura dei quesiti, sub b) e c), chiaramente evocanti, non già l’exceptio doli, ma l’accessorietà della garanzia.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 20.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge.
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